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Letture del 2012


Inizio anno, tempo di verifiche e punti della strada.
Prendo allora l’elenco dei libri letti nel 2013 e vedo di capire un po’ qualcosa del tempo trascorso a leggere, curvo sulle pagine – di carta o digitali.

Gennaio
L’atlante di Smeraldo – John Stephens
La Bibbia (Farsi un’idea) – Piero Stefani
Sei lezioni sulla storia – E. H. Carr
Prima lezione di metodo storico – Sergio Luzzato

Febbraio
23/11/’63 – Stephen King
La biblioteca dei morti – Glenn Cooper
Il libro delle anime – Glenn Cooper

Marzo
Apologia della storia o mestiere di storico – Marc Bloch
Lineamenti di didattica della storia – T. Cornacchioli
Il sangue degli elfi – Andreji Sapkowski
Vero e Falso, l’uso politico della storia – AA.VV.
Fai bei sogni – Massimo Gramellini

Aprile
Con Cristo e con Marx – H. Kung
Prince of Lies* – Richard Awlinson
La manomissione delle Parole – Gianrico Carofiglio

Maggio
La voce del violino* – Andrea Camilleri
La gita a Tindari* – Andrea Camilleri
L’odore della notte* – Andrea Camilleri
Italiane – biografia del Novecento – Perry Willson

Giugno
Storia del Cristianesimo – G.L. Potestà – G. Vian
Ingegni minuti – L. Russo . E. Santoni
L’esorcista* – William Peter Blatty
Donne e uomini nelle guerre mondiali – Anna Bravo (a cura di)

Luglio
L’ascesa dell’ombra* – Robert Jordan
I Fuochi del cielo* – Robert Jordan

Agosto
Fra empirismo e platonismo. L’estetica di Berkeley e il suo contesto filosofico – Bruno Marciano
Alle origini dei diritti dell’uomo. Cultura della dignità e dei diritti tra XV e XVI secolo – Repetti

Settembre
I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma – Eva Cantarella

Ottobre
Lo Hobbit* – J.R.R. Tolkien
Il vizio della memoria – Gherardo Colombo
Nuovi racconti di un esorcista* – p. Gabriele Amorth
Orgoglio e pregiudizio in Vaticano – Anonimo, con Olivier Le Gendre
Taking Wing* – Michael A. Martin, Andy Mangels

Novembre
La lotta di classe dopo la lotta di classe* – Luciano Gallino
Nell’istante di un respiro – Elisa Bruno
Ammazzando il tempo. Un’autobiografia – Paul K. Feyerabend

Dicembre
La fisica del diavolo – Jim Al-Khalili
Micro – Michael Crichton
Dune – Frank Herbert*
Storia dell’impero bizantino – Georg Ostrogorsky
Intervista sulla città medievale – R.S.Lopez

*letture digitali

Si tratta di 41 libri, 12 dei quali letti in versione digitale. Decisamente sopra la media nazionale in quanto a numero, la tipologia è varia. Si passa dai romanzi “di serie B” (abbiamo rappresentato sia D&D, sia Star Trek) alla filosofia (Feyerabend), passando per esorcismi e Gallino. Non posso ovviamente dimenticare i numerosi romanzi, tre delle quali saranno indimenticabili a lungo: 23/11/’63, L’atlante di smeraldo e Micro.
L’estate è stata stranamente poco propizia alla lettura: credo che la colpa sia da imputare sia alla dimensione dei libri letti (la Ruota del tempo gira sempre sui 1000 fogli a volume: due romanzi così valgono almeno 5 romanzi normali), un po’ perché ho avuto anche da fare.
Non si deve neppure trascurare il numero di libri letti “per studio”: a tema storico – o simile – i presenti in elenco sono ben 16, un 40% scarso che significa comunque molto nelle mie abitudini di lettura (dopo la laurea questi libri saranno sostituiti da altro o leggerò meno?).

La conta del 2013 è già partita e vanta due punti segnati in 24 ore: i libri, infatti, li classifico in base a quando vengono chiusi. E ieri ne ho già finiti due: uno di Kung, sulla Chiesa, uno di Airaldi, su Colombo, per il prossimo esame.
E sono già al lavoro sui prossimi due…

 
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Pubblicato da su 2 gennaio 2013 in Diari, Libri

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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La Chiesa, i tempi e la bussola smarrita


Nichi Vendola sulla tomba di MartiniDovendomi occupare di politica in sostegno ai comitati per le primarie della sinistra per Nichi Vendola, è inevitabile che mi ponga domande riguardanti la natura e le specifiche di questo mio impegno, il partito che guida Vendola e l’insegnamento della Chiesa.
Sicuramente Vendola, che pur è cattolico, ha posizioni spesso in contrasto con quelle ufficiali della Chiesa, soprattutto quando si tratta di temi “etici” (come se non sfruttare i propri dipendenti non fosse una questione etica…). Vero è che questi stessi temi sono trattati a tutti i livelli della Chiesa e che, come ben sappiamo, il credente di base non sempre condivide le conclusioni a cui giungono i vescovi, oggi spesso distanti dal “sentire” del popolo. Vero è che anche la Chiesa su certi temi – omosessualità, eutanasia, aborto – si è espressa con fermezza e chiarezza da tempo.
Proprio nell’analizzare la coerenza delle mie scelte – vendoliano e cattolico, quadro Agesci e portavoce del comitato savonese per Nichi – sono sorte delle domande proprio su questo, che mi hanno spinto a riflettere sulla Chiesa, sulla sua missione e sull’attuale “stato dell’annuncio”, a cinquant’anni dal Concilio. Racconto allora le mie riflessioni: non sono conclusioni e non sono definizioni. Sono dubbi e domande, in divenire, perché la situazione mi interroga dal profondo e non credo basti un post e un pomeriggio di ponderazione per dipanare la nebbia.

