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La fine!


https://i0.wp.com/www.malitalia.it/wp-content/uploads/2011/11/theend_berlusconi_pp-300x210.jpgMentre si concludono i conteggi di queste elezioni quantomai complesse da leggere, trovo giusto evidenziare un dato, frutto dell’analisi numerica, che può darci un indizio della direzione da prendere.
L’era del centrodestra berlusconiano è finita: finita con un collasso complessivo del numero di voti ricevuti, passati dai 17 milioni del 2008 agli attuali 10 (poco meno, in verità). Si tratta di una discesa netta del 42%, ampiamente superiore a quella del Pd (comunque grave e attorno al 30%). Paga moltissimo la Lega, che lascia per strada oltre 1,7 milioni di voti, più del 55% dei consensi.

Solo il sistema elettorale abbastanza buffo mantiene in piedi il potere – ma non il consenso – di Berlusconi. Troveranno tempo le interpretazioni sulla creduloneria e sul buonsenso elettorale degli italiani, oggi concentriamoci su una questione più “apocalittica”, anche più centrale del boom del M5S.

Berlusconi è, numericamente, alla frutta: una frutta che puzza anche un po’ di stantio. Non è un augurio, è l’interpretazione dei numeri: come previsione potrà essere smentita da ulteriori e differenti evoluzioni dello scenario, ma in un comportamento lineare delle altre forze – chiederlo al Pd, però, potrebbe essere illudersi – il risultato di oggi è un KO definitivo.
Il consenso che si era costruito negli anni è rimasto in piedi, parzialmente, per una combinazione di fattori:
l’incapacità del Pd (e della sinistra tutta) di farsi alternativa credibile
l’irrompere del M5S, visto che i flussi elettorali dei grillini pescano più a sinistra che a destra (pur svuotando di fatto la Lega)
il sistema elettorale folle, che al Senato premia eccessivamente le regioni popolose

https://i0.wp.com/www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2012/12/scandali-di-berlusconi26.jpgI primi due punti sono la chiave del sistema: la sinistra, ancora una volta, è stata inadeguata. Proposte scialbe, nessun mordente in campagna elettorale, efficacia comunicativa ridotta e i cavalli da corsa, quelli che, pur non essendo i leader, dovevano essere sparati in tv tutti i giorni, tenuti in cantina. Quando hai due ammaliatori di folla come Vendola e Renzi, non puoi permetterti di mandare Bersani: capisco le ritrosie del Pd a dar spazio al leader del partito alleato – limitatamente, perché anche se avesse strappato qualche seggio in più grazie alla visibilità accresciuta, di certo avrebbe ripagato con molti più voti conquistati – e allo sconfitto delle primarie, ma credo che il sacrificio sarebbe stato ampiamente ricompensato. Si poteva e si doveva vincere.
Questo ha comportato non solo lo spazio per il recupero del Cainano ma anche la cessione di ingenti quote di voto dalla sinistra a Grillo. Non si può infatti ignorare il calo di voti del Pd e la crescita dei grillini, sicuramente elementi collegati, spesso sul territorio, dove le amministrazioni di sinistra non si sono dimostrate sufficientemente sensibili ai veri temi cui l’elettorato e la cittadinanza erano interessanti. La sinistra ha perso il confronto, pur con questa risicata maggioranza numerica: possiamo fare tutte le analisi che volete ma, in definitiva, la motivazione è una sola. Monti.

Torniamo a B.: credo che neppure il Pd possa risuscitarlo da una botta di questo tipo. Berlusconi è stato mollato da tutto l’elettorato realmente reattivo alla realtà, questo è ciò che emerge seriamente dalle elezioni. Possiamo riflettere su un consolidamento di una decina di milioni di persone che lo votano comunque – una certa, piccola, percentuale ha votato le liste correlate per osteggiare la sinistra e nella speranza di una crescita per il futuro: questa la scelta di Meloni e Crosetto, per esempio – ma è un flusso in buona parte costruito sulle promesse vacue della campagna elettorale, un exploit che può essere fermato da un competitor dotato di anche solo un minimo di capacità comunicativa (e di uno staff all’altezza). E da una proposta all’altezza nel reale centrodestra, che chiami a sé gli stakeholder dei voti liberisti e della destra moderata.
Berlusconi può festeggiare per i seggi conquistati ma deve piangere per il consenso definitivamente eroso: e quello conta in politica, perché dovrà trovarsi a confrontarvisi, in un modo o nell’altro.

Riguardo Sel, un solo piccolo appunto: da sola ha fatto meglio dell’intera Sinistra arcobaleno. Per quanto la situazione sia difficilissima, la sinistra italiana ha registrato una crescita percentuale interessante, passando dal 3,02% a quasi il 5,5%. Bruscolini, vero, ma sicura testimonianza di una richiesta di attivismo che, se combinata con la forte denuncia delle politiche liberiste che ha vinto queste elezioni, può consentire di crescere. Assieme, però: perché dobbiamo imparare a essere uniti e a essere squadra per il governo, non testimonianza fine a se stessa.

