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Persone, mercato, prodotto: il valore della persona


Negli ultimi giorni a colpirmi sono state in particolare due notizie: il crollo degli iscritti all’Università e il relativo commento di Prefumo e la decisione della Fiat di lasciare a casa, con stipendio, i 19 lavoratori di Pomigliano reintegrati dopo sentenza del Tar. Sono notizie apparentemente distanti e sconnesse ma credo forniscano stimoli per una chiave di lettura univoca della realtà in cui ci troviamo a vivere.

La connessione tra i due accadimenti è presto spiegata: entrambi denotano lo scarso valore assegnato alla persona, alla sua dignità e alle sue ambizioni.
Sminuire il calo di iscritti universitari parlando di ottimizzazione del rendimento significa anche negare che l’istruzione è un diritto: significa, a ben vedere, pensare che l’istruzione – a qualsiasi livello – sia solo uno strumento di formazione per produttori/consumatori. La scuola serve solo a insegnare. Eppure a me hanno insegnato che imparando la chimica apprendi anche a relazionarti con altre persone e che lo scopo dell’istruzione non è tanto la competenza acquisita – importante, certo, ma non marcatamente prioritaria – ma conferire alle persone gli strumenti con cui realizzare il loro desiderio di felicità. Le parole di Profumo – e il generico atteggiamento verso l’argomento – denotano questa attenzione alla persona in formazione – bambino, ragazzina, giovane che sia – rivolta solo all’acquisizione delle competenze. Nulla riguardo la realizzazione dei propri sogni, fosse anche una laurea inutile. Ridurre l’istruzione a solo trapasso nozioni comporta anche ridurre la persona a “cosa”: eh si, perché se i miei sogni non contano, se le mie relazioni sociali sono solo un contorno alla mia produttività, se le mie aspirazioni devono essere sedate di fronte alla necessità della produsione, persona non sono più.
E non sono più una persona neppure se il mio lavoro è scambiabile con il denaro: ne avevo già parlato in occasione dell’insensata modifica all’articolo 18 del c.d. “Statuto dei lavoratori” ma temo che il messaggio non sia stato abbastanza chiaro. La posizione della società guidata da Marchionne continua a cercare di far passare il seguente messaggio: lavorate solo per la retribuzione. Ora, nessuno ritiene che lavorare gratis vada bene o che qualcuno schifi il denaro. Tuttavia ridurre il lavoro a un mero scambio di merce significa svilire il fondamento stesso della democrazia italiana. La Costituzione – povera donna, con gli stupri montiani – si fonda proprio sul lavoro: non sul denaro, non sulla retribuzione, non sulla produzione. Sul lavoro.

Entrambe le notizie sembra individuare un nuovo passo nello svilimento umano. Soggetto del marketing a scopo di acquisto compulsivo, oggetto della produzione di ciò che viene venduto, l’essere umano sembra possedere un valore in quanto tale. Nulla valgono le sue aspettative, i suoi sogni, i desideri, i sentimenti e la dignitià. Ciò che ci rende umani è, per Marchionne, la Fornero, Profumo e molti altri, solo un orpello. Magari da eliminare, in modo che si lavori meglio, si vada in pensione dopo e, possibilmente, lo si faccia senza protestare troppo.

Mi domando se affrontiamo una problematica italiana, isolata al nostro “stivale”, o se si tratta di una deformazione globale. Il valore di un essere umano è diventato infinitesimo: abbiao a che fare con il prodotto ultimo del berlusconismo o stiamo fronteggiando una più generica crisi valoriale del mondo occidentale? Ciò che ha valore è ciò che questo essere umano produce e consuma. Sarà anche così da un pezzo ma forse ora abbiamo le energie per cambiare: se non le abbiamo, dobbiamo trovarle.

 
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Pubblicato da su 5 febbraio 2013 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Le responsabilità (storiche) della sinistra e della politica italiana


La diatriba – secondo me pittoresca – tra Nanni Moretti e Fausto Bertinotti circa le responsabilità dei “comunisti” nel crollo del governo Prodi e nel successivo dominio berlusconiano del paese – realmente una pagina cupa e oscura, seconda solo al Ventennio in quanto a orrori e storture della democrazia – cade nel bel mezzo della rilettura di Bloch, “Apologia della Storia”, testo che è pietra miliare della mia formazione storica, che dovrebbe essere lettura per tutti i cultori e che dovrebbe interessare, in qualche modo, anche cronisti e politici. 