Mi sono chiesto oggi se la Chiesa non stia concentrando il suo impegno su un solo fronte, scordando altri fronti o, comunque, tralasciandoli. E mi sono anche chiesto se questi “fronti secondari” sono davvero così marginali nel messaggio cristiano.
Essere favorevole ai matrimoni gay rischia di porre in contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con il Magistero; tuttavia non lo fa lavorare per una multinazionale che sottopaga i propri dipendenti nelle filippine o che produce armi. Le conferenze episcopali – quando non il Vaticano – si scagliano contro le leggi che consentono unioni civili a prescindere dal genere ma non accusano gli stati di praticare politiche che creano maggior disuguaglianza sociale.
Su alcuni temi la predicazione si ferma a posizioni importanti, su altre pretende il vincolo del credente. Ma davvero è così prioritario impedire l’eutanasia e così di scarso valore lavorare per una miglior distribuzione delle ricchezze sul pianeta? Davvero un tema che riguarda la libertà di coscienza del singolo – libertà di coscienza che la Chiesa, con il Concilio, rispetta – deve occupare più spazio nella definizione del cristiano rispetto all’impegno per migliorare le condizioni di vita di miliardi di persone?

Non potrebbe allora prevalere la sensazione che la Chiesa stia perdendo la bussola, non sappia reagire ai temi che corrono e non riesca a far capire come Gesù Cristo e il Vangelo sono la risposta alle domande della donna e dell’uomo dei nostri tempi? Non lo fa, forse, perché sceglie male le battaglie in cui impegnarsi a fondo.
Credo che il cuore del messaggio cristiano sia l’amore fraterno. Spero, almeno in questo, di essere nel giusto. Parto da questa base, o almeno ci provo, nella mia vita, nella mia azione, anche nel mio schierarmi politicamente. E vedo, per esempio, che le politiche capitalistiche/neo-liberiste sono del tutto antitetiche con un concetto di giustizia sociale che si riferisca all’amore fraterno. Perché la Chiesa non interviene con la stessa forza e le stesse pressioni che impiega su temi scottanti quali l’eutanasia e l’omosessualità, contro il maltrattamento e lo sfruttamento dei lavoratori, contro il lavoro precario, contro lo stupro del Creato e contro l’uso della guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali?Il Concilio, bussola per la Chiesa
Lo storico che è in me vede collusione con il potere; il credente cerca una ragione, cerca una bussola, cerca un aiuto e una spiegazione. Perché non riesce del tutto a vedere la Chiesa del Dio dell’Amore in queste scelte. E sa che la Chiesa in cui crede – quella della sua Confessione di Fede – non è la Chiesa “istituzionale” ma quella invisibile, nota solo al Padre. Questa è la risposta che si dà in quest’ora buia.

Prego molto su questi stimoli e queste riflessioni. Prego per capire e prego per avere la forza di cambiare le cose dove non mi sembrano rispondere al Disegno del Padre. Prego per il discernimento e prego per la Chiesa: noi cristiani, illuminati ora dal Concilio, dobbiamo tenere accesa quella candela, prima che si spenga e ci restituisca alle tenebre. Dobbiamo cogliere i segni dei tempi, respirarli e dal loro la Parola e il Padre come orizzonte di realizzazione. O ci estingueremo.

Un inciso polemico, solo uno, concedetemelo: in Italia il principale partito di riferimento dell’area cattolica è guidato da un divorziato risposato. Con figli. Penso possa spiegare molte cose riguardo alla coerenza… ma non mi solleva dalle domande sulla mia coerenza.

 
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Pubblicato da su 16 novembre 2012 in Diari, Il Concilio, Politica, Religione, Sproloqui

 

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Di Enzo Bianchi e della Tradizione


Per una volta riporto un articolo, breve e incisivo, che secondo me merita di essere ben analizzato. E che approvo.
Questo.
Non ho l’onore di conoscere Massimo Faggioli ma apprezzo la sua analisi della questione; dopo mesi passati a leggere deliri on line di soggetti che maledicono Enzo Bianchi, plausibilmente ritenendosi “più cattolici” del priore di Bose, incontrare qualcuno che apprezza il percorso del barbuto quasi-eremita torinese contribuisce a risanare un bell’equilibrio.
Intendiamoci, nessuno è perfetto, tantomeno Bianchi. Avrei da ridire sull’elitarietà di Bose, cresciuta negli ultimi anni di pari passo al prezzo del soggiorno monastico per noi poveri laici affamati di parole di salvezza e riflessioni evangeliche. Se avessi letto tutti i suoi libri, troverei senz’altro passaggi sui quali non concorderei. Ribadiamolo: nessuno è perfetto.
Apprezzo, però, lo sforzo ecumenico di Bianchi e della comunità di Bose, lo spirito profondamente evangelico con il quale affrontano la vita e la comunione, l’essere cristiani e il risalire alla fonte tradizionale senza, per questo, essere conservatori e tradizionalisti. Apprezzo l’idea di cavalcare l’onda d’urto del Concilio Vaticano II, nel tentativo di non farla infrangere contro muraglioni di ignoranza e conservazione fine a se stessa.