 
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Pubblicato da su 26 febbraio 2013 in Politica, Teoria

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Un (altro) cartonato in politica


Renzi: pupazzo forzitaliota?Dal 1994 a oggi abbiamo vissuto una stagione politica in cui la democrazia propriamente detta è stata sospesa: una certa fetta del popolo italiano (circa 1/3 degli elettori) è stata irretita da un’operazione di marketing televisivo e mediatico, operazione che ha costruito un politico a partire da un imprenditore.
Sopra all’immagine dell’ìimprenditore di successo Berlusconi – tutti sono capaci ad avere successo con le sue amicizie, diciamolo però – è stato incollato il cartonato del leader politico. Tuttavia l’occhio attento poteva fin dal 1994 riconoscere che, dietro agli slogan, dietro alle parole di facciata, si nascondeva il nulla. Il Governo Berlusconi dell’ultima legislatura ha dimostrato con buona precisione questa teoria: il nulla siderale, l’assoluto cosmico del vuoto. Nessun programma, nessuna realizzazione: solo la sopravvivenza del governo stesso, dello stipendio dei parlamentari, l’impunibilità del Berlusconi indagato & inquisito.

La generazione che va dai 30 ai 50 ha l’occasione oggi di rivivere l’esperienza del 1994. Su una sponda (apparentemente!) differente l’operazione si sta ripetendo. Nome diverso, look diverso ma temi simili: l’analisi è inquietante.
Matteo Renzi è il prodotto di questo svuotamento contenutistico berlusconiano: in risposta al vuoto mentale insufflato dal sistema berlusconiano in questi anni – con l’eliminazione della scuola pubblica, con l’eliminazione della cultura in Tv, con l’arrivo di “reality” & simili al posto di questi fattori di crescita mentale – stanno cercando di impiantare un vuoto ancora più spinto, prodotto stesso del vuoto precedente.
Osserviamo bene Renzi. Programma patinato, look all’americana, campagna elettorale in grande stile, imponente presenza mediatica, grande capacità nel confronto con i mezzi di comunicazione, giovane età, slogan accattivanti… un programma fatto di slogan, dietro ai quali c’è il nulla o il “talmente vago che può starci di tutto”… la promessa di un cambiamento e della sparizione di chi ha causato i problemi all’Italia: e l’accusare la “passata generazione” di essere l’unica causa di questi problemi. Rimossa questa, rimossa i problemi.
Ancora una volta ricette e formule magiche che, miracolosamente, cambieranno il paese.
Anziché un uomo di cultura, uno statista, eccoci un altro prefebbricato.

Come diciotto anni fa molti italiani corrono a Renzi come le falene corrono alla luce: ciechi, incapaci di vedere e distinguere. Siamo un popolo che giace sul fondo della scala e sembra goderne. Vuole rimanerci a tutti i costi.
Molti italiani oggi corrono dietro a slogan e motti, non a programmi e ideali politici: una certa sinistra questo l’ha capito – è il merito di Vendola che, dietro alla campagna “Oppure Vendola” ha saputo inserire contenuti e programmi da vero “acchiappanuvole” – un’altra no e infatti rischia l’estinzione. Estinzione, però, che ancora uan volta non graverà sui politici inetti – Bersani la sua pensione ce l’ha assicurata – ma sugli italiani, che rischiano di essere governati ancora una volta da politici cartonati o, peggio, inetti teleguidati.Un programma cartonato: fcciate senza sostanza

Il programma di Renzi mi ha sempre evocato un’immagine precisa: quella delle facciate di palazzi dei set cinematografici. Possibilmente un western, in modo che la casa sia isolata nel deserto, o quasi. Un’immagine di tristezza e desolazione: un po’ il futuro che ci attende se avremo a che fare ancora una volta con un politico finto, attore vero.

Immagino che certi aspetti di questo post suonino come allarmismi vanitosi e saccenti: sono sicuro di non portare una soluzione definitiva e priva di difetti (Vendola) ma sono anche sicuro che Renzi non è una strada politica percorribile con onestà e senso civico. Renzi è il vuoto, è Berlusconi-dopo-Berlusconi, l’ennesima incarnazione di una politica fatta di finzione, menzogna, bei racconti e nessun contenuto reale. La sua vittoria sarebbe l’ennesima prova del controllo del denaro sulla nostra vita politica: cittadini illusi di poter vedere un paese migliore, irretiti dai colori e dalle luci, incapaci di vedere la realtà che si trova dietro la scenografia. Altre politiche liberiste, altro spazio per la finanza e altre riduzioni di diritti per i cittadini. Altri danni allo stato sociale, altre privatizzazioni, altra svendita di conquiste sindacali, altri appoggi a Marchionne, altri vincoli alla spesa che sopravanzano la necessità di spendere bene quel denaro. Altre parole-chiave, altri slogan, altre lucine che illudono. Altri voti buttati, trasformati in azioni dannose per la comunità. Se passano trovate del genere, davvero il danno più grosso del ventennio berlusconiano sarà quello alla cultura e il suo piano di attacco avrà conquistato una vittoria, incancrenendo l’Italia in un costante berlusconismo.
Un copione già letto, mi direte, l’abbiamo visto da vicino negli ultimi diciotto anni: eppure sta per andare di nuovo in scena.
Eppure c’è un’Italia migliore!

 
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Pubblicato da su 20 novembre 2012 in Politica

 

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Produzione propria


Oggi sarò breve e conciso.
Mentre Elsina ci suggerisce di non fare troppo gli schizzinosi, trovo giusto dare un po’ di spazio a una produzione video-giornalistica made in Savona. Parliamo allora di Play&Comics Magazine.

