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Archivio mensile:aprile 2011

AIA, Palestra di legalità


Quello che potete leggere di seguito è un articolo che ho scritto per Homo Nero, la rivista periodica della sezione AIA di Savona. Ebbene, oltre che scout, appassionato di storia, filosofia e politica sono pure un arbitro di calcio.
Mi son trovato a rimuginare il contenuto dell’articolo per un po’ di tempo, forse un mese, nell’attesa di scriverlo; i concetti erano lì, da afferrare e rendere con parole chiare. Spero che l’esercizio da articolista abbia raggiunto il suo scopo e trasmetta l’urgenza dell’emergenza democratica del paese, rappresentata attraverso lo sguardo del campo da calcio: credo che prelevare questa sezione della società e analizzarla, come con una sezione di organo per le analisi al microscopio, possa rivelare moltissimo dello status dell’intero organismo, la nostra povera Italia. Buona lettura.

Le difficoltà istituzionali che il nostro paese sta vivendo in questo periodo sono l’esito di un processo a lungo termine di complessa individuazione, quantomeno per noi che viviamo al suo interno e che ne siamo protagonisti, ma che può essere ricondotto a una difficoltà nell’accettare la legalità come parte integrante della società odierna. È ancor più evidente la fatica individuale – dei singoli – a vivere la legalità come valore personale della vita concreta e quotidiana. Ricevere una raccomandazione è “cosa quotidiana”; farsi stralciare da un amico vigile una multa è un “normale favore”; ritoccare la dichiarazione dei redditi è “qualcosa che fanno tutti”; aggirare una lista d’attesa per una visita ospedaliera “una furbizia”.

Contestare l’arbitro o simulare un fallo da rigore “un’astuzia di esperienza”.

Credo che noi arbitri di calcio viviamo un ruolo di privilegio e di responsabilità. Privilegiati perché siamo sentinelle sulla soglia della società: a contatto con i giovani, immersi in un ambiente di competizione aperta che favorisce il confronto sano e sincero, possiamo studiare e individuare per tempo fenomeni che coinvolgono, appunto, le generazioni più giovani, vivendole sulla nostra pelle. Responsabilità perché assumiamo un ruolo di garanzia e ufficialità, di simbolo dell’autorità ed esempio: l’arbitro in campo deve essere maestro e guida, soprattutto rappresenta una norma super partes che deve calarsi, attraverso il nostro operato, nella realtà della partita.

Giudici, notai e sentinelle.

Qui è possibile inserire una riflessione più mirata frutto degli anni trascorsi sui campi, delle discussioni con i colleghi e delle notizie sportive che da tutto il paese giungono all’orecchio attento. I problemi non compaiono all’improvviso ma sono annunciati per tempo, molte le spie che possono segnalarli; queste, spesso, sono voci di chi grida nel deserto e non vengono accolte, registrate o individuate. Per questo vorrei soffermarmi su questi passaggi che noi arbitri abbiamo vissuto negli ultimi anni. Sia chiaro fin da subito che non si tratta mai di cause univoche: il calcio è una delle realtà – una realtà minore – della nostra società. Eppure sappiamo già che lo sport sa essere specchio di situazioni più complesse e non possiamo negargli attenzione, soprattutto non possiamo noi che del calcio facciamo scelta ben al di là del fischietto. Arbitri, dopotutto, lo siamo fuori e dentro il campo, arbitri lo siamo nelle scelte di ogni giorno.

Credo che ciascun collega conosca perfettamente le esperienze che andrò a descrivere; parliamo di legalità e di rispetto delle regole. Non penso che giocare secondo le regole sia una questione fine alle regole stesse; meglio, forse può esserlo nello sport, che è definito proprio dalla presenza di regole specifiche (o basket, calcio e rugby non avrebbero differenze). Eppure lo sport è palestra di vita e della vita è specchio: l’abitudine ad aggirare le regole scritte e comuni è nello sport come là fuori, nelle nostre giornate.

Certo non possiamo stabilire dove il ciclo inizi; dopotutto non ci interessa sapere se essere scorretti in campo è frutto o germe dell’essere scorretti nella vita, qualora questo dubbio avesse senso (e io credo di no). Possiamo però riflettere su ciò che possiamo fare noi, cittadini e arbitri, al riguardo. Arbitri-cittadini, direi io. Ci viene in aiuto il regolamento dell’AIA: “Gli arbitri, in ragione della peculiarità del loro ruolo, sono altresì obbligati: […] ad improntare il loro comportamento, anche estraneo allo svolgimento della attività sportiva nei rapporti con colleghi e terzi, rispettoso dei principi di lealtà, trasparenza, rettitudine, della comune morale […].