Qui dovremmo introdurre una profonda riflessione sulla Chiesa e sul suo futuro. Molti tradizionalisti hanno una visione distorta della Tradizione e ripropongono decisioni vetuste al solo scopo di riproporle, fini a se stesse, senza riflettere sul significato che possedevano quando sono state prese, sulla rottura che comportavano all’epoca, sulla sparizione dei moventi che le hanno prodotte.
Prendiamo la scelta del latino: fu meramente pragmatica e razionale, non certo sacrale o tradizionalista. Nessun testo sacro è stato scritto originalmente in latino, Gesù di certo non parlava latino. Lo parlava, però, l’Impero, in particolare a occidente. Era, quella, una lingua comune, comprensibile a buona parte della popolazione, anche quella meno erudita, quantomeno nei fondamenti. Mentre nascevano le lingue romanze – il volgare – il latino rimaneva la lingua dei dotti ma aveva sufficienti connessioni con il parlato per consentire una comprensione generica a una parte della popolazione non trascurabile. Di contro, celebrare oggi in latino significherebbe escludere dalla comprensione liturgica una amplissima parte della popolazione: e in Italia ancora andrebbe bene, visto che studiamo latino nei licei… (non che il latino del liceo consenta di comprendere appieno le sfumature del testo liturgico, eh!).
A ben vedere, se volessimo seguire questo percorso tradizionale, oggi dovremmo celebrare in inglese, vera lingua comune di tutto l’occidente (cristiano). Si spera, dopotutto, che la percentuale di italiani che comprendono l’inglese cresca con gli anni; non sarebbe un’idea malsana.

L’esempio linguistico può essere riprodotto su moltissimi temi di disquisizione tra conservatori e “modernisti”. Buona parte dei refrattari, infatti, si culla nell’ignoranza delle motivazioni storiche, politiche e contingenti delle scelte conciliari – siamo pur sempre una fede modellata dalle esigenze terrene di un imperatore pagano – e si rifiuta di ammettere che ciò che loro chiamano “Tradizione”in realtà ha sovrascritto usanze precedenti, spesso millenarie, senza alcun motivo teologico ma solo per meglio adattarsi alla riformata struttura che la Chiesa si stava dando a Trento.
Io non ritengo scandalose le decisioni conciliari di Trento, sono frutto del loro tempo e, in qualche modo, lo Spirito ha messo la mano anche lì, non ne dubito. Altrettanto dovrebbe accadere con i conservatori odierni: sono certo che, come a molti non piacquero alcune innovazioni tridentine, così non piacciano a loro alcune innovazioni vaticane. Eppure tutto fa parte dell’evoluzione della Chiesa, inevitabile se vuole rimanere “nel mondo”. Peraltro, molte opzioni non sono novità ma reminiscenze del passato, un passato obliterato dallo sforzo unificatore del Concilio Tridentino. Quell’unità univoca, che aveva un preciso scopo nella realtà storica del XVI° secolo, oggi ha perso il primato, a favore di una maggior aderenza alle esigenze puntuali dei fedeli, mantenendo salda la cattolicità della Chiesa pur nelle diversità, esteriori, dei dettagli.
Lo scopo della Chiesa non è conservarsi immobile nel tempo: fosse così, avremmo già perso la partita ancor prima di iniziarla (e Trento non ha certo conservato!). Semmai lo scopo della Chiesa – che è la comunità dei fedeli, universale e locale – è quello di annunciare il Vangelo: per farlo, deve essere pienamente dentro alla realtà a lei contemporanea o non avrà di che parlare alle donne e agli uomini che incontra.

Credo che Bianchi esegua propriamente questo compito: presente sui giornali e in TV, sa annunciare la Parola con l’efficacia di un predicatore medievale, adattando però il suo agire ai mezzi che il suo tempo gli offre.
Non è un monaco privo di difetti ma di certo è una pietra importante per la Chiesa del futuro. Mi auguro.
Una Chiesa composta da pietre radicalmente diverse da quella di Bianchi rischierebbe di essere una Chiesa traditrice del messaggio originale di Cristo: non certo uno che è venuto a mantenere l’ordine precostituito ma, semmai, a ricordarci che ne deve venire uno nuovo.
E io ci credo.