Opera di quattro liguri (Edoardo Bellanti, Elisa Bruno, Alice Corsi, Saverio Iacono) che hanno progettato e realizzato questo video, il video è un pilot, un lancio, per un magazine online che tratterà di giochi e fumetti. E poi ci sono i due geniali conduttori, per quanto la mangosaggine non rientri nei miei gusti.
Non sono un esperto di comunicazione, quindi mi astengo da ogni parere di merito. Quel che segnalo è sicuramente l’iniziativa di un prodotto diverso dal solito, rivolto a un pubblico sicuramente interessato all’approccio tecnologico e, magari, spesso di fretta per sfogliare pagine (anche web) e leggere recensioni, novità e quant’altro.
L’iniziativa merita ulteriore spazio anche per l’intuizione del 3D: anche se questo pilot è un “comune” video, le prossime puntate saranno fruibili anche con la tecnologia che ha reso di successo film come Avatar. E questo è senza dubbio un passo importante: che avvenga a Savona, poi, sembra quasi incredibile, almeno per chi conosce un po’ la nostra città.

Potrei polemizzare con chi sta gestendo questa crisi economica e impedisce l’emergere di talenti, giovani o medi che siano; mi limiterò a lasciarvi in compagnia del video, invece, in modo che possiate gustarvelo e informarvi sulle prossime uscite senza dover ricorrere a peregrinazioni in edicola o attraverso la Rete.

 
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Pubblicato da su 23 ottobre 2012 in Curiosità

 

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Di cani e di persone


L’input è nato da questo articolo. Non solo, ovviamente, era una riflessione sorta già durante altre dibattiti a cui ho assistito, con analoghe divergenze di giudizio rispetto al maltrattamento di persone o di animali.

Viviamo in un mondo a più velocità, ne siamo ormai tutti consci. La divergenza nel rapportarsi con le persone o con gli animali, però, ogni tanto mi lascia particolarmente perplesso.
L’esempio del cane e della velina credo sia emblematico: le associazioni animaliste, che poi spesso si dimostrano una lobby insensata, si sono immediatamente inalberate alla notizia della soppressione del cagnolino e hanno ricevuto buona visibilità mediatica. Dall’altra parte, per fare un esempio, l’attenzione mediatica per i numerosi casi di “favori sessuali” nel mondo dello spettacolo o della moda ormai non solletica più alcuna fantasia.
Uccidere il proprio cane – violento – rende indegni per la Tv, andare a letto con il regista no.

Potrei citare casi più vicini a noi, casi di senzatetto e aree canine.
Credo che questa discrasia di trattamento sia indice di una certa confusione valoriale che attanaglia il nostro mondo. Dopotutto in certi ambiti – spettacolo incluso – ricorrere all’aborto per “liberarsi” di una gravidanza non desiderata è strumentalmente accettato, addirittura comodo, e si può estendere il concetto alle vessazioni subite dalle donne in carriera che vorrebbero procreare (“costringerle” all’aborto o spingerle controvoglia alla pillola non è molto diverso, moralmente, perché sempre vessazioni e pressioni sulla vita della donna sono). D’altra parte se qualcuno s’inalbera perché una velina ha abortito, subito lo si taccia di cristianesimo antiquato e di intromettersi negli affari altrui. Se la protesta è per un cane violento soppresso… “povera bestia”.

Viviamo davvero in un mondo i cui parametri di riferimento stanno un po’ vacillando, le priorità non sono poi così ben percepite. Non solo in campo morale: le code di matti che hanno atteso per ore un iPhone 5 nel bel mezzo della più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni sono un esempio di criteri di giudizio completamente saltati. Come dice spesso un parroco che conosco, la povertà non è solo l’assenza del denaro ma anche l’incapacità – culturale? – di gestirlo.
L’incapacità – culturale! – di gestire i criteri valoriali è sicuramente ancor più grave e precedente a questo concetto di povertà. I parametri con cui molti di noi sono cresciuti oggi non contano poi così tanto…

Non sono contrario al progresso per partito preso, ai cambiamenti, all’evolversi della società. Ci terrei, però, che questi mutamente inevitabili avvenissero preservando l’umanità che c’è in ciascuno e nell’altro.
L’altro che è anche il barbone che dorme nel portone di casa quando piove, perché non ha un posto dove andare e perché il suo disagio è anche colpa mia – e della mia società – che non ho saputo aiutarlo. Dopotutto anche lui è una persona.
L’altro è anche la donna incinta “costretta” ad abortire per non perdere il lavoro e le opportunità di carriera: quale società possiamo aspettarci da un sistema che mina l’esistenza della famiglia?
Abitando in una città che ha un sacco di “aree canine” ma solo mezzo bagno pubblico, ho paura delle risposte alle mie domande.

 
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Pubblicato da su 2 ottobre 2012 in Curiosità, Sproloqui

 

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Carcere sallustiano


E non si parla di autori latini!

sallusti carcere processo diffamazione giornalisti etica libertàIl caso del direttore del Giornale ha scosso opinione pubblica e giornalistica in tutto il paese. Che un giornalista possa andare in carcere per quello che ha scritto, si dice, suona come una minaccia alla libertà d’opinione. Che, poi, un direttore possa essere incarcerato per quello che ha scritto un suo collaboratore, sembra ancora più grave.
E si torna a parlare di “casta”, perché la denuncia questa volta è partita proprio da un giudice, che si è sentito diffamato dalle asserzioni degli articoli pubblicati.

