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La fine!


https://i0.wp.com/www.malitalia.it/wp-content/uploads/2011/11/theend_berlusconi_pp-300x210.jpgMentre si concludono i conteggi di queste elezioni quantomai complesse da leggere, trovo giusto evidenziare un dato, frutto dell’analisi numerica, che può darci un indizio della direzione da prendere.
L’era del centrodestra berlusconiano è finita: finita con un collasso complessivo del numero di voti ricevuti, passati dai 17 milioni del 2008 agli attuali 10 (poco meno, in verità). Si tratta di una discesa netta del 42%, ampiamente superiore a quella del Pd (comunque grave e attorno al 30%). Paga moltissimo la Lega, che lascia per strada oltre 1,7 milioni di voti, più del 55% dei consensi.

Solo il sistema elettorale abbastanza buffo mantiene in piedi il potere – ma non il consenso – di Berlusconi. Troveranno tempo le interpretazioni sulla creduloneria e sul buonsenso elettorale degli italiani, oggi concentriamoci su una questione più “apocalittica”, anche più centrale del boom del M5S.

Berlusconi è, numericamente, alla frutta: una frutta che puzza anche un po’ di stantio. Non è un augurio, è l’interpretazione dei numeri: come previsione potrà essere smentita da ulteriori e differenti evoluzioni dello scenario, ma in un comportamento lineare delle altre forze – chiederlo al Pd, però, potrebbe essere illudersi – il risultato di oggi è un KO definitivo.
Il consenso che si era costruito negli anni è rimasto in piedi, parzialmente, per una combinazione di fattori:
l’incapacità del Pd (e della sinistra tutta) di farsi alternativa credibile
l’irrompere del M5S, visto che i flussi elettorali dei grillini pescano più a sinistra che a destra (pur svuotando di fatto la Lega)
il sistema elettorale folle, che al Senato premia eccessivamente le regioni popolose

https://i0.wp.com/www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2012/12/scandali-di-berlusconi26.jpgI primi due punti sono la chiave del sistema: la sinistra, ancora una volta, è stata inadeguata. Proposte scialbe, nessun mordente in campagna elettorale, efficacia comunicativa ridotta e i cavalli da corsa, quelli che, pur non essendo i leader, dovevano essere sparati in tv tutti i giorni, tenuti in cantina. Quando hai due ammaliatori di folla come Vendola e Renzi, non puoi permetterti di mandare Bersani: capisco le ritrosie del Pd a dar spazio al leader del partito alleato – limitatamente, perché anche se avesse strappato qualche seggio in più grazie alla visibilità accresciuta, di certo avrebbe ripagato con molti più voti conquistati – e allo sconfitto delle primarie, ma credo che il sacrificio sarebbe stato ampiamente ricompensato. Si poteva e si doveva vincere.
Questo ha comportato non solo lo spazio per il recupero del Cainano ma anche la cessione di ingenti quote di voto dalla sinistra a Grillo. Non si può infatti ignorare il calo di voti del Pd e la crescita dei grillini, sicuramente elementi collegati, spesso sul territorio, dove le amministrazioni di sinistra non si sono dimostrate sufficientemente sensibili ai veri temi cui l’elettorato e la cittadinanza erano interessanti. La sinistra ha perso il confronto, pur con questa risicata maggioranza numerica: possiamo fare tutte le analisi che volete ma, in definitiva, la motivazione è una sola. Monti.

Torniamo a B.: credo che neppure il Pd possa risuscitarlo da una botta di questo tipo. Berlusconi è stato mollato da tutto l’elettorato realmente reattivo alla realtà, questo è ciò che emerge seriamente dalle elezioni. Possiamo riflettere su un consolidamento di una decina di milioni di persone che lo votano comunque – una certa, piccola, percentuale ha votato le liste correlate per osteggiare la sinistra e nella speranza di una crescita per il futuro: questa la scelta di Meloni e Crosetto, per esempio – ma è un flusso in buona parte costruito sulle promesse vacue della campagna elettorale, un exploit che può essere fermato da un competitor dotato di anche solo un minimo di capacità comunicativa (e di uno staff all’altezza). E da una proposta all’altezza nel reale centrodestra, che chiami a sé gli stakeholder dei voti liberisti e della destra moderata.
Berlusconi può festeggiare per i seggi conquistati ma deve piangere per il consenso definitivamente eroso: e quello conta in politica, perché dovrà trovarsi a confrontarvisi, in un modo o nell’altro.

Riguardo Sel, un solo piccolo appunto: da sola ha fatto meglio dell’intera Sinistra arcobaleno. Per quanto la situazione sia difficilissima, la sinistra italiana ha registrato una crescita percentuale interessante, passando dal 3,02% a quasi il 5,5%. Bruscolini, vero, ma sicura testimonianza di una richiesta di attivismo che, se combinata con la forte denuncia delle politiche liberiste che ha vinto queste elezioni, può consentire di crescere. Assieme, però: perché dobbiamo imparare a essere uniti e a essere squadra per il governo, non testimonianza fine a se stessa.

 
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Pubblicato da su 26 febbraio 2013 in Politica, Teoria

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Un po’ di conti… primari!


Credo che, a un paio di giorni dalle primarie, prima che arrivi il ballottaggio, sia necessario mettersi a fare qualche conto per analizzare a fondo il messaggio che l’elettorato ha dato ai partiti coinvolti. I numeri, infatti, hanno la tendenza a parlare molto e bene, se dovutamente interrogati.
Non a caso il team renziano, ben costruito e irrobustito con esperti di marketing, ha in più occasioni manipolato i dati resi noti in pubblico, nel tentativo di far deporre i numeri a proprio favore. L’operazione che andrò a fare nelle prossime righe, invece, vorrà segnalare una possibile chiave di lettura, senza dimostrazioni politiche di alcun tipo, proprio perché sono conscio dell’alta difficoltà interpretativa del dato. Tuttavia, qualcosa può dire.

