Dicono che in Italia ci sia un governo tecnico, posto alla guida del paese per risanarci da una crisi economica che ha rischiato di causare il tracollo più epocale alla nostra società.
Dicono anche che i partiti politici rappresentanti in parlamento che supportano tale governo siano, nel frattempo, intenti a ordire le riforme istituzionali che “da tempo servono all’Italia”.
Premettendo che non vedo necessità di grandi riforme istituzionali – ne parleremo poi: a me basterebbe una nuova legge elettorale che sia anche rispettosa della Costituzione e una legge che cancelli, in politica, conflitto di interessi e indagati con scranno – e che ho paura di cosa potrebbe partorire la mandria di deficienti politicamente e mafiosi che calcano oggi la scena politica (Alfano, Bersani e Casini come possono far meglio di Calamandrei, De Gasperi e Togliatti?), credo che a essere tecnico, ormai, sia il Parlameto – i parlamentari, per l’esattezza – e non il governo.
Mario Monti nei suoi mesi a Palazzo Chigi ha dimostrato di saperci fare; è abile, competente, puntuale, preciso, organizzato e deciso. Tutta un’altra cosa rispetto ai recenti predecessori, soprattutto se paragonato al nanetto recente. Però non si dica che è un tecnico. La linea del suo governo, ben spiegata e portata avanti con chiarezza, è decisamente e prevalentemente politica; persegue un ovvio piano liberale, perfettamente introdotto nell’attuale congiuntura e senza mettere in discussione la struttura socio-economica di base ma, anzi, inserendosi nel solco delle forze conservatrici di governo, oggi prevalenti in Europa. Dopotutto è “legge storica” (nel senso di tendenza spiegabile ma non certa e neppure ineludibile) che nei tempi di difficoltà ci si affida a chi promette sicurezza; vero quanto l’assenza di memoria negli italiani, visto com’è andata a finire le ultime volte che ci siamo affidati a chi prometteva sicurezza. Probabilmente, dev’essere “legge psicologica” la stupidità umana.
Ma dicevamo della politicità del governo tecnico: direi che la sua politica parla da sola e ci chiarisce che di tecnico c’è ben poco. Tagli allo stato sociale, riduzione dei diritti dei più deboli a vantaggio dei più forti e via dicendo. Questo è un governo politico, guidato da una chiara linea ideale-ideologica di stampo liberale-liberista (si, un cancro per l’umanità, da estirpare): sarebbe un governo tecnico anche uno guidato da me, dopotutto, se mi fosse concesso di guidare a mio piacimento le operazioni.
D’altronde non sono neppure certo possa esistere un vero governo tecnico, salvo in casi molto particolari e circostanziati, tanto da far risultare la generalizzazione “tecnico” come una forzatura: quei governi, se ci sono stati, non sono propriamente classificabili e tanto basta.
Passiamo al Parlamento: quello si che è diventato tecnico, soprattutto per quel che riguarda la maggioranza; i tre grandi capi, infatti, ben di rado si son sognati di mettere in discussione le posizioni di Monti – giusto sull’Articolo 18 Bersani avanza proteste, ma temo che poi accetterà: e accetterà anche la decisione del popolo della sinistra di non votare più il Pd – e molto spesso hanno emesso commenti del tipo “questo provvedimento non ci piace molto, ma lo votiamo lo stesso perché deve passare per il bene del paese, anche se noi faremmo diversamente”. Frasi pronunciate un po’ da destra e un po’ da sinistra, con Casini a cui tutto va bene, da buon centrista.
Il Parlamento e i suoi membri, in pratica, hanno perso del tutto il ruolo di coscienza e guida dell’esecutivo: il governo, infatti, dovrebbe eseguire quanto decide il Parlamento, non il contrario. Se con B. era ovvio che il Parlamento approvasse quel che lui voleva, perché era il capo e tutti gli eletti facevano riferimento a lui, e basta, non certo al popolo, ora con Monti si assiste all’eutanasia delle coscienze. Nonostante aspri disaccordi e provvedimenti fuori dal mondo – per l’una e per l’altra parte, ma più per la sinistra – si approva tutto “perché serve al paese”. Nessuno che proponga una ricetta alternativa.
Ecco, questo è essere tecnici: approvare qualcosa perché “ce n’è bisogno”.
Credo che tutto questo fosse inevitabile: la qualità della classe politica italiana s’è degradata a tal punto che l’ideologia – nell’accezione di “qualcosa in cui credere e che guida l’azione” – è malvista o del tutto defunta. E dove andiamo senza un briciolo di idea su come cambiare le cose, in meglio? Neppure Popper arriverebbe a una tale soppressione della progettualità, ricorderebbe solo di pensare su tempi brevissimi e di evitare le utopie e i grandi piani. Attualmente in Parlamento siedono perlopiù soggetti spinti da interessi personali (propri e/o altrui) o sono del tutto carenti sotto il punto di vista della preparazione politica: siamo in attesa non dico di un leader ma quantomeno di un politico decente da almeno due decenni. Se penso che, al momento, il meglio – giudizio tecnico – è Fini… cado in una cupa depressione, davvero. Suppongo ci siano soggetti validi, da qualche parte, ma devono essere molto ben nascosti, timidi o segregati dai partiti di riferimento: l’ultima, in effetti, non mi sorprenderebbe affatto.
Restiamo, così, con una democrazia sospesa: non perché, come dicono i politicanti di destra, il governo non è stato scelto da popolo – in Italia il popolo non sceglie il governo – ma perché i soggetti eletti si sono volontariamente sottratti alle loro responsabilità, delegando di fatto e integralmente la gestione dello stato a una forza che non dovrebbe averne le competenze. E che, qui si, non è stata eletta dal popolo, unica fonte e unico attore del potere di base.
Cosa fare, allora? Alle urne?
Non sarebbe una soluzione perché non modificheremmo le menti degli eletti che, bene o male, sempre quelli sarebbero. Qui “l‘è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”, veramente. Rimbocchiamoci le maniche e scendiamo in campo, ecco la risposta.
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