 
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Pubblicato da su 13 aprile 2012 in Religione, Sproloqui

 

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L’acquisto della coscienza


“Con il solo indennizzo per il lavoratore licenziato ingiustamente passerebbe  un messaggio assai negativo quello che con un po’ di denaro si ha la libertà di togliere illegittimamente il futuro alle persone”.
Sembrano parole di Landini. O della Camusso. Forse di Vendola o, magari, di un Bersani illuminato dall’alto. Invece a pronunciarle è stato Enzo Letizia, sindacalista dei funzionari di polizia, non certo il più marxista e rivoluzionario tra i sindacati italici.

La Cigl protesta, il PD si spacca, il PdL gioisce (strano: ogni volta che c’è da ledere i diritti dei deboli, il PdL è sempre favorevole!), le voci disinformate si moltiplicano.
Non voglio quindi unirmi all’orda di commentatori tecnici – peraltro non sono un giuslavorista: sono uno storico e cerco di limitarmi a riflettere sul nostro tempo con occhio critico ma attento ai diritti e ai deboli – che stanno delirando su pagine stampate e digitali. Piuttosto che scendere veramente nell’arena, mi limiterò a intaccare la (sovra)struttura generale della proposta montiana.

La prima cosa che mi colpisce – e mi sconvolge – è la monetizzazione di un diritto: è la strada al mercato umano, perché se iniziamo a barattare il lavoro, fonte della dignità umana, finiremo per barattare anche il resto. Già la salute è questione da ricchi…
Sancire che il lavoratore licenziato per arbitrio del datore di lavoro merita non il reintegro (quindi il suo posto di lavoro, legittimo) ma una paccata di soldi, significa svilire la vita umana fino a renderla mero oggetto di una compravendita.
Non ci sto, mi spiace: è la dimostrazione, l’ennesima, che il liberismo propugnatoci da Monti, dall’Europa, dagli Stati Uniti (e anche dalla Russia, tranquilli: niente utopie sovietizzanti in me…) è inadatto a soddisfare i basilari diritti umani, oggi come ieri. Un passo avanti rispetto a ciò che c’era prima, certo, ma un passo indietro rispetto a quello che la sensibilità attuale – e la Costituzione – ci chiede a gran voce. Ci impone.

Altro lato della questione: secondo me, un imprenditore che deve licenziare per “ridotta produttività” è un imprenditore che ha sbagliato da qualche parte. O prima assumendo troppo, o dopo non riuscendo a mantenere la quota di mercato che aveva conquistato e che gli consentiva quel numero di occupati (alternativamente, è stato poco efficiente nell’adattarsi alle mutate condizioni del mercato). Nell’ottica liberale – che io non approvo ma che tanto piace a questo governo – la colpa sua: e, secondo me, a pagare deve essere lui, non il lavoratore “di troppo”. Che vada a casa l’imprenditore, non l’operaio/impiegato.

Non dobbiamo adeguarci all’Europa, dobbiamo spezzare il sistema costruendone uno basato sulla solidarietà generale, sull’equità e sulla garanzia dei diritti fondamentali. Si, suona vagamente “old comunist style”, mi ci manca l’invettiva contro il capitalismo e quasi ci siamo. In realtà, anche se la lotta è simile, credo siano cambiati moltissimi termini di discussione e credo anche che, per quanto riguarda me, il marxismo c’entri poco. Non avrei apprezzato Popper, altrimenti.
Credo però che l’uguaglianza e la libertà debbano venire di pari passo e che la libertà di alcuni – imprenditori – non possa distruggere il futuro, e la libertà, di altri – i lavoratori.

Un po’ questa riforma mi fa sorridere perché dimostra come il liberismo non lo vogliano neppure i liberisti stessi. Se infatti accettassero appieno il loro credo, coglierebbero perfettamente le garanzie dei diritti dei dipendenti come strumento per dimostrare l’inadeguatezza dei colleghi che dovessero ricorrervi, costringendoli de facto a crollare. Non darebbero loro certo strumenti per proteggersi e mantenersi a galla: il liberismo è una gara a chi è più forte. Se neppure i liberali vogliono il liberismo, perché dovrei volerlo io che son cristiano?

 
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Pubblicato da su 21 marzo 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Le responsabilità (storiche) della sinistra e della politica italiana


La diatriba – secondo me pittoresca – tra Nanni Moretti e Fausto Bertinotti circa le responsabilità dei “comunisti” nel crollo del governo Prodi e nel successivo dominio berlusconiano del paese – realmente una pagina cupa e oscura, seconda solo al Ventennio in quanto a orrori e storture della democrazia – cade nel bel mezzo della rilettura di Bloch, “Apologia della Storia”, testo che è pietra miliare della mia formazione storica, che dovrebbe essere lettura per tutti i cultori e che dovrebbe interessare, in qualche modo, anche cronisti e politici. 

L’intervista a Moretti, pubblicata da Repubblica, contiene alcuni spunti interessanti che meritano una certa analisi. Non sono d’accordo con il regista quando dice che “manca una vera opinione pubblica”: credo, invece, che l’opinione pubblica ci sia eccome. Semplicemente quest’opinione pubblica è più interessata a X-Factor o all’Isola dei Famosi piuttosto che alla politica economica, al conflitto di interessi o allo stato delle carceri.Dopotutto si tratta di un paese in cui una persona su sei non va a votare alle elezioni politiche, occasione in cui una su tre di quelle che lo fanno sceglie deliberatamente di sostenere con il voto un tizio che, palesemente, da vent’anni gestisce il paese come un’industria propria, modificando leggi e sistemi per ottenerne il massimo profitto.