I voti alle primarie sono stati in totale insieme, 3.107.568. Leggero – quasi impercepibile – miglioramento rispetto alle ultime primarie, quelle del Pd del 2009 che scelsero il segretario Bersani, quando a votare furono in 3.102.709.
Di questi voti, 44.080 (1,42%) sono andati al compagno Tabacci e 485.152 (15,61%) a Nichi Vendola: si tratta di voti che possiamo, approssimativamente, dire che non appartengono al Pd. E questo è già un dato significativo, perché dipinge la consultazione non certo come il successo di partecipazione che ci hanno raccontato. L’elettorato del Pd in queste consultazioni primarie ammonta, infatti, a circa 2.578.380. Quasi mezzo milione in meno rispetto all’elettorato attivo del Pd nel 2009: un buco non trascurabile, se aggiungiamo il fatto che una sezione non insignificante di voti a Renzi arrivano da persone che nel 2009 non sono certo andare a votare per il Pd. Ovviamente il dato ha un valore relativo: oggi non sono un elettore del Pd ma nel 2009 forse lo ero (non mi ero ancora disilluso riguardo l’utilità di quel partito), così penso abbiano fatto in molti. Però il dato rimane indicativo: tra chi si schiera nelle primarie, il Pd ha subito un calo del 15% circa. Una bella batosta.

La seconda analisi riguarda i dati interni al Pd, se accettate questa mia definizione. Rimangono allora sul piatto 2.578.380 voti. Bersani ne ha conquistato il 54,1%, e questo significa che, se fossero primarie interne al partito, avrebbe stravinto al primo turno, staccando Matteo Renzi di oltre 10 punti (è al 42,8%).
Qui la riflessione si fa interessante: il doppio turno, tanto contestato da Renzi, è in realtà l’unica carta che ancora lo tiene in gioco. Se ha possibilità di vincere queste primarie è solo perché domenica si voterà di nuovo e non è affatto detto che i bersaniani riescano, per la seconda domenica consecutiva, a smuovere il loro antidiluviano elettorato. Insomma, Renzi non solo deve “stanare” gli elettori vendoliani ma deve anche ringraziare quel mezzo milione di persone che, partecipando alle primarie, gli hanno evitato una figura barbina.

Ad avere la peggio in tutto questo è il Pd; se Vendola ha preso più o meno la quota pesata di Sel all’interno della coalizione (un 6% su una coalizione da 38 punti percentuali), il Pd ha subito un tracollo (anche la coalizione non sta certo bene, se prendiamo come riferimento le primarie di Prodi, quelle da oltre quattro milioni di votanti).
L’emoragia di voti si spiega facilmente con la disafezione alla politica e lo scoramento degli elettori. Il M5S campa proprio su questi sentimenti imprecisamente definiti come “antipolitica”. A fermarsi qui si sarebbe solo scalfita la superficie del problema, però.
Scendendo più a fondo si potrebbe notare come il problema del Pd sia ben più profondo: Renzi ha preso più di un milione di voti e c’è una buona percentuale di costoro che non intende sostenere con il suo voto il Pd, in caso di vittoria bersaniana. A parte la valutazione personale – trovo triste e meschino partecipare a delle primarie, sottoscrivendo una carta d’intenti e poi non appoggiare la coalizione solo perché non ha vinto il proprio candidato – credo che questo dato debba far riflettere parecchio l’establishment del Pd. La mazzata che potrebbe prendere il partito alle prossime politiche non è affatto avvertita né dall’elettore, né dal politico.
Certo, dipingere le primarie come un successo aiuterà senz’altro a far risalire i numeri: io stesso domenica mi consideravo abbastanza soddisfatto dalla partecipazione. Non avevo ancora letto e analizzato i dati.

Finito con i dati, lascio un’interpretazione personale, frutto delle mie riflessioni, quindi altamente opinabile. Ma la lascio comunque.
Penso che non sia sbagliato leggere anche in questi numeri l’ennesimo sintomo di distanza tra il Pd e le esigenze dell’elettorato di sinistra. Molti continuano a votarlo ma cercano con lo sguardo una possibile via di fuga, una proposta di sinistra vera, senza ammiccamenti al centro. Altri votano per fedeltà di partito: quelli non li si smuoverà mai, purtroppo. Anche se Berlusconi comprasse il partito, loro proseguirebbero ad andare al circolo, a beatificare il quadro di Togliatti e a votare quella casella.

La riflessione si deve allargare al di fuori del Pd. Vendola ha partecipato alle primarie per dare una voce concreta alle richieste di politiche non-liberistiche e non-capitalistiche che provengono da sinistra. In un paese in ginocchio per l’austerità, parlare di futuro sembra un divieto. Mentre si formano coalizioni con questi obbiettivi all’esterno della coalizione delle primarie, Sel non deve restare a guardare e chinarsi alle esigenze filomontiane del Pd. C’è da alzare il tiro e far capire – prima di tutto al Pd – che le risposte si hanno non con il blairismo di Renzi, non con il montismo di Bersani ma con proposte alternative e nuove. Forse si perderanno alcuni voti di centristi ma si conquisteranno coloro che vogliono davvero cambiare le cose.
A chi vogliamo dare ascolto?

 
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Pubblicato da su 27 novembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Un (altro) cartonato in politica


Renzi: pupazzo forzitaliota?Dal 1994 a oggi abbiamo vissuto una stagione politica in cui la democrazia propriamente detta è stata sospesa: una certa fetta del popolo italiano (circa 1/3 degli elettori) è stata irretita da un’operazione di marketing televisivo e mediatico, operazione che ha costruito un politico a partire da un imprenditore.
Sopra all’immagine dell’ìimprenditore di successo Berlusconi – tutti sono capaci ad avere successo con le sue amicizie, diciamolo però – è stato incollato il cartonato del leader politico. Tuttavia l’occhio attento poteva fin dal 1994 riconoscere che, dietro agli slogan, dietro alle parole di facciata, si nascondeva il nulla. Il Governo Berlusconi dell’ultima legislatura ha dimostrato con buona precisione questa teoria: il nulla siderale, l’assoluto cosmico del vuoto. Nessun programma, nessuna realizzazione: solo la sopravvivenza del governo stesso, dello stipendio dei parlamentari, l’impunibilità del Berlusconi indagato & inquisito.