Non entrerò nello specifico del tema ma, memore anche dell’intervista rilasciata dal giudice Cocilovo alla Stampa, è necessario riflettere molto bene prima di gridare alla minaccia per la libertà di stampa.
Io credo che chi scrive debba poterlo fare con una certa tranquillità, sapendo che è tutelato dal sistema legale del paese; credo anche che tutti i cittadini debbano essere tutelati, comprendendo in questa tutela anche il proprio buon nome, la fama e la reputazione.
Capita di sbagliare, scrivendo: si può essere imprecisi, possono essere sbagliate le note d’agenzia o può essere stata scorretta – anche sleale – una fonte. Succede. L’importante è scusarsi pubblicamente e rettificare prontamente, magari con uguale visibilità dell’articolo errato (questo dovrebbe essere un criterio fondamentale, per buonsenso ed educazione).
Questo comportamento è quanto è mancato al direttore del Giornale, lo segnala Cocilovo stesso. Nessuna rettifica, nessuna scusa. Tutt’altro.

Ora si vocifera di un provvedimento legislativo veloce per modificare la legge che costringerebbe Sallusti a 14 mesi di carcere; il direttore, dopotutto, sostiene che non deve essere rieducato, quindi le pene alternative sono inutili. E non chiederà la grazia.
Trovo molto più allarmante per la democrazia che si pensi di ricorrere a queste procedure straordinarie piuttosto che il carcere per Sallusti. E credo che la levata di scudi compatta del mondo giornalistico sia un vero comportamento di casta, maggiore di quello dei giudici – che, dopotutto, hanno impiegato sei anni a pronunciarsi!
La porta per una drastica riduzione del sistema di protezione dei cittadini è a portata di mano: davvero si vuole porre in mano a chi informa l’intera opinione pubblica. Privo di un vero sistema di freno – che deve anche prevedere il carcere, purtroppo, in questo sistema giuridico barbarico – l’agente dell’informazione diventa padrone della realtà, poiché non conta più di tanto quel che davvero è successo ma quello che i media riportano.
Non credo sia degno di uno stato civile poter diffamare sui mezzi di informazione – testate nazionali! – senza essere tenuti ad alcuna rettifica e, allo stato pratico, pagando solo una piccola multa. Magari neppure dando la notizia di quella condanna.

Si deve andare alla ricerca del giusto equilibrio tra buongusto, professionalità e dovere d’informazione: l’equilibrio non lo si trova addolcendo o rinforzando le leggi ma operando sugli attori stessi delle vicende.
Serve una profonda incentivazione al rispetto della deontologia per chi comunica, conscio che comunicare, soprattutto oggi, è creare la realtà – o quantomeno trasmetterla. Servono, in questo, anche provvedimenti interni: Sallusti forse non merita il carcere – perché no, in realtà? La responsabilità è sua, la legge la conosceva – ma di sicuro non merita di fare informazione, come non lo meritano tutti coloro che si dedicano a quel mestiere con partigianeria e menzogne, dall’una e dall’altra parte (anche la sinistra ha i suoi Feltri, Sallusti, Minzolini, Fede, etc, solo che sono meno visibili, al momento).

Ma siamo alle solite, in Italia: le leggi possono poco e grandi poteri grandi responsabilitàservirebbe il buonsenso. Vivendo in un paese in cui le prime sono eluse – e deludono – e il secondo è spesso un orpello inutile, quando non dannoso per la propria carriera – ci si sente degli illusi a sperare che le cose cambino.
Se però mi sono avvicinato a questo mondo della comunicazione anche come professione è perché credo nella necessità di una professionalità: tanto tecnica quanto morale, secondo me. Perché un buon comunicatore deve conoscere i ferri del mestiere – scrivere, parlare, raccontare – ma deve anche saperli usare con un’educazione richiesta da pochi altri compiti. Perché, non mi stancherò di dirlo, oggi chi racconta plasma la realtà. Una tale responsabilità non può che richiedere un’enorme sforzo di correttezza ed eticità.

Da un grande potere derivano grandi responsabilità

 
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Pubblicato da su 27 settembre 2012 in Curiosità, Sproloqui, Teoria

 

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Bioetica e costruzione della comunicazione


Questa notizia, abbinata alla recente sentenza della Corte Costituzionale (che non sentenzia affatto, ma rinvia), ha sollevato nella mia testa una riflessione sull’attuale situazione della bioetica e delle posizioni che attraversano il mondo cattolico di oggi.

Credo sia palese che la coscienza etica in campo biologico dei cattolici soffra una certa discrasia e frammentarietà. Potremmo quasi ritenere, a un primo sguardo, che ci sia una profonda scissione tra un sentire comune del popolo laico che compone la Chiesa cattolica da una parte, la struttura istituzionale-episcopale dall’altro. Ciascuna delle due sezioni sembrerebbe rappresentata da degni alfieri più o meno a ogni livello, però, mischiando le carte di una situazione altrimenti molto lineare.
La distribuzione reale delle forze in campo penso sia molto diversa. Tuttavia sussiste un fondato timore che buona parte degli attori e degli opinionisti riguardo questi argomenti parlino senza aver verificato fino in fondo la situazione pratica e le posizioni teologiche.

Incontrare un cattolico pro-aborto non sembra più strano: fatico a credere che una persona pro-aborto possa essere cattolico, un po’ come fatico a credere che lo sia un leghista.
D’altro canto discutere di aborto e dimostrarsi contrari conduce inevitabilmente a farsi coprire di insulti, senza possibilità di concentrare il discorso non tanto sulla decisione morale quanto su quello scientifico ed etico/epistemologico. Ci si trova così di fronte a un discorso perlopiù viziato da un cumulo di ignoranza, nella quale è spesso coinvolta anche la comunità scientifica che, invece, dovrebbe dimostrare una maggior competenza in certe materie.
Purtroppo agli scienziati non vengono mai insegnate due cose importantissime: la comunicazione e l’epistemologia!