Si tratta, allora, di un problema di responsabilità civile e, prima ancora, di buonsenso. Ma, si sa, il buonsenso non è soggetto a cui assegnarsi per fiducia, meglio allora puntare sulla sensibilizzazione e sullo stimolo critico.
Non credo, infatti, che l’aggressione frontale al sistema scolastico perpetrata dalla destra sia un caso; piuttosto una strategia di “indebolimento” del pensiero critico, una trasformazione della scuola da “allevamento di cittadini” a “fornitrice di informazioni tecniche”. Perché, in effetti, è questo che vuole il sistema capitalistico: una scuola che insegni “utilità” da impiegare sul lavoro, possibilmente senza pensare eccessivamente e, soprattutto, senza dedicarsi a iniziative critiche personali. Il volere del padrone non si discute.

Io, che credo nel mandato di formazione di cittadini responsabili e consci dei loro diritti/doveri, ripudio completamente questo approccio e, in prima istanza, do la colpa del suo successo all’estrema debolezza e incapacità della sinistra. PD, soprattutto il PD: ma il PD, si sa, è figlio dell’insuccesso dell’Ulivo, frutto esso del “tradimento” di Bertinotti.
In storia, però, si devono sempre rifiutare le cause monolitiche, si deve rifuggere dall’idolo delle origini (grazie prof. Bloch). Quindi non scarico su Bertinotti l’origine del processo causale: gli assegno, invece, una profonda responsabilità, un ruolo di concausa. Perché è noto che la sinistra sappia farsi male da sola, scindersi inopportunamente, non cogliere il momento in cui stringere i denti per evitare il peggio. Lo fa a sproposito, di contro, come nel caso del governo Monti.
Grazie tante.

La sinistra italiana ha così perso un treno importante; arenandosi su questioni secondarie e dedicandosi a battaglie ridicole – eutanasia, no TAV, no global, missioni NATO – ha lasciato mano libera ai governi-fantoccio del Nano in materie veramente centrali, senza le quali ciò per cui ha combattuto risulterebbe comunque non fondante: giustizia, leggi ad personam, istruzione, sanità, informazione, conflitto d’interessi, mafia, evasione fiscale, immigrazione…
Un po’ Moretti fa sorridere quando ricorda i suoi “girotondi”: serviva ben altro per destare un minimo la sensibilità italica. Non l’abbiamo fatto e oggi ne paghiamo carissime conseguenze. Berlusconi e Monti, in serie ma con diverse modalità, stanno snaturando (distruggendo) lo stato sociale costruito con duri sacrifici e durissime lotte; il successo del secondo, poi, è costruito perlopiù sull’inadeguatezza del primo. Un po’ come se, dopo un decennio di nazionali di calcio costruite convocando calciatori di prima e seconda categoria, oggi convocassero qualcuno della serie D: pur sempre brutte partite ma, almeno, qualche passo avanti.
Che molti rimpiangano il Nano, poi, è sinonimo dell’insipienza della mente italiana media.

Cosa resta da fare? Uscirne. Uscirne al più presto. Per uscirne serve uno sforzo culturale enorme da parte della sinistra: è necessario sapersi lasciare alle spalle i faldoni del passato, ammettere che non tutti i padri della sinistra sono attuali/sensati (a partire da Marx) e, tenendo d’occhio i valori, rivoluzionare la struttura, le pratiche, il linguaggio, le persone, gli obbiettivi pratici.
Sembrerà quasi che si debba uccidere la sinistra: da un certo punto di vista è così. Si deve cancellare il tutto per ricostruire: la “resurrezione” post mortem oggi è forse l’unica possibilità per garantire il successo, domani, dei valori per i quali la sinistra lotta da decenni. Si, quei valori che il suo elettorato vuole veder affermati.

 
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Pubblicato da su 13 marzo 2012 in Politica

 

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Saviano e la sinistra


Torno dopo un lungo esilio, frutto di impegni, di stanchezza e di riflessione.
Torno perché il blog continua, nonostante tutto

Che cosa significa essere di sinistra? È possibile ancora esserlo? Sentire nel profondo di appartenere a una storia di libertà, a una tradizione di critica sociale e di sogno, a un percorso che sembra essersi lacerato, reciso. Con un immenso passato e un futuro incerto? E soprattutto di quale sinistra parliamo e di quale tradizione?