La generazione che va dai 30 ai 50 ha l’occasione oggi di rivivere l’esperienza del 1994. Su una sponda (apparentemente!) differente l’operazione si sta ripetendo. Nome diverso, look diverso ma temi simili: l’analisi è inquietante.
Matteo Renzi è il prodotto di questo svuotamento contenutistico berlusconiano: in risposta al vuoto mentale insufflato dal sistema berlusconiano in questi anni – con l’eliminazione della scuola pubblica, con l’eliminazione della cultura in Tv, con l’arrivo di “reality” & simili al posto di questi fattori di crescita mentale – stanno cercando di impiantare un vuoto ancora più spinto, prodotto stesso del vuoto precedente.
Osserviamo bene Renzi. Programma patinato, look all’americana, campagna elettorale in grande stile, imponente presenza mediatica, grande capacità nel confronto con i mezzi di comunicazione, giovane età, slogan accattivanti… un programma fatto di slogan, dietro ai quali c’è il nulla o il “talmente vago che può starci di tutto”… la promessa di un cambiamento e della sparizione di chi ha causato i problemi all’Italia: e l’accusare la “passata generazione” di essere l’unica causa di questi problemi. Rimossa questa, rimossa i problemi.
Ancora una volta ricette e formule magiche che, miracolosamente, cambieranno il paese.
Anziché un uomo di cultura, uno statista, eccoci un altro prefebbricato.

Come diciotto anni fa molti italiani corrono a Renzi come le falene corrono alla luce: ciechi, incapaci di vedere e distinguere. Siamo un popolo che giace sul fondo della scala e sembra goderne. Vuole rimanerci a tutti i costi.
Molti italiani oggi corrono dietro a slogan e motti, non a programmi e ideali politici: una certa sinistra questo l’ha capito – è il merito di Vendola che, dietro alla campagna “Oppure Vendola” ha saputo inserire contenuti e programmi da vero “acchiappanuvole” – un’altra no e infatti rischia l’estinzione. Estinzione, però, che ancora uan volta non graverà sui politici inetti – Bersani la sua pensione ce l’ha assicurata – ma sugli italiani, che rischiano di essere governati ancora una volta da politici cartonati o, peggio, inetti teleguidati.Un programma cartonato: fcciate senza sostanza

Il programma di Renzi mi ha sempre evocato un’immagine precisa: quella delle facciate di palazzi dei set cinematografici. Possibilmente un western, in modo che la casa sia isolata nel deserto, o quasi. Un’immagine di tristezza e desolazione: un po’ il futuro che ci attende se avremo a che fare ancora una volta con un politico finto, attore vero.

Immagino che certi aspetti di questo post suonino come allarmismi vanitosi e saccenti: sono sicuro di non portare una soluzione definitiva e priva di difetti (Vendola) ma sono anche sicuro che Renzi non è una strada politica percorribile con onestà e senso civico. Renzi è il vuoto, è Berlusconi-dopo-Berlusconi, l’ennesima incarnazione di una politica fatta di finzione, menzogna, bei racconti e nessun contenuto reale. La sua vittoria sarebbe l’ennesima prova del controllo del denaro sulla nostra vita politica: cittadini illusi di poter vedere un paese migliore, irretiti dai colori e dalle luci, incapaci di vedere la realtà che si trova dietro la scenografia. Altre politiche liberiste, altro spazio per la finanza e altre riduzioni di diritti per i cittadini. Altri danni allo stato sociale, altre privatizzazioni, altra svendita di conquiste sindacali, altri appoggi a Marchionne, altri vincoli alla spesa che sopravanzano la necessità di spendere bene quel denaro. Altre parole-chiave, altri slogan, altre lucine che illudono. Altri voti buttati, trasformati in azioni dannose per la comunità. Se passano trovate del genere, davvero il danno più grosso del ventennio berlusconiano sarà quello alla cultura e il suo piano di attacco avrà conquistato una vittoria, incancrenendo l’Italia in un costante berlusconismo.
Un copione già letto, mi direte, l’abbiamo visto da vicino negli ultimi diciotto anni: eppure sta per andare di nuovo in scena.
Eppure c’è un’Italia migliore!

 
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Pubblicato da su 20 novembre 2012 in Politica

 

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Regole certe, non berlusconate


A poche ore di distanza mi trovo a scrivere di nuovo di Matteo Renzi e contorni, pur adottando toni completamente diversi.

Le strutture interne del PD si stanno per esprimere sulle regole che vorrebbero proporre per queste primarie – trattandosi di una questione di coalizione dovranno anche trattare con gli alleati, dopo aver preso posizione – e alcune norme emerse in questi giorni di bozze e idee hanno irritato non poco il giovane sindaco fiorentino.Renzi primarie pd regole

Si tratta di critiche nel merito delle norme proposte e nel merito della genesi di queste norme. Non volendo affrontare propriamente l’argomento delle norme, che non è di mia competenza, mi limito alla loro genesi.
Una genesi che potremmo definire del tutto particolare: se lo statuto prevede che il solo segretario del partito sia candidato a eventuali primarie di coalizione, l’idea di prevedere una deroga, una concessione o un sistema che consenta la partecipazione anche ad altri è emersa da subito, soprattutto in virtù dell’ingombrante presenza di Renzi.
Ci furono voci contrastanti, è ovvio: alcuni erano contrari alla possibilità che qualcuno che non fosse Bersani concorresse per la leadership del centro-sinistra a nome del Pd. Un’idea rispettabile ma sbagliata, intendiamoci: il sistema democratico deve prevedere la massima permeabilità e non si può pensare che un singolo nome, espresso anni addietro dall’assemblea, sia univocamente apprezzabile dall’intero corpus elettorale democratico.Peraltro ammettere da subito che una deroga sia possibile e giusta – cosa accaduta davvero – non consente, in un secondo tempo, di rendere questa deroga inefficace. La lealtà deve essere preposta a tutto, in questi casi, o si perde politicamente la faccia.

Il vero problema emerso in questi mesi è che, per molti, la partecipazione di Renzi alle primarie doveva essere solo una comparsata, necessaria per una verniciata di democrazia a una struttura che, in questi anni, si dimostra più che altro oligarchica.
Se Bersani incarna un establishment ormai datato, di cui si è fatto portavoce e “portaborse attuativo”, Renzi è l’immagine di un cambiamento – finto, come ho scritto ieri, perché anche il fiorentino è viziato della stessa malattia della menzogna dei colleghi d’un tempo – che non può essere soppressa senza ledere fortemente il cammino elettorale della sinistra. E l’Italia – l’Europa – ha ampiamente bisogno della sinistra al governo.