Siamo a mio modo di vedere degli esempi di comportamento e di rettitudine: il clima di profondo disordine che respiriamo sui campi – basti pensare alle piccole astuzie e scorrettezze delle squadre e dei calciatori che di volta in volta sono messe in pratica – non deve coinvolgerci. Anzi, deve esortarci a vigilare ancor più sul rispetto delle regole.

Potremmo chiederci perché queste regole siano così importanti; nel calcio e nella democrazia le regole sono ciò che dividono il divertimento – o lo stato positivo – dal caos e dall’anarchia. Non sono importanti in quanto regole ma assumono un valore superiore perché condivise e sottoscritte da tutti coloro che vi si relazionano. In quanto calciatori, in campo tutti sanno di dover rispettare il regolamento e dovrebbero attendersi che esso sia fatto rispettare, perché quelle regole distinguono il calcio dal basket o dal football. L’insieme delle regole definisce ciò che il calcio è. Analogamente, una Costituzione definisce ciò che è uno stato: la Repubblica Italiana è tale perché ha una Costituzione che ne descrive i principi, i valori e le istituzioni.

Accetto di giocare a calcio e, contestualmente, accetto di rispettare le regole, appongo la mia firma in calce al regolamento.

Vivo in Italia e, contestualmente, ne accetto l’aspetto istituzionale, la Costituzione.

Non mi piacciono le regole del calcio, cambio sport o redigo una proposta di modifica per l’IFAB; non mi piace una legge o vedo una mancanza nella legislazione italiana, emigro o faccio pervenire alle Camere un Disegno di Legge. E le modifiche – si badi bene – non possono snaturare l’origine: non ha senso che proponga l’uso delle mani da parte degli attaccanti più di quanto non ne abbia proporre la transizione da repubblica a monarchia.

Riprendendo il filo calcistico della questione, dubito che qualcuno di noi colleghi non abbia mai assistito a tentativi di forzare le regole, di piegarle alle proprie esigenze, analogo comportamento di alcune forze politiche nell’Italia d’oggi. Fin dalle più giovani categorie sentiamo allenatori e genitori sussurrare suggerimenti ai calciatori riguardo a colpire quando l’arbitro è girato, a spingere l’avversario con il petto tenendo ben aperte le braccia, a protestare per mettere pressione all’arbitro, in modo che sbagli, a deridere e provocare l’avversario. Quante proteste plateali per decisioni altrettanto platealmente corrette abbiamo subito? Quanti gesti di scorrettezza sono scambiati per “giusta astuzia”, anche da noi che – dopotutto – siamo parte del meccanismo stesso?
Non è certo il problema calcistico a preoccuparmi: dopotutto, è un gioco. A lasciarmi perplesso è il farsi strada di questa stessa idea (ideologia?) nella vita quotidiana, un avanzare veicolato anche dallo sport, in particolare dal calcio, per noi. Perché barare sul tesseramento di un ragazzino di dodici anni è un conto, corrompere un testimone è un altro, modificare le leggi per evitarsi una condanna un altro ancora. Siamo spinti a ritenere che “esser furbi” sia un valore o, quantomeno, una cosa giusta per proteggere i propri interessi. Io penso di no e penso che la formazione arbitrale non sia indifferente in questa mia opinione. Penso anche che come arbitri possiamo, nel nostro piccolo, essere maestri di legalità, mostrando che il rispetto delle regole porta a un maggior divertimento reciproco e che proprio questo divertimento costituisce il fine del calcio, anziché la vittoria. Se questo messaggio avesse successo, il passaggio ulteriore sarebbe quello di transitare la correttezza e il rispetto delle regole nella vita quotidiana: non spetta a noi, certo, ma avremmo seminato bene.

Seminare e attendere che i risultati crescano è, certe volte, tutto ciò che possiamo fare.

 
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Pubblicato da su 20 aprile 2011 in Politica, Sproloqui

 

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Letture


Questo è un post d’interludio, un po’ come quello sul Silvio nazionale e sulle scomuniche.

