Il Concilio Vaticano II, a un passo dal cinquantesimo anniversario della sua indizione, è ancora oggetto di discussione e di divisione all’interno della Chiesa. Più di Nicea, probabilmente, e più di molti altri, forse secondo solo al Concilio di Costantinopoli VII (eh si… il ritorno di Fozio e il Filioque, che sembra un film di Spielberg e invece è la grande causa di divisione tra cristiani cattolici e cristiani ortodossi…).
Un bel casino, insomma, questo Concilio Vaticano II, soprattutto per gli strascichi, le polemiche, le accuse di modernismo. Lo Spirito, attraverso il Concilio, ha portato un vento di profondo rinnovamento sulla Chiesa e, come ogni cambiamento, anche questo è stato profondamente avversato da frange più o meno conservatrici, più o meno ragionevoli, più o meno benedette dal buonsenso. Risparmio le mie tirate su sedevacantisti e stramberie del genere, preferisco soffermarmi sul conservatore della domenica, quel tipetto non necessariamente anziano che non vede il sacro nella celebrazione in lingua volgare, che trova sconveniente la celebrazione con il sacerdote rivolto verso il popolo o che proprio non vuol capire che laici e sacerdoti non sono disposti verticalmente, su una gerarchia di comando, ma rispondono solo a diversi Talenti dati loro dal Padre, rimanendo fratelli.
Insomma, materiale del passato…
Chi mi conosce sa cosa dico di buona parte del Concilio di Trento: se per alcuni è stato il coronamento di un percorso d’innalzamento progressivo, secondo me è poco più di un’azione politica di marketing. A Trento – e a Bologna e nelle altre città dove si tenne il concilio – i (pochi) padri conciliari, stretti tra due o più fuochi imperiali e papali, presero decisioni che segnarono indelebilmente l’età moderna, non solo della Chiesa. Da Trento è uscita la Tradizione, quella che ancora oggi alcuni osservano con religiosa pietas, dimenticandosi che la tradizione non deve essere venerata ma dev’essere uno strumento di venerazione. Confusione ce n’è anche tra chi crede di avere le idee chiare, decisamente. Questa tradizione, però, di tradizionale ha ben poco: più che altro è una latinizzazione della Chiesa, con qualche nuovo inserimento e qualche forzatura, necessaria a tenere compatta la Chiesa in un’ora estremamente difficile, quella della Riforma protestante. A ben vedere, quasi tutte le decisioni del Concilio di Trento furono prese tenendo bene a mente questo scopo: evitare il diffondersi della Riforma. Soddisfare le voci di riforma della Chiesa – senza la maiuscola: le critiche interne, giustissime, sulla corruzione, sullo stato vescovile, sulla pastorale – fu più un orpello, un accessorio: dove venne raggiunto, fu quasi coincidentale, a margine di scelte più importanti.
Ma sto perdendo il filo, non voglio scrivere di Trento, non oggi. Ne parleremo un’altra volta (promesso). Torniamo al Concilio Vaticano II, al quale tanto dobbiamo. Lo scritto a cui mi sono ispirato per questo post è questo: si tratta di un testo di Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei. Il vicario scende con decisione in alcuni dettagli “scomodi” della teologia legata al Concilio e lo fa con toni che mai mi sarei atteso dall’Opus Dei; è quindi meritevole non solo di una lettura, bensì di una profonda meditazione, a mio avviso. Lo consiglio non solo per chi già si ritrova nei testi conciliari ma anche per chi sia a essi allergico (anche se mi domando come sia giunto fino a questo punto del post senza spedirmi a casa un gruppo di inquisitori).
Uno dei nodi mai del tutto risolti è quello della fedeltà alle posizioni del Concilio che, com’è noto agli addetti ai lavori (e ai maniaci come me) non ha offerto posizioni dottrinali o dogmatiche in alcuna delle sue Costituzioni. Ocariz chiarisce in pochissime righe la situazione della struttura di questo Concilio e le sue parole sono più incisive delle mie: “l’intenzione pastorale del Concilio non significa che esso non sia dottrinale”. La vocazione pastorale del Concilio, in pratica, non ne nega i contenuti dottrinali, tutt’altro: poiché la pastorale è parte della dottrina e questa è orientata alla Salvezza – come potrebbe essere altrimenti? – non possiamo scindere i piani e riferisci a uno solo di questi, perché il loro scopo ultimo e unico è sempre e soltanto la Salvezza.