Si è dunque assistito a un balletto di regole che cambiano, di regole in cerca della formula giusta per mantenere l’aspetto della democrazia ma nel frattempo danneggiare Renzi – o chiunque altro si fosse candidato. Regole scelte veramente ad hoc – ad personam, diremmo in altri casi –  con complicazioni spesso manzoniane, il tutto gestito da un apparato di partito particolarmente solidale con l’attuale leader eletto. Insomma, è come se le regole di un gioco fossero cambiate da arbitri indicati da un giocatore, dopo che gli altri giocatori sono scesi in campo.
Abbiamo così assistito alla nascita del registro degli elettori – cosa buona, in verità, per limitare l’influenza dei voti esterni alla coalizione, magari pilotati per danneggiare il rivale – o alla quota di firme per presentarsi, al tetto di voti per provincia, fino al doppio turno.

Mi sembrano segni di terrore da parte del team pro-Bersani: suona davvero come se avessero una paura maledetta di perdere la battaglia. Allora ricorrono allo strumento preferito dal loro Grande Nemico che Fu: barare, truccare la corsa.
Intendiamoci: ciascuna delle modifiche al sistema delle primarie è ampiamente condivisibile: trovo saggio il doppio turno, trovo saggia la registrazione come “supporter” della coalizione, trovo abbastanza saggia la quota di firme per la candidatura.
Trovo inadeguata la tempistica: non si scelgono le regole a campagna avviata e a coalizione incerta. Prima si saldano le alleanze di coalizione, certificandole su un programma-base di linee guida da rispettare a prescindere dal vincitore, quindi si procede con l’elezione del leader (nella speranza che questa stortura istituzionale sia abolita dalla legge elettorale e che si torni a votare per il Parlamento e basta, lasciando a questo e al Quirinale l’espressione dell’esecutivo).
Che questi interventi siano stati realizzati appositamente per danneggiare Renzi o meno, quel che conta è l’impressione che forniscono del Pd: pessima, lasciatemelo dire. Sembra davvero che ci sia un gruppo di potere che non vuole mollare la poltrona e che questo gruppo di potere stia facendo di tutto, slealmente, per restare incollato alla guida del partito.

L’effetto elettorale può essere devastante: il Pd deve (ri)trovare una conduzione pienamente democratica, generata dal basso, condivisa dalla base. L’alternativa è diventare come il PdL: un Vendola primarie sinistra bersani renzi regole selcontenitore di idee senza senso destinato a distruggersi entro breve. 

Per chiudere: spero con tutte le mie forze che Renzi prenda una colossale batosta elettorale e sparisca dal panorama politico italiano al più presto, quindi voterò e sosterrò Vendola. L’Italia ha bisogno di sinistra, sinistra vera, non paraliberismo marchiato con una finta etichetta di sinistra. Servono politiche di sostegno agli strati deboli della popolazione, rinforzi al welfare, tagli a sprechi inutili, un reddito minimo garantito, la distruzione del precariato, la dissoluzione delle riforme di Monti. Renzi a queste cose non pensa, Vendola si. Avrà tutto il mio democratico appoggio.
Pur anti-renziano, però, non potevo tacere sull’errore madornale che sta commettendo il nucleo di potere al centro del Pd. Un conto è la rivalità, un altro è la lealtà.

 
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Pubblicato da su 4 ottobre 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Renzi: quel che non dovrebbe esserci


Riprendo a scrivere – per un po’ – su stimolo attento dell’attualità, perché di materia su cui scrivere ce n’è parecchia.
Qualche giorno fa Matteo Renzi è stato a Savona; il suo tour elettorale per le primarie della coalizione di centro(sinistra) l’ha portato in Riviera, con abbondante afflusso di pubblico, affascinato dall’orazione. Stimolato dalla questione, mi sono dedicato alla lettura del programma di Renzi: avevo già letto (e commentato) i suoi 100 punti, trovandoli drammatici come programma della sinistra. Ora mi son dedicato a una nuova analisi. Con risultati diversi, anche se altrettanto preoccupanti.

Devo dire che l’attuale programma, rispetto ai 100 punti, è un passo avanti. Leggendo bene le materie trattate e gli spunti si respira, finalmente una certa aria di sinistra, quell’aria di cui ha tanto bisogno il paese. Non abbastanza, secondo me, ma un passo avanti rispetto a novembre 2011.
Ovviamente le delusioni non mancano… e ve le elencherò tutte.

Il primo elemento, che già da solo basterebbe a far buttare Renzi, il programma e i suoi collaboratori nel primo depuratore per il riciclaggio è l’appoggio all’opera di Monti. Renzi – e la Bindi, che mi ha profondamente deluso per questo – intende porsi in continuità con l’operato del governo Monti.
Partiamo dal presupposto che Monti è l’esatto opposto di una politica sociale degna di un qualunque partito di centro-sinistra (per non dire cattolico, com’è Renzi). Il PD fino a ora ha condotto una politica becera al riguardo, appoggiando Monti perché, se fossero finiti loro al governo con nuove elezioni, non avrebbero saputo dove mettere le mani. Serviva uno strumento di distrazione. A farsi distrarre, però, sono stati i dirigenti del PD, che oggi intendono proseguire l’opera di Monti. Renzi in testa.
Anche se vorrei un sano partito socialdemocratico – non alla Berlusconi – che remi ampiamente contro l’intero sistema liberale made in Monti fin da subito, potrei tranquillamente accettare di supportare, di fronte a un programma valido, anche qualcuno che fin’ora l’abbia appoggiato in parlamento, quantomeno definendolo un “male necessario”. Un politico del genere, in assenza di seri soggetti di sinistra vera, mi andrebbe bene. Avere a che fare con un sindaco che intende proseguire sulla strada di Monti – vedrete cosa dirò in materia di previdenza – mi fa rabbrividire. Mi aspetterei, almeno, l’intenzione di smontare parte delle riforme montiane – almeno il pareggio di bilancio in Costituzione, vi prego – e l’idea di instaurare un serio sistema di welfare state alla scandinava. Almeno. Mica pretendo del socialismo reale, peraltro impossibile (Popper l’ho letto…).
Detto questo, che basterebbe per chiudere, torniamo al programma di Renzi. Oggi i punti dolenti, domani le positività. Sono indicati proprio con la numerazione del programma renziano, che trovate qui, in modo da avere una semplice consultazione sinottica.