Mi devo dedicare a un po’ di sane letture, visto che da domani non avrò esami per un paio di mesi e che la ricerca di un lavoro non è osteggiata da questa attività (anche se, ovviamente, inizierò presto a dedicarmi ai libri per giugno).
Ho un po’ di libri in arretrato e un po’ di letture che vorrei acquisire nella mia biblioteca sempre più corposa, mi serve un po’ di aiuto per decidere. Vediamo di schematizzare la situazione attuale, tra letture in corso, letture già acquistate e letture papabili.

In corso:
Limit, di Schätzing, Frank: Non male anche se estremamente corposo (oltre 1300 pagine), almeno per quello che ho letto fn’ora (130 pagine). Spero però decolli e senza dubbio non è libro da portare in treno o nello zaino. Questo te lo leggi a casa…

Acquistati:
Dresden’s file 1, 2, 3, di Jim Butcher: Una bella saga fantasy contemporanea, da cui hanno anche tratto una serie TV, molto molto Mage. Ha il difetto di essere in inglese quindi non è il massimo del relax, nonostante il tema decisamente leggero. Ha il pregio fortissimo di essere magia.

Dietro quel delitto, Ian Rankin: Giallo scozzese con l’ispettore Rebus, di Edimburgo. Adoro la città, altri libri di Rankin mi sono piaciuti davvero molto, anche se risentono di una certa lentezza. Ammetto che se uno non ha visitato Edimburgo può trovarli un po’ ostici, ma se conosci i luoghi… son romanzi speciali!

La Ruota del Tempo vol. 2, la Grande Caccia, di Robert Jordan: Il primo volume mi è piaciuto davvero, un fantasy di qualità che non leggevo da tempo. A preoccupare è il timore che la saga mi piaccia troppo e mi ritrovi poi ad attendere che escano gli ultimi romanzi. Vero è che sono tutti colossali e me ne mancano 9…

Cose preziose, di Stephen King: Non credo serva una presentazione. Già il fatto che sia King basta e avanza per pensare di leggerlo. Adoro King e rivoglio la Torre Nera. Da capo.

Scende l’oscurità, di Harry Turtledove: Un fantasy un po’ diverso dal solito per un vero maestro, è il secondo romanzo di una saga di cinque. Ho apprezzato molto il primo anche se soffre della dispersione dei personaggi tipica di alcune opere diTurtledove… prima o poi questa saga è da finirsi.

Da acquistare:
La spada del destino, di Andrzej Sapkowski: Seguito de Il Guardiano degli Innocenti, si tratta di raccolte di racconti di un autore polacco, creatore del personaggio di Geralt di Rivia, uno strigo (witcher) ovvero un cacciatore di mostri, difensore dell’umanità. Da questi racconti il gioco per pc – secondo me splendido – The Wicther. Costano una fortuna, come quasi tutti i libri della Nord.

La società aperta e i suoi nemici, di Karl R. Popper: Uno dei saggi politici più importanti di Popper, indubbiamente liberista, fondamentale per capire il pensiero dell’autore. Uno di quei libri che non può mancare in una biblioteca, se ci si interessa dell’argomento. Da sospendere in attesa della scelta per la tesi? Troppo pesante per il relax? O da comprare per cavalcare l’onda dell’interesse?

La struttura delle rivoluzioni scientifiche, di Thomas S. Kuhn: Un libro che voglio leggere da quando avevo tredici anni – colpa di Ian Malcolm – e un testo centrale per comprendere le ipotesi riguardo i paradigmi scientifici. Nel best of… ma bisogna vedere quando.

Qualcuno vuole aggiungere o suggerire libri o temi? Ho un sacco di Gaiman arretrato, a dire il vero… per non parlare di King o Asimov. Considerate anche le mie scarse condizioni finanziarie, mi raccomando.

 
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Pubblicato da su 18 aprile 2011 in Diari, Libri, Sproloqui

 

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Post esame e pre Tesi: Popper o Feyerabend?


Oggi ho affrontato e abbattuto l’esame di filosofia della scienza; un 30 meritato sul campo dell’esposizione anche se dovuto a una buona stella nelle domande decisamente… fortunate! Mentre stavano timbrando e trascrivendo, ho avuto l’ardire di domandare al prof l’opportunità di lavorare su questa materia per la tesi (triennale): l’ho buttata lì e direi che ha abboccato, tanto che stiamo organizzando un primo appuntamento per fissare l’argomento reale.