I chiarimenti giungono anche in materia di obbedienza, perché ancora oggi si discute su quanto sia rigido l’obbligo di aderire a una professione pastorale non dogmatica. Ocariz è decisamente incisivo anche su questo argomento, soprattutto quando spiega che il Concilio Vaticano II è a tutti gli effetti “un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il «carisma della verità» (Dei verbum, n. 8), «rivestiti dell’autorità di Cristo» (Lumen gentium, n. 25), «alla luce dello Spirito Santo»”. Poche storie, pochi margini, nessun giro di parole: una condanna a morte per il cattoconservatore (se a me danno del cattocomunista, a torto, potrò coniare anch’io dei neologismi, giusto?) e per alcune strampalate teorie. Come supponevo da tempo, non si può gettare il bambino e tenere l’acqua sporca (Cit.!).
Ocariz specifica bene i vari “ranghi” dell’obbedienza e fa rientrare la gran massa delle dichiarazioni conciliari nell’ampia categoria che richiede “dai fedeli il grado di adesione denominato «ossequio religioso della volontà e dell’intelletto». Un assenso «religioso», quindi non fondato su motivazioni puramente razionali. Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza, non semplicemente disciplinare, bensì radicata nella fiducia nell’assistenza divina al magistero, e perciò «nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede»”.
L’ultimo nodo serissimo del Concilio, quindi, è la continuità con i precedenti insegnamenti della Chiesa; sedevacantisti a parte, non sono pochi coloro che contestano al Concilio Vaticano II la creazione di mostruosità dottrinale, aggiungendo poi che altre e peggiori mostruosità si sono poi sviluppate sull’onda dello “spirito del Concilio”. Il vicario dell’OD, pur ricordando che alcuni elementi sono ancora in discussione, ribadisce chiaramente che “di fronte alle novità in materie relative alla fede o alla morale non proposte con atto definitivo” è “dovuto l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”. Altro colpo sacrissimo alla reazione. L’interpretazione vera del Concilio “deve affermare l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità”, quindi… anche quando queste sembrano giungere a conclusioni decisamente distanti da quanto affermato in precedenza. La chiave di volta della lettura è contenuta nella novità, “novità nel senso che esplicitano aspetti nuovi, fino a quel momento non ancora formulati dal magistero, ma che non contraddicono a livello dottrinale i documenti magisteriali precedenti”. Una posizione coraggiosa, che sarà sicuramente contestata ma che trovo precisa a circostanziata. D’altronde subito dopo si fa riferimento alla libertà di religione, una novità introdotta proprio dal Concilio, e si illustra chiaramente come la sua definizione sia frutto dei tempi, delle condizioni sociali e politiche nuove, situazioni con le quali la Chiesa non può che interagire, visto che, per definizione, essa è immersa nella storia, è storia essa stessa!
Credo che potrei intrattenermi per ore e ore a scrivere cosa penso del Concilio, soprattutto quando, testi conciliari alla mano, scopro prospettive mai attuate o lasciate storpie che, a mio parere, oggi sarebbero linfa vitale per la Chiesa. Abbiamo bisogno di essere operai nella vigna del Signore, non teologi distanti o incomprensibili eremiti che meditano seduti su un filo d’erba: la Chiesa – noi siamo la Chiesa – dobbiamo essere tra la gente a portare l’annuncio, non predicare dal pulpito. Sentir dire che don Ciotti è insignificante perché non fa il suo dovere di prete – che sarebbe avere una parrocchia ordinaria, dire messa, seguire i parrocchiani, etc – è quanto di più distruttivo possa esserci oggi per l’essenza stessa della Chiesa: Gesù non solo pregava nel Tempio ma annunciava e viveva tra prostitute e malfattori. I Vangeli ci riportano più predicazioni di Gesù a folle di poveri, disperati e ladri che orazioni teologiche tra gli scranni sacerdotali: non dovremmo forse seguire il suo esempio?
Si, ho finito: chiudo con un commento sul Concilio e su Ocariz, perché lo trovo azzeccato.” l Concilio nel suo insieme e i suoi insegnamenti non possono essere messi da parte, o fatti oggetto di critiche corrosive come se si trattasse soltanto di opinioni”. Sacrosanto. Ricordiamocelo.
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