Non serve concorrere al Nobel per comprendere a grandi linee il pensiero di Karl Popper, soprattutto se per lavoro lo si applica incoscientemente ogni giorno (tralasciamo Feyerabend per qualche riga, per favore). Serve, invece, trascorrere una manciata di ore a studiare come funziona il proprio mestiere. Se accadesse questo, avremmo sicuramente medici non meno abili tecnicamente e indubbiamente più competenti ideologicamente. sarebbe un guadagno su tutta la linea.
Popper ci dimostra come le leggi scientifiche non abbiano nulla di sicuro e definitivo: la nostra conoscenza scientifica è ipotetica e in attesa di falsificazione. Non sappiamo, si badi bene, quale parte sarà falsificata e in quale misura, non c’è modo di prevederlo. Però dobbiamo essere coscienti che non c’è nulla di certo.
L’attuale posizione pro-aborto si basa essenzialmente su una serie di evidenze scientifiche – alcune delle quali, peraltro, altamente discutibili e spesso dibattute anche tra veri esperti – che suggeriscono il noto termine del terzo mese – dodicesima settimana per l’applicazione dell’interruzione volontaria di gravidanza. Significa, a esser brevi, che affidiamo la scelta riguardo la vita e la morte di una forma di vita a una teoria scientifica, come tale non dimostrabile.
Qui credo dovrebbe entrare in campo più che altro il buonsenso, non certo l’esser cristiani, ma a voler tener in conto solo il secondo fattore, davvero stento come si possa lasciare la vita altrui in mano a una struttura teorica così debole, fragile e incerta.

Si può ora tornare al tema principale del post: la formazione attuale dei cattolici. Credo non sia rilevante basarsi solo sulla dottrina corrente della Chiesa: penso essenzialmente che sia inutile dire ai fedeli “si deve fare così perché l’ha deciso il Papa/la Chiesa”. Non si fa altro che esasperare il distacco già grave tra la struttura ecclesiastica istituzionale e il popolo di Dio che cammina su questa Terra. Non ne abbiamo davvero bisogno. Deve invece essere compito di ogni pastore e di ogni laico che se la sente il proporre riflessione e spiegazioni, l’indagare i motivi di queste posizioni. Analogamente agli scienziati, i preti dovrebbero studiare comunicazione… e mettere in pratica gli insegnamenti.
La situazione americana, che vede essenzialmente un profondo divario fra il sentire cattolico comune e le posizioni di un’élite, dipende in gran parte da questo difetto di comunicazione, amplificato ancor più verso l’esterno.

Ci troviamo, così, a vederci etichettati come retrogradi, quando invece la sensibilità cattolica si trova su questi temi molto oltre le barbarie dell’attuale comune posizione capitalistica. A dimostrarlo sta secondo me il fatto che non serve essere cattolici per apprezzare i passaggi logici che ho esposto prima sul tema dell’aborto: lo testimonia anche l’assenza di qualsiasi considerazione dottrinale o religiosa (tipo “la vita è un dono del Padre”, etc) dai sillogismi. Semplicemente non penso ce ne sia davvero bisogno. 

Cambia il tono quando parliamo di scelte strettamente personali, come l’eutanasia: con la Dignitatis Humanae è ampiamente riconosciuta una profonda libertà religiosa. Nessuno può essere oggetto di coercizione nell’aderire a una religione, quindi a seguirne i dogmi e le “usanze”, o a condividerne le opinioni etiche.
Credo che la scelta nell’accostarsi all’eutanasia sia all’interno di questa libertà di religione e di coscienza: è giusto che ciascuno possa scegliere come gestire la sua esistenza, nel rispetto della legge e della vita altrui. L’impedimento nel caso dell’eutanasia è veramente etico e profondamente legato alla natura religiosa della propria etica: perché, quindi, un cristiano dovrebbe imporre la propria opinione a un ateo?
L’aborto non rientra in questo discorso: la decisione del singolo – la madre – influenza direttamente non solo la sua esistenza ma anche quella di un soggetto diverso, non interpellato e privato di un diritto fondamentale.

Chiudo un lunghissimo post con una circolarità: serve una riduzione di questa frammentazione cattolica. Non fine a se stessa, per obbedienza romana, come piacerebbe ad alcuni: motivata, spiegata, illustrata ai fedeli, discussa dai pastori assieme al gregge. Sarebbe l’unico modo per rinsaldare questa Chiesa che rischia di essere sempre più traballante e meno certezza di riferimento nella costruzione delle nostre vite.
Mai come oggi ne abbiamo bisogno.

 
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Pubblicato da su 23 Maggio 2012 in Divulgazione scientifica, Religione, Sproloqui, Teoria

 

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Informazione, ma come piace a noi


L’argomento ha fatto la sua comparsa a una cena di redazione, chiacchierando della validità giornalistica di testate come Il Giornale, Il Foglio o Libero, ampiamente schierate dalla parte dello Psiconano. A tavola, è nato il paragone con testate analoghe ma speculari – Repubblica e il Fatto, soprattutto – e su come, stando all’apprezzamento dei lettori, l’informazione di parte piaccia parecchio agli italiani. Siamo un popolo, è stata la conclusione, a cui piace sentirsi dire ciò che si desidera, leggere pareri confortanti e coerenti con le nostre posizioni. Non a caso a me Avvenire piace.