L’argomento, già: tanto vale iniziare a parlarne.
Marsonet si occupa di filosofia della scienza ed epistemologia, ma non solo. Del suo esame due gli argomenti che davvero mi hanno colpito:
– la filosofia politica di Popper, legata alla sua profonda convinzione liberista ma anche profondamente innovatrice (vedi miseria dello storicismo). Popper è un forte critico del marxismo e, in generale di tutti gli olismi, utopie comprese; va giù duro su molti argomenti di politica e società, va così duro che mi trova quasi sempre d’accordo con lui. Strenuo difensore della democrazia, approda purtroppo alla necessità di una società aperta e liberale come attuale miglior forma di democrazia – per quello che ne sappiamo ora. Lui e Hayek, secondo me, sono troppo liberali per piacermi davvero ma l’argomento è ricco, stimolante ed… estremamente storico.
Feyerabend e la sua anarchia metodologica: ho letteralmente adorato quel libro e penso che tutti coloro che si occupano di scienza dovrebbero leggerlo almeno una volta. Ha cambiato il mio atteggiamento verso la scienza, l’ha letteralmente travolto. Leggerlo è stato come passare dalla geometria euclidea alla geometria riemmaniana senza passare dal via. Si, mi ha veramente colpito… e lavorarci sopra sarebbe bello.

Queste le due opzioni principali; penso possano essercene altre ma, dal mio piccolo angoli di debuttante nell’epistemologia, questi sono i giganti che riesco a intravvedere. Mi piacerebbe discostarmi un po’ dall’epistemologia che esemplifica sempre con la fisica: si, è bello e affascinante ma sa anche di “già fatto”. Vorrei sviluppare i due rami che ho toccato in questi ultimi anni, chimica prima e matematica poi: penso ci sia moltissimo da dire su entrambi gli argomenti e su come stiano influenzando la nostra percezione della realtà, senza che ce ne accorgiamo, per non citare come già l’hanno fatto in passato. Ovviamente il tutto in non più di 50 pagine, a quanto pare.
Quindi… contegno, umiltà e riduzionismo!
Vedremo, vedremo… qualcuno ha suggerimenti?

 
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Pubblicato da su 14 aprile 2011 in Diari

 

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Contro Popper e contro il Liberismo


L’altro ieri abbiamo parlato di scomuniche e politica, oggi ci avventuriamo nel complicato capitolo della filosofia e della politica. Avevo promesso di parlare di serendipity – terra misteriosa e distante – ma nello scrivere è emerso questo tema… e come tutti i fattori emergenti, non posso che dedicare alcune righe a esso. Popper è stato una lettura e uno studio estremamente interessante: ha sollevato questioni altrimenti sopite e ha dato il via a una serie di riflessioni nel mio intimo di non poco conto. Ho scoperto cose nuove sia leggendo lui sia leggendo Feyerabend (e questo blog ne è una prova).
Eppure non mi trovo affatto d’accordo con lui su alcune cose, soprattutto non condivido l’apprezzamento suo e di Hayek riguardo il liberismo. Ecco il motore non troppo immobile di questo post decisamente impegnativo.

Il primo avvertimento è che questo scritto è indubbiamente provvisorio; come per tutti, anche per il pensiero è in continua evoluzione, quindi non c’è un punto d’arrivo definitivo. Avverto anche che si tratta di una critica sia nell’accezione più comune del termine, sia in quella filosofica. Infine, vi avverto che potreste trovare il tema un po’… diverso da quello che ci si attende su un blog. Comunque sia, buona lettura.