Saviano – quello che rovinava l’immagine del paese perché parlava di Camorra, secondo quel tizio basso che presideva una farsa di Consiglio dei Ministri fino a pochi mesi fa – ha aperto così un suo articolo per Repubblica.
Si tratta di una riflessione interessante, che mi trova partecipe del cammino di questa sinistra italiana sempre più snaturata: dopotutto, guardando al PD, sembra tanto di vedere una politica scarsamente sociale e fortemente liberale. Uno schifo, diciamocelo.
Eppure non si tratta di essere massimalisti anziché riformisti, di porsi fuori dagli schemi della nostra contemporaneità, anzi.
Condivido pienamente quando Saviano ricorda:
Ma c’è invece, fuori dal Parlamento, una certa sinistra che vive di dogmi. Sono i sopravvissuti di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani. Loro sono i seguaci dell’unica idea possibile di libertà, tutto quello che dicono e pensano non può che essere il giusto. Amano Cuba e non rispondono dei crimini della dittatura castrista […] non rispondono dei crimini di Hamas o Hezbollah, hanno in simpatia regimi ferocissimi solo perché antiamericani, tollerano le peggiori barbarie e si indignano per le contraddizioni delle democrazie. Per loro tutti gli altri sono venduti“.
La sinistra sta veramente perdendo il suo orientamento: credo, in verità, che l’abbia perso da un pezzo e che solo oggi raccogliamo questi ultimi frutti, questa devastazione solitaria, questo silenzio della coscienza.
Avevo parlato tempo fa della relazione tra cristianesimo e sinistra, però credo che il discorso non sia affatto limitato al solo cristianesimo, anzi: penso che buona parte della sinistra abbia problemi di buonsenso. Sano, radicato, buonsenso.

Sembra, allora, di tornare a Popper e al suo senso comune criticato. Non male come regressione, senza neppure bisogno di essere liberali per criticare la sinistra. Anzi, se Renzi ce lo invidia la destra, dobbiamo fermarci a riflettere.
Riflettere a lungo, diciamocelo…
Credo che la parola chiave dell’articolo precedente sia, appunto, dogma: fa molto sovietico e abbiamo visto che fine ha fatto il socialismo dittatoriale. Sappiamo anche in quale povertà ha vissuto la gente in quel socialismo.
Dogma perché si tratta di posizioni d’origine, non discutibili, non rimovibili, non mutabili neppure al cambiare delle condizioni. La sinistra italiana attuale in larga parte è schiava di questi dogmi: pochi si salvano, pochi sanno parlare davvero dei problemi del paese analizzandoli tramite valori di sinistra ma con obiettività e senso critico, pochi sanno attualizzare questi valori a un mutato contesto.
Attualizzare non significa tradire, bensì leggere nell’ottica del tempo che è passato: il marxismo classico affronta problemi ormai passati – spesso passati grazie al marxismo, in qualche modo, eh – e devono essere estrapolate alcune chiavi di lettura per impiegarle oggi, rendendosi conto che la struttura generale ha ampie validità ma anche che come teoria scientifica è una frana.
Solo i valori restano in piedi: uguaglianza reale, libertà, bassa suddivisione sociale. La nostra Costituzione, in pratica. Perché restino in piedi, quindi, è fondamentale che ci rendiamo conto proprio di questo: sono i valori a dover essere preservati, non i dogmi formali.

Spero di esser stato chiaro e non confusionario: il messaggio è abbastanza importante, forse è fondante per il cammino futuro della sinistra.
Dobbiamo svegliarci, passare oltre a certe immagini-tipo, certi eroismi che di eroico hanno ben poco, e riflettere sulla storia: solo analizzando ciò che è stata possiamo provare a delineare ciò che vogliamo sia domani la sinistra.

 
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Pubblicato da su 28 febbraio 2012 in Politica

 

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Informazione, ma come piace a noi


L’argomento ha fatto la sua comparsa a una cena di redazione, chiacchierando della validità giornalistica di testate come Il Giornale, Il Foglio o Libero, ampiamente schierate dalla parte dello Psiconano. A tavola, è nato il paragone con testate analoghe ma speculari – Repubblica e il Fatto, soprattutto – e su come, stando all’apprezzamento dei lettori, l’informazione di parte piaccia parecchio agli italiani. Siamo un popolo, è stata la conclusione, a cui piace sentirsi dire ciò che si desidera, leggere pareri confortanti e coerenti con le nostre posizioni. Non a caso a me Avvenire piace.

Premettendo che non ritengo opportuno porre sullo stesso livello morale le posizioni schierate di Repubblica e del Fatto – posti a difesa della legalità e della Costituzione – di fronte a quelle moralmente insipide, quando non scorrette, delle testate filoberlusconiane – che appoggiano e difendono comportamenti immorali e illegali – sono dell’idea che, tecnicamente, sempre di informazione “parziale” si parli.
Parziale nella doppia accezione: sia connessa a una “parte” ideologica-politica-filosofica, sia non completa, quasi settoriale. Non necessariamente un male, superato il primo dubbio, perché quantomeno non celata e, anzi, a lungo sbandierata. Dopotutto, scrivere esponendo le proprie idee è virtuosismo e responsabilità, finché si pone attenzione a fornire comunque un servizio d’informazione.
E qui, forse, caschiamo male sotto molti punti di vista…