1.b Allo stesso tempo, i cittadini devono poter scegliere un leader messo in condizione di governare per l’intera legislatura e di attuare il programma proposto alle elezioni
Un che? Un leader?
Perché mai?
Questa frase indica quanto profondamente abbiano inciso vent’anni di berlusconismo. Ora serve un leader. Peggio, questo deve poter governare dopo le elezioni. Magari pretenderà anche che nel governo ci sia il partito di maggioranza relativa, per forza, senza possibilità che a governare sia una maggioranza diversa.
Così possiamo buttare la repubblica parlamentare lasciataci dai Padri!
La struttura istituzionale del paese prevede espressamente che il governo possa cadere e possa formarsene un altro. Non è un difetto, è un pregio.
Significa che il centro del nostro paese è il Parlamento, non il governo. E va benissimo così: non lo voglio eleggere il Presidente del Consiglio dei Ministri (che non è il Primo Ministro). Voglio che lo nomini il Quirinale, sentiti i partiti. E voglio che sia un funzionario che dirige l’operato del governo, il quale, a sua volta, rende operative – esegue – le decisioni del parlamento.
Voglio che, come insegna la Costituzione, sia il Parlamento il fulcro democratico del paese.

3.a Ridurre il debito attraverso un serio programma di dismissioni del patrimonio pubblico
Ottimo. Non pensiamo alle generazioni future, freghiamocene di cosa lasciamo al paese di domani. Vendiamo tutto.

Il debito non si riduce svendendo le proprietà: si riduce soprattutto recuperando quel che è stato tolto e quel che cercheranno ancora di togliere (evasione fiscale, per esempio). Si riduce rendendo produttiva la popolazione con una sana – e onerosa – politica di sostegno sociale.
Vorrei dire che riduce cambiando radicalmente il sistema economico di riferimento… ma poi mi danno dell’utopista.

4.d.1 Mettere a punto un sistema di valutazione delle università e sostenere quelle che producono le ricerche migliori.
Ho sempre sognato anch’io che ci fossero università di serie A e università di serie B.

Davvero.
Era un incubo, certo, l’incubo dell’abolizione del diritto allo studio e dell’uguaglianza.
L’azione da compiere è l’esatto inverso: le università più deboli vanno riempite di docenti giovani e competenti, entusiasti, coperti di fondi affinché producano e portino all’eccellenza anche quegli atenei. L’offerta pubblica – a tutti i livelli – deve essere di qualità altissima e il più possibile di ugual qualità su tutto il territorio nazionale (con l’ovvia attenzione alle eccellenze: ingegneria navale a Perugia la vedo insensata).

4.d.3. Consentire a tutti gli studenti universitari di finanziarsi gli studi e le tasse. Obbligo per le Università di stabilire accordi con almeno tre banche (di cui almeno una locale e almeno una nazionale) per i finanziamenti agli studi universitari, garantiti da un fondo pubblico di garanzia.
Quale gloriosa americanata! Dai, mettiamo il futuro dei giovani, il loro diritto a formarsi, nelle mani delle banche. Già più o meno ce l’hanno diamoglielo del tutto.

Se non si fosse capito, ho in mente una scuola pubblica eccellente e gratuita, che consenta l’accesso ai massimi livelli sulla base del merito, non su quella del denaro.
Il denaro non deve poter comprare nulla di fondamentale per la vita: solo i gadget.

5.a.2 Liberalizzare davvero per far scendere le tariffe.
Ottimo. S’è visto come sono scese le tariffe in materia energetica dopo le liberalizzazioni. O nel campo del carburante.

Non sono un genio dell’economia ma vedo anch’io – chi non lo vedrebbe? – che il liberismo non funziona. Crea delle enormi problematiche economiche dove c’è un welfare state (Europa) o delle disgrazie sociali dove il welfare state non c’è (Stati Uniti). Non sono un fan della programmazione quinquennale di sovietica memoria ma credo che in molte materie l’intervento statale sia fondamentale per evitare che i ricchi si arricchiscano di più e i poveri si impoveriscano. Possibilmente dovremmo studiare un sistema per ottenere l’effetto opposto, riducendo il gap di benessere (anche tra le nazioni, ma è un altro discorso).

6.f.La riforma previdenziale introdotta da Elsa Fornero non verrà messa in discussione
Questa è la chicca. Ne parlavo in apertura: ci sono alcune questioni sulle quali ogni programma sano di sinistra deve mirare a smontare al più presto l’operato di Monti. Uno è il sistema previdenziale. È tassativo e inderogabile.

Assieme ci metto la modifica dell’Articolo 18 (che andava modificato, certo: estendendolo a tutti i contratti e imponendo pene più severe) e il pareggio di bilancio in Costituzione.

Appena possibile tratterò i punti positivi del programma fiorentino, quindi passerò a ciò che manca.
Il vero problema, però, non è soppesare pro e contro: è capire qual è l’idea di base che muove il modello renziano. E questo modello a me sembra del tutto inadatto alla sinistra, al buonsenso, all’amore fraterno che muove i cristiani. Parlo di fondamenti, ovviamente, non di singoli provvedimenti.

Ora andiamo, si fa tardi.

 
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Pubblicato da su 17 settembre 2012 in Politica

 

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Una costituente cristiana per la politica


Nel recente impegno nel campo politico avverto con crescente onere un malessere che mi colpisce ogni volta che mi avvicino a una qualche forza politica: l’incoerenza delle forze politiche con l’idea cristiana di società e di politica stessa.
Gli attacchi a Fioroni sorti dopo l’espressione della sua opinione sui matrimoni gay sono esemplari dell’intolleranza alle idee altrui che regna in politica: tolleranza e confronto costruttivo, invece, per me sono tutto.
Suona quindi complicato essere cattolici – cristiani – a sinistra: vuoi per vecchie remore dei “comunisti”, vuoi per una certa ignoranza di fondo dei concetti basilari della dottrina sociale, vuoi per posizioni dogmatiche della sinistra, spesso in contrasto tra loro, assunte al solo scopo di rompere con il cristianesimo.
Dall’altra parte, essere cattolici – cristiani – e stare nel centro destra è praticamente impossibile; la scelta in quel caso sarebbe tra scegliere chi usa i valori cristiani come bandierina da affiggere sul petto per recuperare voti o tra chi neppure ci prova, ma tanto va bene comunque perché possiede tre televisioni e riesce a far dimenticare le porcate anticristiane commesse negli anni.
Il panorama politico che si definisce cristiano, poi, è spesso squallido e minimale: gestione politica assente, coordinamento nullo, competenze scarse. Capacità relazionale non parliamone. Serietà solo per scherzare. Il peggio della peggior DC.