Partiamo da Popper; pur non avendone letto tutte le opere, quelle già affrontate lo dipingono come uno strenuo difensore del liberismo e dell’economia di mercato. Le motivazioni che adduce sono varie e diversificate ma vedrò di riassumerle in poche righe.
Il processo mentale di Popper a favore del liberismo parte dal definire la democrazia un “valore”, un valore che possiamo perdere; direi che è una piattaforma decisamente solida che mi trova d’accordo. L’Italia è un ottimo esempio di come si possa perdere la democrazia: si baratta un diritto per una fantomatica “sicurezza”, se ne baratta un altro per tenere lontani gli immigrati o per evitare i comunisti approvino i matrimoni gay e in breve ci si ritrova con un leader politico che pensa di essere intoccabile in quanto eletto. Un processo lineare.
Proseguiamo la linea-popper (Popperline?). Un sistema socioeconomico che vincoli il singolo – un gruppo di singoli – limitandone di fatto la libertà viola la democrazia; tra non liberi, dice Popper, non c’è neppure uguaglianza e quindi manca la democrazia. Vero, profondamente vero. Questa è anche una bella critica e un ottimo assalto ai sistemi comunisti/socialisti, che di fatto limitano le libertà personali… anche nella loro versione ultima e utopica, quella cioè in cui il sistema è ormai omnicomprensivo (per limitazione, ovviamente, intendo quelle coercizioni legate al destino di un uomo che espandono oltre l’accettabile l’intervento “statale” nella realtà personale, fosse anche il lavoro): una critica che condivido e che userò più avanti. Torniamo, però al liberismo; Popper e Hayek ci dicono che un sistema di mercato è effettivamente libero ed eguale, se lasciato libero di svilupparsi senza influenze esterne. Se abbandoniamo tutto in mano al libero mercato, infatti, esso si organizzerà da solo, punendo chi commette soprusi – quindi danneggiando acquirenti, che non compreranno più, infine impoverendolo per questo – e premiando chi si dimostra meritevole. Un sistema che da a ciascuno in base a quanto riesce a raccogliere, in base ai suoi meriti.
In base a quanto riesce a influire sul mercato… e, aggiungono i liberisti, l’importante è che in questo sistema si sia tutti uguali e si abbiano tutti le medesime probabilità di realizzare il proprio destino per come lo si immagina.
Per me, qui cade il liberismo: già trovo discutibile che si dia a ciascuno in base ai suoi meriti e non in base ai suoi bisogni, il che mi sarebbe sufficiente, ma voglio spingermi oltre sul piano della trattazione e smontare quel che resta del liberismo.
Penso che non funzioni perché il presupposto fondante – uguali possibilità e uguali mezzi – è profondamente falso e non realistico: non trovo l’attuale struttura socioeconomica corrispondente a questo assunto. Economicamente e in materia di accesso all’istruzione le mie possibilità sono profondamente diverse da quelle di un giovane maori; culturalmente, le mie potenzialità sono diverse da quelle di un russo. Non siamo tutti uguali e non abbiamo tutti gli stessi mezzi di accesso e influenza al mercato; ad aggravare la questione, la divergenza può anche essere spaventosa e per niente basata sui meriti personali. Anche volendo riconoscere il merito personale come unico criterio di assegnazione del successo – cosa che mi guardo bene dal fare – l’attuale sistema di mercato è ben distante dal farlo. Un Piersilvio qualunque ha molte più potenzialità rispetto a un Della Rovere qualunque, che ha più influenza e possibilità di trarre profitto dal mercato di un ragazzino Hopi.
sono molto più anti-liberale e anti-liberista di quel che credevo; oltre a ritenere profondamente egoista un sistema che tenga conto in primo luogo dei meriti e non dei bisogni, lo accumulo assieme alle idiozie utopistiche dei secoli passati, marxismi compresi.

Fin qui credo che il percorso sia stato lineare, almeno lo è stato per me. Sono approdato a non fidarmi nemmeno un po’ del liberismo e questo è un bene; ritenevo di essere ben più moderato ma, evidentemente, non è stato possibile contenersi.
Il liberismo cade in due tipologie di errore formale che lo fanno decadere:

–          Nega ad altri sistemi un valore di realizzabilità perché si appoggiano su utopie che, in quanto tali non possono realizzarsi. Una visione utopica, infatti, pretende il controllo su ogni aspetto della società. Questo è impossibile perché prevede di reggere una quantità di variabili infinita – letteralmente – per ciascun elemento del sistema. Eppure, il liberismo cade nello stesso errore presupponendo condizioni di partenza utopiche e, come tali, non realizzabili.

–          Nuovamente, il basamento del liberismo è invalidato dalla pratica: non solo è teoricamente impossibile, ma è anche palesemente violato dalla realtà. I due fattori non sono così incompatibili come sembra, anche se va contro il senso comune: per quanto impossibile, la perfetta uguaglianza potrebbe avverarsi su un sistema ridotto o in una certa approssimazione, eliminando condizioni limite.