Premettendo che non ritengo opportuno porre sullo stesso livello morale le posizioni schierate di Repubblica e del Fatto – posti a difesa della legalità e della Costituzione – di fronte a quelle moralmente insipide, quando non scorrette, delle testate filoberlusconiane – che appoggiano e difendono comportamenti immorali e illegali – sono dell’idea che, tecnicamente, sempre di informazione “parziale” si parli.
Parziale nella doppia accezione: sia connessa a una “parte” ideologica-politica-filosofica, sia non completa, quasi settoriale. Non necessariamente un male, superato il primo dubbio, perché quantomeno non celata e, anzi, a lungo sbandierata. Dopotutto, scrivere esponendo le proprie idee è virtuosismo e responsabilità, finché si pone attenzione a fornire comunque un servizio d’informazione.
E qui, forse, caschiamo male sotto molti punti di vista…

Certa informazione che andiamo a leggere, infatti, non è informazione propriamente detta, solo trasmissione di dati che confermano una tesi già insita nel lettore. Succede così che l’italiano preferisca leggere qualcosa che vada incontro non solo ai suoi canoni estetico-letterari, ma anche alle sue idee riguardo l’argomento del testo. Se questo dal punto di vista del semplice piacere letterario è lecito, sorge il dubbio che possa anche divenire pericoloso qualora il lettore si affidi esclusivamente a fonti parziali e tra loro unidirezionali: così facendo si troverebbe non solo a confermare le proprie opinioni di base – i propri sacrosanti pregiudizi, direbbe Popper – ma non avrebbe possibilità di analisi critica della realtà, composta a prescindere dall’osservatore da una miriade di sfaccettature caratteristiche e non sintetizzabili divergenze. Continuando a filosofeggiare sul filone austriaco-ebraico, potrei dire che l’informazione univoca impedisce la critica del senso comune; se comunque ci basiamo sui nostri pregiudizi – intesi come “punto di partenza” – è fondamentale che questi affrontino la prova dei fatti. Tradotto nel campo dell’informazione, non potendo andare ciascuno di noi a verificare in loco gli eventi, sarebbe opportuno ricevere multiformi input pluridirezionale, sicché li si possa analizzare e se ne possa trarre un complesso tutto sommato coerente.

Qui si inserisce un ulteriore problema, ma diventa opinione personale: penso che la maggior parte dell’informazione di parte non sia adatta, da sola, a fornire una visione sufficientemente aperta della realtà. Me ne accorgo leggendo articoli sul medesimo argomento – quando si tratta di argomenti scottanti, su cui è necessario schierarsi – tratti da testate divergenti; vuoi per la bravura degli autori, vuoi per la confusione, vuoi per l’abilità nel celare, mancano sempre ingranaggi fondamentali per effettuare la dovuta critica al dato che giunge.
Diventa così importante trovare quantomeno qualche dato “meno spurio”: ovviamente l’imparzialità è impossibile, lo insegnano anche a noi storici. Quando qualcuno si mette dietro una tastiera, in un modo o nell’altro lascia trasparire parte del suo pensiero, anche se sta raccontando la cronaca del derby a poker tra seminari vescovili (garantisco che l’immagine di giovani seminaristi che puntano toghe e stole mi ha per un attimo terrorizzato). Alcuni, però, sanno farlo con contegno, altri scadono nel ridicolo o nell’eccesso.
Difficile è oggi procurarsi queste fonti che, pur non essendo neutrali, forniscono quel tanto che basta di imparzialità da poter usare la testa – la propria – per formarsi un’opinione il più possibile indipendente; una teoria da mettere alla prova dei fatti, direbbe ancora Popper.

Qual’è il problema sociale, allora? Non la mancanza di informazione “neutra”, credo sia chiaro. Il vero allarme è l’assenza di richiesta di questo tipo di informazione.
All’Italiano medio va benissimo leggere le avventure smutandante di Berlusconi attraverso gli occhi di Padellaro o di Feltri, basta che appoggi l’opinione iniziale del lettore. E ammetto di caderci con sommo piacere anch’io, a volte; salvo, spero, riscattarmi quando transito dal “piacere” della lettura alla “richiesta d’informazione”.
Significa, davvero, che è in corso una sorta di anestesia generale delle coscienze, giusto per citare Travaglio (uno neutrale, insomma); anestesia che si trasforma, con il tempo, nell’assenza di reale richiesta di informazione.

Forse è il nostro tempo: manchiamo di certezze e ci rifugiamo nelle conferme delle piccolezze che ci circondano. Probabilmente questo atteggiamento è l’estremo approdo del relativismo, quello stesso relativismo che ci tiene fuori dalle chiese o che ci rende abbastanza inerti di fronte agli orrori sociali, compiuti a turno a Berlusconi/Monti/Bersani o chi per loro.
Sicuramente è una resa del nostro intelletto; nel momento in cui scegliamo di non cercare più la verità, pur sapendo che non è certo scritta su un giornale e, per la cronaca, la politica, lo sport, l’economia, la storia, non esiste, lasciamo che sia solo il nostro pregiudizio a dirci come agire. L’assenza di ragione critica è allora il vero male del nostro tempo, che lascia agire il relativismo del “tanto va tutto bene”.
E no, non è un rinnegare l’anything goes di Feyerabend, anzi: è andarlo a confermare con forza! Perché niente va sempre bene, tutto va bene a seconda del caso. Bisogna saper scegliere quale strumento impiegare, certi che ciascuno strumento troverà, prima o poi, il suo giusto impiego.