Non bisogna d’altronde pensare che i filoni cristiani della politica fin qui visti in campo siano perfetti e immacolati, anzi; non è raro assistere a derive estremamente conservatrici, eccessive per il sentire politico del paese e dei cittadini – cattolici e non. Posizioni quasi dogmatiche e, come al solito, molto più rigide della dottrina stessa della Chiesa. La laicità dello stato, dopotutto, significa che il potere religioso non deve poter direttamente influenzare le decisioni politiche o prevaricarle. Questo va assolutamente preservato.
Tuttavia assistiamo a richieste di “silenzio” da parte di certe forze politiche – compresi molti soggetti del PD – che vorrebbero semplicemente zittire la Chiesa (mentre esternazioni di altre realtà religiose sono ampiamente tollerate e discusse nel merito). Questo, anziché essere chiamato laicità, è discriminazione: la Chiesa italiana, in quanto associazione di cittadini italiani, ha tutto il diritto di dire la sua riguardo qualsiasi questione ritenga opportuno: dopotutto è un diritto garantito dalla Costituzione, anche se a volte viene dimenticato.

Credo sia allora necessario uno sviluppo ulteriore dell’impegno in politica dei cattolici: un impegno diretto, franco e leale, aperto al confronto e coerente con le posizioni etiche e sociali della Chiesa. Spero si possa giungere al superamento del bipolarismo – a mio parere distorcente della democrazia italiana – e, soprattutto, al superamento della scelta sacrificale dei cristiani: privilegiare le scelte etiche o quelle sociali?
Da anni, infatti, abbiamo due schieramenti abbastanza definiti, nessuno dei quali soddisfa i comuni criteri di una politica appieno cattolica. Se a destra c’è un – apparente, ipocrita e falso, purtroppo – rispetto delle posizioni etiche della Chiesa, pur con frequenti negazioni delle più avanzate evoluzioni di queste idee, manca completamente il rispetto delle posizioni della dottrina sociale, imprescindibile perno della vita civile.
Dall’altra parte abbiamo una sinistra che, confermando la sua dedizione alle posizioni sociali più idonee alla Chiesa (con la recente e notevole eccezione di molte opinioni supportate dal PD, assolutamente inadatte alla sinistra stessa), è spesso venuta meno la sensibilità etiche, come ricordiamo con l’orrore del supporto ai Radicali, partito pensato per minare il radicamento dei valori cristiani nella nostra società.

Serve allora un programma di base e un impegno concreto per riaprire ai cattolici la piena partecipazione politica, senza dover cedere al liberismo del centro-destra e senza dover accettare inopportune posizioni etiche, come per il centro sinistra.
Idealmente, è necessario che i cristiani si uniscano attorno a un fulcro e penso che due siano gli elementi capaci di catalizzare tale operazione: il Vangelo e la Costituzione. Da lì possiamo veramente dare un contributo importante al futuro del nostro paese.

 
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Pubblicato da su 27 giugno 2012 in Politica, Teoria

 

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Le responsabilità (storiche) della sinistra e della politica italiana


La diatriba – secondo me pittoresca – tra Nanni Moretti e Fausto Bertinotti circa le responsabilità dei “comunisti” nel crollo del governo Prodi e nel successivo dominio berlusconiano del paese – realmente una pagina cupa e oscura, seconda solo al Ventennio in quanto a orrori e storture della democrazia – cade nel bel mezzo della rilettura di Bloch, “Apologia della Storia”, testo che è pietra miliare della mia formazione storica, che dovrebbe essere lettura per tutti i cultori e che dovrebbe interessare, in qualche modo, anche cronisti e politici. 

L’intervista a Moretti, pubblicata da Repubblica, contiene alcuni spunti interessanti che meritano una certa analisi. Non sono d’accordo con il regista quando dice che “manca una vera opinione pubblica”: credo, invece, che l’opinione pubblica ci sia eccome. Semplicemente quest’opinione pubblica è più interessata a X-Factor o all’Isola dei Famosi piuttosto che alla politica economica, al conflitto di interessi o allo stato delle carceri.Dopotutto si tratta di un paese in cui una persona su sei non va a votare alle elezioni politiche, occasione in cui una su tre di quelle che lo fanno sceglie deliberatamente di sostenere con il voto un tizio che, palesemente, da vent’anni gestisce il paese come un’industria propria, modificando leggi e sistemi per ottenerne il massimo profitto.

Si tratta, allora, di un problema di responsabilità civile e, prima ancora, di buonsenso. Ma, si sa, il buonsenso non è soggetto a cui assegnarsi per fiducia, meglio allora puntare sulla sensibilizzazione e sullo stimolo critico.
Non credo, infatti, che l’aggressione frontale al sistema scolastico perpetrata dalla destra sia un caso; piuttosto una strategia di “indebolimento” del pensiero critico, una trasformazione della scuola da “allevamento di cittadini” a “fornitrice di informazioni tecniche”. Perché, in effetti, è questo che vuole il sistema capitalistico: una scuola che insegni “utilità” da impiegare sul lavoro, possibilmente senza pensare eccessivamente e, soprattutto, senza dedicarsi a iniziative critiche personali. Il volere del padrone non si discute.

Io, che credo nel mandato di formazione di cittadini responsabili e consci dei loro diritti/doveri, ripudio completamente questo approccio e, in prima istanza, do la colpa del suo successo all’estrema debolezza e incapacità della sinistra. PD, soprattutto il PD: ma il PD, si sa, è figlio dell’insuccesso dell’Ulivo, frutto esso del “tradimento” di Bertinotti.
In storia, però, si devono sempre rifiutare le cause monolitiche, si deve rifuggere dall’idolo delle origini (grazie prof. Bloch). Quindi non scarico su Bertinotti l’origine del processo causale: gli assegno, invece, una profonda responsabilità, un ruolo di concausa. Perché è noto che la sinistra sappia farsi male da sola, scindersi inopportunamente, non cogliere il momento in cui stringere i denti per evitare il peggio. Lo fa a sproposito, di contro, come nel caso del governo Monti.
Grazie tante.