Insomma, anche accettandone per veri e validi i presupposti, il liberismo si trova a essere irrealizzabile tanto quanto il comunismo. In quanto a essere auspicabile una società liberale/liberista… andiamoci piano. Senza tirare in ballo le influenze calviniste in quest’ottica – ottica che, non mi stancherò di dirlo, aborro – penso che sia un posto davvero brutto dove vivere; immagino un luogo freddo, dominato dal raziocinio e dal valore dell’obiettivo raggiunto. Una vita come un lavoro d’azienda, con target e premi di produzione. Un luogo dove chi resta indietro non è aiutato ma cestinato e sostituito, dove si scalpita per scalare la piramide ciascuno calpestando gli altri. Un posto molto simile a come Il Nano vuole rendere l’Italia.

Mi ricollegherei alla scuola, se non fosse tardi; tra riforme e riformine, l’Italia dell’educazione e della formazione diventa sempre più un sistema di selezione del prodotto finito: l’uomo e la donna da porre sul mercato del lavoro, dove chi è più bravo ottiene di più e chi è più in difficoltà viene retrocesso. Mi si accetti l’orrore di fronte a un mondo del genere.
Ho smontato liberismo e marxismo in una bozza di pensiero politico, è vero, e non ho proposto alcuna soluzione, è verissimo: me ne rammarico. Prometto che ci sto lavorando come sto lavorando per affinare il resto del pensiero. Come avrete intuito è ancora tutto in divenire… e non si sa mai cosa ne venga fuori.
Vi consiglio di leggere anche prossimamente: sicuramente verrà fuori qualcosa da questo marasma di idee. Ovviamente le critiche, i commenti, le opinioni e gli insulti sono i benvenuti: sparate a zero. Prima ancora, diffondete e linkate: più ampio è lo scambio, meglio è.


 
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Pubblicato da su 13 aprile 2011 in Politica, Teoria

 

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Scomuniche, comunisti e Berlusconi


Purtroppo la preparazione degli esami rallenta ogni altra attività; tuttavia studiare filosofia (della scienza) aiuta indubbiamente a pensare.

Oggi post brevissimo, un po’ fuori tema ma di indubbio interesse personale; vi sottoporrò un sillogismo, un semplice passaggio logico al quale ho affidato un importante messaggio. Chiarisco da subito che è un gioco e che non intendo “far propaganda” a questo modo – la situazione è ben più tragica e suggerisce soluzioni ben più drastiche. Tuttavia è un gioco d’intelletto che vorrei analizzaste, contestaste e, magari validaste. Il solito processo scientifico popperiano, in pratica.

Tre dati di fatto:
La massoneria è stata scomunicata nel 1738 (bolla “In eminentiapostulatus” di Clemente XII); ribadita attraverso i secoli, apparentemente abolita nel 1983, riconfermata come interpretazione di un canone del Diritto Canonico più ampio con tanto di diffida dall’appartenervi ai cattolici (parola di card. Ratzinger: “Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.“)
La scomunica ai comunisti, emessa il 1 luglio 1949, è rientrata proprio nel 1983 (il canone 6  del codice di diritto canonico prevede l’abrogazione di qualsiasi legge penale non espressamente ripresa dal Codice stesso e il Codice non riprende la scomunica ai comunisti (ma riprende quella ai massoni, stando all’interpretazione corrente): quindi tale scomunica risulta formalmente revocata).
– Silvio Berlusconi, noto anche come Lo Psiconano, è un noto massone

Ne consegue che, in termini logici

i cattolici possono votare Vendola ma non devono assolutamente votare Il Nano!

Egli, infatti, è un peccatore scomunicato, mentre Vendola è solo un comune peccatore – come ce ne sono tanti. Neppure la politica etica del partito di Silvio, in accordo con la dottrina della Chiesa, salva il cattolico dal peccato: egli, infatti, compie solo un bene minore, inficiato dal collaborare con una forza occulta che:
– intende rovesciare completamente la Chiesa e ogni istituzione religiosa (la massoneria è anticlericale, molto più del comunismo: quando ancora Marx doveva nascere, i massoni ostacolavano la Chiesa in ogni modo)
– riconosce il valore della rivelazione cristiana in quanto parte della verità dell’Architetto (una tragica eresia)
Il voto al Silvio, in realtà, è un voto a un potere occulto e, portando al governo questo soggetto, consente alla Massoneria – realtà scomunicata – di governare il paese, perseguendo i suoi piani anti-cristiani e pericolosamente relativistici.
Appoggia oggi le posizioni etiche della Chiesa? Possibilissimo, ma trama nell’ombra. Dopotutto, se è scomunicata è guidata dal Demonio e, quindi, cerca di ingannarci.
La sinistra ha posizioni etiche inconciliabili con quelle della Chiesa: verissimo. Eppure è un peccato ben misero rispetto al sostegno a un’entità ben più pericolosa.
Insomma, cari cattoconservatori, votate Vendola: ne va della vostra anima!