Certa informazione che andiamo a leggere, infatti, non è informazione propriamente detta, solo trasmissione di dati che confermano una tesi già insita nel lettore. Succede così che l’italiano preferisca leggere qualcosa che vada incontro non solo ai suoi canoni estetico-letterari, ma anche alle sue idee riguardo l’argomento del testo. Se questo dal punto di vista del semplice piacere letterario è lecito, sorge il dubbio che possa anche divenire pericoloso qualora il lettore si affidi esclusivamente a fonti parziali e tra loro unidirezionali: così facendo si troverebbe non solo a confermare le proprie opinioni di base – i propri sacrosanti pregiudizi, direbbe Popper – ma non avrebbe possibilità di analisi critica della realtà, composta a prescindere dall’osservatore da una miriade di sfaccettature caratteristiche e non sintetizzabili divergenze. Continuando a filosofeggiare sul filone austriaco-ebraico, potrei dire che l’informazione univoca impedisce la critica del senso comune; se comunque ci basiamo sui nostri pregiudizi – intesi come “punto di partenza” – è fondamentale che questi affrontino la prova dei fatti. Tradotto nel campo dell’informazione, non potendo andare ciascuno di noi a verificare in loco gli eventi, sarebbe opportuno ricevere multiformi input pluridirezionale, sicché li si possa analizzare e se ne possa trarre un complesso tutto sommato coerente.

Qui si inserisce un ulteriore problema, ma diventa opinione personale: penso che la maggior parte dell’informazione di parte non sia adatta, da sola, a fornire una visione sufficientemente aperta della realtà. Me ne accorgo leggendo articoli sul medesimo argomento – quando si tratta di argomenti scottanti, su cui è necessario schierarsi – tratti da testate divergenti; vuoi per la bravura degli autori, vuoi per la confusione, vuoi per l’abilità nel celare, mancano sempre ingranaggi fondamentali per effettuare la dovuta critica al dato che giunge.
Diventa così importante trovare quantomeno qualche dato “meno spurio”: ovviamente l’imparzialità è impossibile, lo insegnano anche a noi storici. Quando qualcuno si mette dietro una tastiera, in un modo o nell’altro lascia trasparire parte del suo pensiero, anche se sta raccontando la cronaca del derby a poker tra seminari vescovili (garantisco che l’immagine di giovani seminaristi che puntano toghe e stole mi ha per un attimo terrorizzato). Alcuni, però, sanno farlo con contegno, altri scadono nel ridicolo o nell’eccesso.
Difficile è oggi procurarsi queste fonti che, pur non essendo neutrali, forniscono quel tanto che basta di imparzialità da poter usare la testa – la propria – per formarsi un’opinione il più possibile indipendente; una teoria da mettere alla prova dei fatti, direbbe ancora Popper.

Qual’è il problema sociale, allora? Non la mancanza di informazione “neutra”, credo sia chiaro. Il vero allarme è l’assenza di richiesta di questo tipo di informazione.
All’Italiano medio va benissimo leggere le avventure smutandante di Berlusconi attraverso gli occhi di Padellaro o di Feltri, basta che appoggi l’opinione iniziale del lettore. E ammetto di caderci con sommo piacere anch’io, a volte; salvo, spero, riscattarmi quando transito dal “piacere” della lettura alla “richiesta d’informazione”.
Significa, davvero, che è in corso una sorta di anestesia generale delle coscienze, giusto per citare Travaglio (uno neutrale, insomma); anestesia che si trasforma, con il tempo, nell’assenza di reale richiesta di informazione.

Forse è il nostro tempo: manchiamo di certezze e ci rifugiamo nelle conferme delle piccolezze che ci circondano. Probabilmente questo atteggiamento è l’estremo approdo del relativismo, quello stesso relativismo che ci tiene fuori dalle chiese o che ci rende abbastanza inerti di fronte agli orrori sociali, compiuti a turno a Berlusconi/Monti/Bersani o chi per loro.
Sicuramente è una resa del nostro intelletto; nel momento in cui scegliamo di non cercare più la verità, pur sapendo che non è certo scritta su un giornale e, per la cronaca, la politica, lo sport, l’economia, la storia, non esiste, lasciamo che sia solo il nostro pregiudizio a dirci come agire. L’assenza di ragione critica è allora il vero male del nostro tempo, che lascia agire il relativismo del “tanto va tutto bene”.
E no, non è un rinnegare l’anything goes di Feyerabend, anzi: è andarlo a confermare con forza! Perché niente va sempre bene, tutto va bene a seconda del caso. Bisogna saper scegliere quale strumento impiegare, certi che ciascuno strumento troverà, prima o poi, il suo giusto impiego.

Avevo promesso post più corti, oggi ho fallito; però credo che chi ci è arrivato fino in fondo si sia goduto uno dei pezzi più… onirici che abbia mai scritto. Ma, a mio parere, anche uno dei più significativi.

 
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Pubblicato da su 11 gennaio 2012 in Sproloqui, Teoria

 

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Odifreddi e il Metodo Storico: due sconosciuti


Cade a proposito con i miei studi un articolo di Messori datato 18 dicembre e indirizzato al “simpaticissimo” Pier Giorgio Odifreddi, professorino di matematica con la passione per la religione altrui. PGO non smentisce la sua competenza e si dimostra, ancora una volta, personaggio dotato della capacità di combinare le uscite a sproposito più inverosimili della storia.