La sinistra italiana ha così perso un treno importante; arenandosi su questioni secondarie e dedicandosi a battaglie ridicole – eutanasia, no TAV, no global, missioni NATO – ha lasciato mano libera ai governi-fantoccio del Nano in materie veramente centrali, senza le quali ciò per cui ha combattuto risulterebbe comunque non fondante: giustizia, leggi ad personam, istruzione, sanità, informazione, conflitto d’interessi, mafia, evasione fiscale, immigrazione…
Un po’ Moretti fa sorridere quando ricorda i suoi “girotondi”: serviva ben altro per destare un minimo la sensibilità italica. Non l’abbiamo fatto e oggi ne paghiamo carissime conseguenze. Berlusconi e Monti, in serie ma con diverse modalità, stanno snaturando (distruggendo) lo stato sociale costruito con duri sacrifici e durissime lotte; il successo del secondo, poi, è costruito perlopiù sull’inadeguatezza del primo. Un po’ come se, dopo un decennio di nazionali di calcio costruite convocando calciatori di prima e seconda categoria, oggi convocassero qualcuno della serie D: pur sempre brutte partite ma, almeno, qualche passo avanti.
Che molti rimpiangano il Nano, poi, è sinonimo dell’insipienza della mente italiana media.

Cosa resta da fare? Uscirne. Uscirne al più presto. Per uscirne serve uno sforzo culturale enorme da parte della sinistra: è necessario sapersi lasciare alle spalle i faldoni del passato, ammettere che non tutti i padri della sinistra sono attuali/sensati (a partire da Marx) e, tenendo d’occhio i valori, rivoluzionare la struttura, le pratiche, il linguaggio, le persone, gli obbiettivi pratici.
Sembrerà quasi che si debba uccidere la sinistra: da un certo punto di vista è così. Si deve cancellare il tutto per ricostruire: la “resurrezione” post mortem oggi è forse l’unica possibilità per garantire il successo, domani, dei valori per i quali la sinistra lotta da decenni. Si, quei valori che il suo elettorato vuole veder affermati.

 
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Pubblicato da su 13 marzo 2012 in Politica

 

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Ora aspettiamo la Consulta


Mercoledì sapremo come andrà a finire la nuova puntata della storia del referendum sulla legge elettorale.
Dopo la conta della Cassazione, era giunta la comunicazione: il mezzo milione per ciascun quesito è stato raggiunto e superato. Conclusa quell’operazione, hanno smesso di contare: per sapere quante firme sono state raccolte, almeno per avere una stima, sarà necessario attendere ancora un po’, fino a quando la Cassazione non avrà comunicato anche il tasso di “bocciatura” dei promotori, cioè la percentuale di firme non valide. Fatto quello, basterà una semplice proporzione.
Interessante che a contendersi il record in firme siano due referendum sulla legge elettorale, distanti quasi vent’anni: quello del 1993 – ancora non votavo – e quello che potrebbe tenersi nel 2012. Affascinante davvero: forse il popolo vuole avere qualche voce in più nella gestione di molte cose, invece di sopportare decisioni altrui. Peggio, di sopportare decisioni prese da chi dovrebbe rappresentarlo ma, causa legge elettorale fatta da un leghista, non può neppure scegliere. La legge elettorale ideale nell’era del Nano, l’era delle menzogne, l’era del finto presidenzialismo in una repubblica parlamentare.

Non è un caso che l’Italia sia una repubblica parlamentare; l’assetto istituzionale emerse dalla costituente e fu il frutto del Ventennio fascista. Meno poteri in mano alle singole persone, più poteri agli organi rappresentativi e collegiali: una lezione che dovrebbero imparare tutti. In fin dei conti, unificare poteri in una singola persona è alquanto stupido, meglio dilazionarli su organi plurimi, oltre che dividere i poteri, classicamente, su organi distanti.
Mi piace, senza dubbio, la corresponsabilità dei parlamentari molto più del direttivismo univoco del presidente.

I discorsi dei prossimi giorni saranno senza dubbio incentrati su cosa deciderà la consulta mercoledì; l’11 gennaio sembra essere una data spartiacque non solo per il referendum ma per buona parte dei partiti. Di conseguenza per il governo Monti.
L’approvazione del referendum, infatti, potrebbe far precipitare velocemente la situazione verso nuove elezioni – con vecchia legge. Il motivo principale risiede nella volontà di alcuni leader politici: ci sono partiti partiti – PdL e PD in primis – non gradiscono il ripristino del mattarellum; il Nano, in particolare, detesta tutto ciò limita il suo controllo sulla vita del paese. Una legge elettorale che introduca – sia mai – le preferenze popolari rischierebbe di impedirgli di far pagare a noi lo stipendio dei suoi avvocati, lacché, escort e simili. Non che le segreterie di altri partiti siano di idee molto difformi, purtroppo.
Le strade per bloccare il referendum – a parte creare una nuova legge elettorale, ma se non andasse nella direzione dei quesiti sarebbe una vigliaccata talmente grave che dubito passerebbe – sono due e passano entrambe per lo scioglimento delle Camere:
la più veloce consiste nello scioglierle al più presto, in modo che si voti subito (marzo?) senza neppure che la macchina referendaria passi
la più lenta, che darebbe tempo a Monti di stabilizzare ancora un po’ il paese, forse nostro malgrado, consiste nell’attendere e, poco prima del referendum, sciogliere le camere, bloccando de facto la consultazione popolare. Un referendum, infatti, non può tenersi nello stesso anno dello scioglimento delle camere… un bell’inghippo, anche se le elezioni fossero fissate in data successiva al referendum.

C’è poi da valutare la vacatio legis, ovvero la risposta alla domanda: con quale legge si voterebbe se nel referendum vincesse il si? Sarebbe automaticamente ripristinato il Mattarellum o ci troveremmo in assenza di una norma che diriga la questione?
Nel caso non fosse dato per scontato il ripristino della legge che abolisce il Mattarellum – nota come Porcellum, quale fantasia – la Corte Costituzionale darebbe sicuramente parere negativo: s’è sempre espressa contro la vacatio legis, non a torto, e in materia elettorale sarebbe estremamente inopportuno non avere sempre una legge pronta all’uso.

Lascerò per un prossimo post la mia valutazione su come dovrebbe essere un sistema elettorale saggio per l’Italia, rappresentativo, democratico, parlamentare.
Per questa domenica, invece, accontentatevi del post di attesa della decisione della Consulta: mercoledì sapremo, mercoledì scriverò ancora. Però un consiglio: pregate le vostre divinità che ci liberino del porcellum perché un paese civile non può andare a votare con un sistema senza preferenze, a liste bloccate, con premio di maggioranza e con indicazioni incostituzionali su cariche non elettive.
Ci deve essere un limite allo schifo.