Spero che questo post sia preso con la dovuta dose di leggerezza, simpatia e buonumore con cui l’ho scritto.
Penso che i motivi per non votare Berlusconi siano ben altri, ovviamente, e tutti estremamente validi. Ma, da buono studente umanista part time e intrigato politico che sono, tentare la via del sillogismo non è poi così male.

 
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Pubblicato da su 11 aprile 2011 in Sproloqui

 

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Spiegazioni


Un brevissimo post per dire che: ho aperto una pagina che spiega il perché del titolo. Vi suggerisco di leggerla… sarà illuminante e, soprattutto tornerà nei prossimi post. 

Vi garantisco che… è esilarante. La trovate a questo link.

Buona lettura, attendo i commenti…

 
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Pubblicato da su 6 aprile 2011 in Divulgazione scientifica, Sproloqui

 

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Buon viaggio!


Appena iniziato e già mi prendo una pausa: mica cosa che fanno tutti…

Avevo promesso un post sulla serendipity ma dovrete accontentarvi, voi. Tu, invece, sai benissimo perché c’è questo post. Una promessa è una promessa…

Ci sono alcune persone che incontri durante il tuo “viaggio della vita” e che meritano qualcosa di speciale, quel passo in più che non faresti per altri. O che faresti per pochissimi di coloro che vivono assieme a te. Questo è un gesto che appartiene alla medesima categoria. E lo faccio per te.
Non è poi un gran bel “buon viaggio”, visto che il viaggio (a) è già finito, almeno nella sua accezione più tecnica; c’è però il viaggio (b) e, soprattutto, la permanenza a destinazione. Breve quanto vuoi, si spera rilassante… ma è la destinazione lo scopo di questo viaggio. La destinazione e la permanenza.
Ok, non mi tratterrò poi così a lungo su questo giro di parole; lascio che sia la fantasia dei lettori a immaginare. Tanto tu hai capito.
Cos’altro dire? Sai che c’è una sola parola…

Grazie!

 

Il perché lo puoi immaginare. E chiudiamo in bellezza…

 
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Pubblicato da su 5 aprile 2011 in Sproloqui

 

La Filosofia dello Zaino!


Di cosa tratterà davvero questo blog?
La domande è lecita ma anche fuorviante; nel momento stesso in cui oggi mi seggo alla tastiera e riavvio il progetto, non ho idee precise sul destino di queste pagine telematiche. Ho, però, molte idee e una quantità di spunti ragguardevoli.

Vediamo…
Mi sono occupato di scienza – con risultati non eccellenti, accademicamente – e di divulgazione della scienza, che è stato anche il mio mestiere a tempo pieno per oltre un anno e continua a esserlo saltuariamente. Studio storia, per passione e per interesse, e approfondisco la storia della scienza, la filosofia della scienza e quanto alla scienza si rifà.
Studiare, leggere e informarsi, però, apre la mente alle prospettive più diverse: capita, quindi, che leggendo Feyrabend per un esame di filosofia della scienza mi scopra anti-liberale, più di quanto pensassi. Capita che riflettendo sul liberalismo/liberismo, mi scopra meno “science friendly” di quanto ritenessi giusto e, anzi, cambiassi la mia opinione sulla scienza come motore della società contemporanea/futura. Capita anche che, pregando, rivaluti certi approcci relativistici.

Una serie di spunti e approcci lungo la strada, ecco la definizione che mi piace di più; approcci che si accomodano nel mio zaino e mi tengono compagnia. Per questo oggi parlerò della filosofia dello zaino.