Avevo promesso post più corti, oggi ho fallito; però credo che chi ci è arrivato fino in fondo si sia goduto uno dei pezzi più… onirici che abbia mai scritto. Ma, a mio parere, anche uno dei più significativi.

 
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Pubblicato da su 11 gennaio 2012 in Sproloqui, Teoria

 

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Ritorno all’ICI…


Ne ho già parlato in numerose occasioni (qui e qui, soprattutto), chi ha seguito il blog ormai conosce la mia posizione sull’argomento. Speravo fosse questione accantonata almeno per un po’ ma è tornata a galla con la finanziaria e con il solito tam-tam di menzogne su internet (Facebook docet).

Il problema che affronto oggi è diverso: più che la questione dell’ICI – avendo già dimostrato che la Chiesa paga, e paga come un banco, direi che posso fermarmi qui – credo sia di interesse analizzare il problema della comunicazione e dell’attacco laicista al mondo del no profit.
Eh si, tutto il no profit, ovviamente: perché se il sistema viene modificato e la Chiesa paga le tasse su ciò che ora non è tassato – chiese, oratori, ospedali, case d’accoglienza – a collassare non sarà la Chiesa ma il sistema del volontariato, quella cosa che bene o male manda avanti il wellfare nazionale in periodo di crisi. Perché, signori miei, quando una famiglia non arriva a fine mese, dov’è che va a chiedere un chilo di pasta, tre euro per il pane o un aiuto per l’affitto?
Il rischio del gioco di questi anticlericali è che si ritrovino in mezzo al casino che essi stessi promuovono: oh, certamente non il rischio che corrono i fautori generali di queste iniziative di disinformazione, ovviamente. A rischiare seriamente sono tutti quelli che ripetono su Facebook concetti demagogici senza informarsi un minimo sulla questione, senza andare a leggere i testi di legge, senza approfondire l’argomento: tra costoro sicuramente ci sarà qualcuno che, mi spiace per lui, perderà il lavoro, sarà in difficoltà o avrà bisogno di un sostegno economico/sociale. Non è un augurio, intendiamoci: è un’asserzione in forza della statistica!
Spero per questo signore – e per tutti i poveri d’Italia, sempre troppi – che nulla delle sue follie sia poi realizzata (e sinceramente Monti sarà anche un capitalista, ma non è scemo). Nel malaugurato caso che lo fossero, capirà sulla sua pelle quanto è facile parlare e smontare una reputazione senza avere prove, e quanto doloroso possa essere per molti un cieco assalto d’ira insensata come questo.

In questi mesi in cui mi sto dedicando a fare comunicazione – di nuovo ma in veste diversa – un po’ mi vergogno di appartenere a una certa categoria: preferisco ritenermi “più corretto” di certi aulici e superiori colleghi, servi però di interessi di parte e, in quanto tali, al livello dello stesso Minzolingua che tutti detestano (a ragione, eh!).
Credo che il vice-direttore di Avvenire abbia scritto con le sue parole tutto quanto si potesse scrivere sull’argomento:

Chi dice il contrario mente sapendo di menti­re. E chi riaccende ciclicamente la campagna di mistificazione sull’«Ici non pagata» non lo fa per caso, ma perché intende creare confusio­ne e, nella confusione, colpire e sfregiare un doppio bersaglio: la Chiesa e l’intero mondo del non profit. Non sopportano l’idea che ci sia un «altro modo» di usare strumenti e beni. Vor­rebbero riuscire a tassare anche la solidarietà, facendo passare l’idea che sia un business, un losco affare, una vergogna. E vogliono farlo nel momento in cui la crisi fa più
male ai poveri, ai deboli, agli emarginati, alle persone comun­que in difficoltà. Sono militanti del Partito ra­dicale
e politicanti male ispirati e peggio in­tenzionati. Battono e ribattono sullo stesso fal­so tasto, convinti che così una menzogna di­venti verità. E purtroppo trovano anche eco. Ma una menzogna è solo una menzogna. È questa la «vergogna dell’Ici

Chiaro, conciso, efficace. Bravo Tarquinio.
Mi limito a monitorare questo fenomeno di disinformazione, confidando che l’Italia migliori in materia e riesca a uscire dal tunnel in cui Craxi e Berlusconi l’hanno gettata, con l’abile collaborazione altrui. Come mi auguro che riesca a contenere in via definitiva le iniziative laicistiche – e non laiche: il linguaggio ha sempre peso e valore – i Radicali e i loro scioperi della fame ci hanno portato l’aborto, mi auguro non peggiorino ancora la la situazione.

 
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Pubblicato da su 7 dicembre 2011 in Politica, Religione, Sproloqui

 

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Imprecisioni e balzelli: come mentire per attaccare la Chiesa


La moda di questi ultimi giorni è quella di attaccare la Chiesa per le sue ricchezze e pretendere di tassarla per rinfoltire la manovra finanziarialacrime e sangue del Nano e di Tvemonti. L’idea di fondo che viene trasmessa da numerosi blog, giornalisti, post su social network, Tg è che la Chiesa italiana non paghi alcun tipo di tributo/imposta/tassa e, anzi, riceva ingiustamente fondi dallo Stato, drenando risorse che potrebbero essere usate meglio.
Come tutte le mode, si tratta di un sistema di superficiali osservazioni, spesso inesatte e imprecise, non approfondite, possibilmente demagogiche. Insomma, quello che si può sentire/leggere sull’argomento è spesso un cumulo di sciocchezze dovuto alla disinformazione o alla malafede (lascio giudicare a chi legge caso per caso, su questa materia).