L’intervista a Moretti, pubblicata da Repubblica, contiene alcuni spunti interessanti che meritano una certa analisi. Non sono d’accordo con il regista quando dice che “manca una vera opinione pubblica”: credo, invece, che l’opinione pubblica ci sia eccome. Semplicemente quest’opinione pubblica è più interessata a X-Factor o all’Isola dei Famosi piuttosto che alla politica economica, al conflitto di interessi o allo stato delle carceri.Dopotutto si tratta di un paese in cui una persona su sei non va a votare alle elezioni politiche, occasione in cui una su tre di quelle che lo fanno sceglie deliberatamente di sostenere con il voto un tizio che, palesemente, da vent’anni gestisce il paese come un’industria propria, modificando leggi e sistemi per ottenerne il massimo profitto.

Si tratta, allora, di un problema di responsabilità civile e, prima ancora, di buonsenso. Ma, si sa, il buonsenso non è soggetto a cui assegnarsi per fiducia, meglio allora puntare sulla sensibilizzazione e sullo stimolo critico.
Non credo, infatti, che l’aggressione frontale al sistema scolastico perpetrata dalla destra sia un caso; piuttosto una strategia di “indebolimento” del pensiero critico, una trasformazione della scuola da “allevamento di cittadini” a “fornitrice di informazioni tecniche”. Perché, in effetti, è questo che vuole il sistema capitalistico: una scuola che insegni “utilità” da impiegare sul lavoro, possibilmente senza pensare eccessivamente e, soprattutto, senza dedicarsi a iniziative critiche personali. Il volere del padrone non si discute.

Io, che credo nel mandato di formazione di cittadini responsabili e consci dei loro diritti/doveri, ripudio completamente questo approccio e, in prima istanza, do la colpa del suo successo all’estrema debolezza e incapacità della sinistra. PD, soprattutto il PD: ma il PD, si sa, è figlio dell’insuccesso dell’Ulivo, frutto esso del “tradimento” di Bertinotti.
In storia, però, si devono sempre rifiutare le cause monolitiche, si deve rifuggere dall’idolo delle origini (grazie prof. Bloch). Quindi non scarico su Bertinotti l’origine del processo causale: gli assegno, invece, una profonda responsabilità, un ruolo di concausa. Perché è noto che la sinistra sappia farsi male da sola, scindersi inopportunamente, non cogliere il momento in cui stringere i denti per evitare il peggio. Lo fa a sproposito, di contro, come nel caso del governo Monti.
Grazie tante.

La sinistra italiana ha così perso un treno importante; arenandosi su questioni secondarie e dedicandosi a battaglie ridicole – eutanasia, no TAV, no global, missioni NATO – ha lasciato mano libera ai governi-fantoccio del Nano in materie veramente centrali, senza le quali ciò per cui ha combattuto risulterebbe comunque non fondante: giustizia, leggi ad personam, istruzione, sanità, informazione, conflitto d’interessi, mafia, evasione fiscale, immigrazione…
Un po’ Moretti fa sorridere quando ricorda i suoi “girotondi”: serviva ben altro per destare un minimo la sensibilità italica. Non l’abbiamo fatto e oggi ne paghiamo carissime conseguenze. Berlusconi e Monti, in serie ma con diverse modalità, stanno snaturando (distruggendo) lo stato sociale costruito con duri sacrifici e durissime lotte; il successo del secondo, poi, è costruito perlopiù sull’inadeguatezza del primo. Un po’ come se, dopo un decennio di nazionali di calcio costruite convocando calciatori di prima e seconda categoria, oggi convocassero qualcuno della serie D: pur sempre brutte partite ma, almeno, qualche passo avanti.
Che molti rimpiangano il Nano, poi, è sinonimo dell’insipienza della mente italiana media.

Cosa resta da fare? Uscirne. Uscirne al più presto. Per uscirne serve uno sforzo culturale enorme da parte della sinistra: è necessario sapersi lasciare alle spalle i faldoni del passato, ammettere che non tutti i padri della sinistra sono attuali/sensati (a partire da Marx) e, tenendo d’occhio i valori, rivoluzionare la struttura, le pratiche, il linguaggio, le persone, gli obbiettivi pratici.
Sembrerà quasi che si debba uccidere la sinistra: da un certo punto di vista è così. Si deve cancellare il tutto per ricostruire: la “resurrezione” post mortem oggi è forse l’unica possibilità per garantire il successo, domani, dei valori per i quali la sinistra lotta da decenni. Si, quei valori che il suo elettorato vuole veder affermati.

 
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Pubblicato da su 13 marzo 2012 in Politica

 

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