La disquisizione mi riguarda da vicino non per motivi di fede ma per questioni di metodo storico; proprio mentre mi sto preparando per un esame di “fonti e metodi della storia contemporanea”, assistere a un brevissimo dibattito di metodo – seppur monocorde e giornalistico – fa bene e tiene accesa la spia sulla necessità di verificare le fonti.
Cos’è successo a PGO? Un errore comune a chi non è del mestiere – e il problema è che spesso lui fa tutt’altro che il suo mestiere, il matematico – e non ha pratica con il metodo della ricerca storica: non ha verificato le fonti.
Nello scrivere l’introduzione a un libro su Lourdes e sulle apparizioni, si è limitato a convenire che Bernardette sarebbe stata “imboccata” dal parroco Peyramale; peccato che quel parroco di campagna non ne volesse sapere delle apparizioni della Madonna, che fosse stato avvertito solo dopo la tredicesima di queste, che accettò il miracolo solo due anni dopo. L’ostilità iniziale di ogni gerarchia ecclesiastica locale per i toni miracolistici è nota a tutti coloro che si occupano della materia, atei, laici e sacerdoti; dubito che PGO abbia dimentica tutto ciò che ha imparato negli anni trascorsi in seminario. Il caso di Lourdes al riguardo non si è distinto affatto; a convenirne non sono i cristiani o i matti, ma gli storici, anche quelli di professata fede marxista. Non serve credere alle apparizioni per affermare che quel parroco non voleva saperne niente e che le apparizioni furono a lungo un elemento di devozione popolare, senza alcuna ratifica ufficiale della Chiesa. Si tratta, in verità, di fare solo un buon lavoro da storico, senza emetter giudizi; limitarsi a questo neppure significa riconoscere la soprannaturalità del fenomeno o appoggiare la linea credente.

Lo storico non si erge a giudice e non emette pareri; ricostruisce, basandosi sui documenti – che cambiano in base al periodo – e cerca di dare una spiegazione razionale, scientifica. Non è un teologo e neppure un giornalista: non deve forzatamente destar scalpore nel lettore e neppure ribadire posizioni teologiche di partenza. Deve narrare “l’uomo attraverso il tempo”.
PGO – che storico non è, come neppure teologo – è caduto nell’errore più marchiano di chi si diletta con la storia senza padroneggiare gli strumenti del mestiere; ha pensato che il contrasto diretto con l’opinione a lui opposta fosse l’unica linea percorribile, sempre e comunque. Non ha riflettuto sulla possibilità che quell’evento non avesse alcuna relazione specifica con la validità (cristiana) dei fatti di Lourdes: ha preferito, come suo solito, criticare tout court la fede cristiana, senza usare un criterio razionale.

Questo mi preoccupa più del resto; se a muovere un docente universitario di matematica è l’astio e non la razionalità della scienza, tanto più quando si professa seriamente e completamente razionale, abbiamo a che fare con un bel problema. Di coscienza, di serietà, di coerenza. E di mentalità adattabile: perché chi contesta l’irrazionalità della fede non può poi scadere nell’agire sul presupposto dell’odio irrazionale e lasciarsi trascinare da quel sentimento nello scrivere. Si troverebbe a peccare quanto ciò che avversa, anzi, di più: perché chi ha fede non si ripara dietro lo scudo della razionalità, a differenza del finto razionale.

Simmetria storiografica grandiosa.

 
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Pubblicato da su 4 gennaio 2012 in Curiosità, Teoria

 

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Dottore


Il blog è deserto da alcuni giorni non a caso, è dovuto alla mia assenza preventivata. Ho avuto dei buoni motivi, comunque.
Ve lo assicuro!

Ieri ho finalmente conseguito la laurea in storia, dopo un bel po’ di anni di studio. Una piccola soddisfazione ma una tappa importante per segnare il passo. L’argomento, penso l’abbiate ormai scoperto tutti, era Popper e le critiche agli storicismi: si, un bel po’ di filosofia e non troppa storia,a  prima vista, Eppure, come dicevo ieri alla commissione, comprendere le teorie di Popper e gli storicismi è fondamentale per leggere dovutamente la storia contemporanea. Il XX secolo, dopotutto, è stato intriso di storicismi, basti pensare al marxismo e ai tentativi di attuare nella realtà le teorie di Marx.

La pausa del blog non durerà moltissimo, non abbiate paura. Ci sono già un paio di post che aspettano solo di uscire – argomenti ce ne sono parecchi, non temete – e credo che avranno spazio già da oggi pomeriggio o, al più tardi, domani. Non sono certo il tipo da ubriacarsi e sparire per settimane in coma etilico: mi leggerete di nuovo molto presto.
Quantomeno il mondo circostante aiuta, fornisce spunti interessanti: tra la finanziaria-furto, genitori che chiedono al tribunale di obbligare la figlia ad abortire e piccole novità scientifiche, il materia non manca.

Ora, ovviamente, potete chiamarmi dottore… anche sul blog!

 
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Pubblicato da su 13 dicembre 2011 in Diari, Sproloqui

 

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