Le riunioni e gli incontri di lavoro comportano accumulo e trasporto di materiale; c’è chi si presenta con il pc, chi arriva con faldoni di appunti, chi deve portare con sé numerosi libri e così via. L’approccio con cui si affronta questo trasporto è secondo me un fattore da non trascurare nel comprendere chi abbiamo di fronte e, specularmente, nel presentarci agli altri, perché lancia segnali – manifesti – di come vediamo la nostra vita. Molti impiegano per questo trasporto borse, borsoni, borselli di varia stazza, taglia e origine: l’avvocato con borsa è un’icona, così come il medico o il giornalista di redazione. Alcuni, tuttavia, hanno approcci diversi.
Io uso lo zaino.
Lo zaino è più comodo quando devi muoverti a piedi, in bici o in scooter; grava sulla schiena ma non impegna le mani e lascia ampia libertà di movimento. Lo zaino ti segue ovunque vai, senza ostacolarti. Lo zaino.. è un vantaggio. E poi ha significati più sottili ma ugualmente importanti.
E’ informale, distacca dalla massa di chi si lega all’icona della borsa da lavoro. Non tanto innovare quanto segnalare che si è nuovi, ecco perché lo zaino. E segnalare che non c’è status symbol a definirci, solo la nostra volontà di usare un oggetto dotato di vantaggi empirici.

Soprattutto, lo zaino è il compagno di cammino. Lo zaino è lo strumento ideale per chi fa strada, chi si mette sulla strada: strada intesa come susseguirsi di incontri, frangenti, scoperte, compagnie e luoghi nuovi. Stare sulla strada non è una condizione fisica, è uno status mentale: è la mentalità di chi si apre all’altro e all’incontro con l’altro, non per professione ma per vocazione. Non si può camminare isolati dal mondo – anche se ci proviamo spesso – e non si può camminare senza imparare da chi ci circonda. Lo zaino simboleggia così tutto ciò che sulla strada apprendiamo, si fa contenitore delle nostre esperienze, un contenitore che rimane con noi e che dice agli altri: “Ehi, questo che mi porta è un uomo della strada, uno che ne ha viste e che ne vedrà, non una persona rinchiusa tra quattro mura che marcisce negli schemi più comuni. E’ uno che vive per incontrare gli altri”.
Adoro la strada. Aiuta a relazionarsi con chi ci sta attorno, chi cammina con noi: nulla come la fatica, il sudore e le difficoltà di un aspro sentiero uniscono le persone e insegnano a conoscersi veramente. Vorrei che fare strada fosse il mio modo di affrontare per intero la vita. Ci conto, spero e penso di farcela. Abbiamo tanti ostacoli nel realizzarci, ma nessuno può toglierci la strada.
Per questo viaggio con lo zaino: nero, compatto, predisposto al trasporto del mio caro Dell Studio 15 (in attesa di fondi per un MacBook pro), reticelle per bottiglia d’acqua e ombrello, scomparti per libri, appunti, penne e mouse. Second Skin azzurra per preservare il pc dai colpi delle sempre grate Ferrovie. Viaggio sulla mia strada con il pc, certo che questo sia il modo migliore – per me – di affrontare tutto questo.
Sulla strada: non on the road ma come uomo della strada, vedetta dei tempi che verranno. Da questa posizione di privilegio, vi parlerò nei prossimi post di liberismo, di scienza, di relativismo e molto altro ancora. Estraendo ogni volta un testo diverso dallo zaino.

Lo spunto dello zaino al lavoro è nato anche ascoltando Andrea Vico, che ringrazio. Un professionista della divulgazione.

 
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Pubblicato da su 3 aprile 2011 in Sproloqui

 

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Tutti pronti? Allora… andiamo ad incominciare!


Eccoci qui!
Tante domande, tante curiosità, tanti temi irrisolti…

Inizia così il viaggio di questo blog: un blog d’avventura, un blog d’esplorazione, un blog di scoperta: un blog per gioco, sul gioco quando necessario, e con passaggi fuori dalle righe (o sopra le righe?) quando necessario.

Un blog multietnico, per scienziati e storici – magari per scienziati della storia e storici della scienza – come per giocatori e scout, per cristiani e calciatori…

Da oggi andremo alla scoperta di piccole curiosità, spunti ironici, riflessioni filosofiche, attualità e sentimenti, temi un po’ trascurati ma non poi così inutili. Cercheremo di avere un occhio di riguardo per le scienze meno note o per le figure più oscure dei nostri secoli, navigheremo tra le curiosità della Rete, giocheremo con piccoli esperimenti e incontreremo persone nuove.
Sarà un viaggio lungo ma, vi assicuro, molto interessante.
E ora… let’s go!

 
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Pubblicato da su 2 aprile 2011 in Sproloqui