 
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Pubblicato da su 8 gennaio 2012 in Politica, Sproloqui

 

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Articolo 18: diritti e proposte


L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori – quello che impedisce il licenziamento senza una giusta causa – è al centro di numerose polemiche, che stanno caratterizzando queste giornate. Dall’apertura della della Fornero agli esimi pareri di numerosi giuslavoristi, si sente vociare circa la necessità di una riforma di questo articolo e, ancor più, della sua applicazione.
Posso dire di essere d’accordo sulla necessità di una severa riforma della disciplina, non c’è alcun dubbio; ritengo, tuttavia, che la mia opinione sia saldamente differente da quella della Fornero, degli imprenditori e di molti politici/politicante che si dicono “di sinistra”. Estremamente diversa.

Ci sono dei criteri di fondo che nella disciplina del lavoro non possono mai essere scordati. Il primo è il diritto al lavoro; il lavoro – non l’impresa – è il fondamento su cui è costruita l’Italia. La nostra Costituzione – e ogni volta che la rileggo, trovo che sia un documento programmatico di una bellezza, profondità e sensibilità sociale tanto affascinante e condivisibile, quanto spregiudicata – sancisce questo elemento con l’Articolo 1 e ribadisce l’importanza del lavoro, tanto da farne un diritto, con l’Articolo 4.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ho sottolineato la seconda parte perché credo sia una caratteristica splendida di questo articolo: ci dice non solo che lavorare è un nostro diritto ma che spetta allo Stato fare in modo che ci sia lavoro per tutti. È un espresso compito della Repubblica produrre quelle condizioni economiche e sociali che consentano a tutti di avere un lavoro e, attraverso questo, mantenersi dignitosamente (lo aggiunge il comma successivo): sarà anche una Costituzione criptocomunista ma ne sono innamorato!
Credo che non ci si debba arrendere sulle difficoltà di attuazione e, pertanto, credo che non si debba cedere in materia di Articolo 18. Semmai bisognerebbe rilanciare.
Bisognerebbe rendere l’Articolo 18 il grimaldello con cui forzare la serratura del “sistema capitalistico” e rovesciare un’ottica talmente sorpassata da risultare inadatta alla Costituzione. E, badare bene, non è la Costituzione a essere antiquata, bensì quest’atteggiamento neoliberistico che nasconde, assieme a una buona dose di egoismo, classismo ed elitarismo, una sana dose di malvagità sociale. Penso, in verità, che la Costituzione sia uno splendido programma su cui dobbiamo camminare, con perseveranza e costanza, senza dimenticare gli errori del passato ma tenendo bene a mente che la destinazione è sacrosanta.

Cosa significa questo, in pratica? Che, tutto sommato, il modello di flexicurity mi piace e potrebbe essere convincente. Non ho mai nascosto di essere un sostenitore del modello scandinavo – una socialdemocrazia che tenga al centro i lavoratori e i loro diritti, la garanzia che possano vivere del loro lavoro, sempre – e che mi piacerebbe assistere alla sua implementazione in Italia, pur ritenendola estremamente difficoltosa. Il testo di Ichino al riguardo è abbastanza illuminante e abbastanza condivisibile: forse troppo. Sembra quasi di leggere il Paradiso dantesco, per certi aspetti.
Non sono, invece, d’accordo sul metodo di attuazione. Non credo che il primo passo sia incidere sull’Articolo 18: credo, invece, che il primo passo sia incidere sulla contrattazione a tempo determinato e sul precariato. La garanzia va data ai lavoratori, non alle imprese; e la storia che senza imprese il lavoro non c’è, non regge. L’impresa deve, come i lavoratori, adeguarsi alla regolamentazione, volente o nolente; allo stesso modo dei lavoratori, al cambiare delle regole può adattarsi o estinguersi. Essendoci (molti) più lavoratori che imprenditori, il buonsenso dice che si debbano tutelare questi cittadini, proprio perché sono un’ampia maggioranza – il che non vuol dire affossare l’impresa, ovviamente, ma far pagare il giusto dazio. Dopotutto, un imprenditore che non sa stare alle regole dovrebbe finire in mezzo a una strada quanto un lavoratore licenziato, quindi…
Cancellati i contratti precari, si può passare alla costruzione di un modello a garanzia occupazionale, ma flessibile, può essere una risposta. Ma il primo passo non deve essere l’eliminazione delle garanzie, bensì la loro estensione; nel secondo tempo andrai a incidere sulla struttura del contratto e non è detto che l’intervallo debba essere lungo. Forse solo il tempo necessario per stabilizzare il mercato occupazionale.

In fin dei conti, si torna a quanto dicevo e scrivevo di Popper. Lui sosteneva che, in una società aperta, bisognasse dare la priorità alla libertà sull’uguaglianza, perché tra non liberi non può esserci vera uguaglianza. Io ho ribattuto, di contro, che ritengo entrambe massimamente importanti: credo che la Costituzione vada per questa strada, ne sono ragionevolmente sicuro. Non possiamo prescindere dall’uguaglianza per costruire vera libertà. Non possiamo e, anche se potessimo, non dobbiamo volerlo. L’alternativa è rimanere in un mondo di ineguaglianze e scivolare lentamente lungo una china che non mi piace affatto.
E, sinceramente, la ben poca chiarezza della sinistra – del PD in particolare – nel fronteggiare le proposte riguardo la distruzione dei diritti dei lavorati, suona come un allarme che dovremmo seguire con maggiore attenzione. ll liberismo ha smantellato la nostra società, ha condotto l’umanità a un nuovo stato di barbarie; ha anche portato a importanti conquiste, ci mancherebbe. Ma non possiamo dimenticare che le conquiste sociali sono figlie più delle lotte marxiste – e non sono marxista – che della struttura liberal-capitalistica della nostra società (oltre che della dottrina sociale della Chiesa: non la dimentico mai). Forse è ora di cambiare non solo le carte in tavola, ma il gioco stesso: serve un gioco senza un banco che vinca sempre, tra soggetti sempre e comunque uguali.

 
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Pubblicato da su 22 dicembre 2011 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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