Vediamo un po’ di portare un minimo di chiarezza su questa materia; vivendo dentro la Chiesa (in senso letterale ma non fisico) ho modo di vedere con i miei occhi alcune cose che molti “esperti” di questi giorni ignorano o trascurano volontariamente e che, se prese in considerazione, modificano completamente il panorama dipinto circa quest’argomento. Diamo però un’occhiata al cumulo di sciocchezze che si possono trovare in giro; sarà una carrellata veloce ma mi auguro sia incisiva…

– Il Vaticano non paga le tasse e ruba soldi all’Italia con l’8×1000: ok, questa è simpatica. Mi chiedo perché mai il Vaticano dovrebbe pagare le tasse all’Italia e non, per esempio, al Brasile. Città del Vaticano è uno stato sovrano, con relazioni diplomatiche, gestito dalla Santa Sede, non un’organizzazione con sede in Italia. L’Italia, dopotutto, non credo paghi le tasse alla Francia o alla Gran Bretagna (almeno, non mi risulta che versiamo l’ICI su Palazzo Madama a Sarkò!) quindi, davvero, perché il Vaticano dovrebbe darci i suoi soldi?
Questa è un’imprecisione dovuta all’ignoranza – o alla voluta confusione – che si incontra in materia: è facile non distinguere Vaticano e Chiesa quando li si vuole colpire perché cambiare rapidamente soggetto permette di cogliere il peggio da entrambi e di rivoltare la frittata quando opportuno (a chi scrive). Se non è disinformazione questa…

– La Chiesa riceve benefici iniqui sulle esenzioni dell’ICI: studiare storia mi ha insegnato qualcosa: non fare affermazioni importanti senza essere dovutamente documentato. Chi parla di esenzioni della Chiesa e propone di cancellarla pare non adottare la stessa linea.
La legge che istituisce l’ICI – con successive, numerossime, modifiche – specifica chi e cosa non è soggetto al pagamento di quest’imposta. La Chiesa, in questo provvedimento, non è citata. Si dice, però, che sono esenti “fabbricati posseduti da enti non commerciali e destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive” (mi sento in diritto di non tenere conto della manciata di strutture citate dai Patti Lateranensi, visto che in fin dei conti sono strutture che godono dell’extraterritorialità, come le ambasciate).
Appare ovvio che la Chiesa rientri nella categoria di “ente non commerciale”: sfido qualcuno a dimostrare che la Chiesa sia un ente commerciale. In caso ci riesca, vorrei anche i dividendi per la mia chiara adesione all’associazione. Insomma, la Chiesa non paga l’ICI come non la pagano tutte le altre strutture religiose, assistenziali, di volontariato, etc: a me sembra una norma sacrosanta, segno di democrazia e di maturità del paese. Pensate cosa accadrebbe se da domani tutte le ONLUS e tutti gli agenti del c.d. Terzo Settore pagassero l’ICI: entro sei mesi il paese sarebbe in condizioni disastrose… e la coalizione di governo che avesse questa brillante idea sparirebbe dal panorama politico per un paio di secoli (meritatamente, eh!).
Ora è chiaro come funziona l’ICI?

– La Chiesa non paga l’ICI neppure sulle sue attività commerciali: questa è palesemente falsa. La legge – che mi sono andato a leggere – non accenna a nulla del genere. Mi informerò con il mio parroco nei prossimi giorni ma non vedo perché mai dovrebbe accadere ciò; se localmente accade, è perché ci sono irregolarità e illegalità locali, sia da parte dei gestori ecclesiastici, sia da parte delle amministrazioni locali (colluse e in cerca di voti). Diocesi ed enti locali collaborano attivamente per tenere aggiornati i dati riguardo a cosa è commerciale e cosa no… e dove non accade, è giusto colpire con la dura mannaia che si deve usare contro gli evasori e i corrotti. Non credo serva neppure andare oltre, penso siano idee che tutti i cristiani condividono.

– La Chiesa aggira la definizione di “attività commerciale” per non pagare: si narra di fantomatici monasteri divenuti alberghi a cinque stelle ma che, in quanto monasteri, sono esenti da ICI e altri balzelli. Ora, in molti casi si tratta di beni ceduti dalla Chiesa – previo regolare pagamento – a privati: il che vuol dire che non sono più materia della Chiesa. Cosa accada lì è una questione tra proprietario, enti locali e Guardia di Finanza.
In altri casi si tratta di monasteri con annessa foresteria, utilizzata da chi vuole condividere alcuni giorni di vita monastica con le comunità locali (l’ho fatto anch’io più volte). I prezzi sono evidentemente risibili, trattabili (non conosco monasteri che rifiutino i poveri…) e la qualità dell’accoglienza è quantomeno ridotta rispetto al cinque stelle. Spezzo una lancia a favore del cibo e delle bevande: i monaci di solito cucinano davvero bene – molto meglio che in numerosi alberghi stellati – e non si fanno mancare bevande con cui accompagnare il desco! Ma paragonare una cella monastica a una camera con idromassaggio è osare un po’ troppo…
La Palla sarà contenta di sapere che nell’elenco dei monasteri “malvagi” – secondo Curzio Maltese – c’è anche Camaldoli, meta di “turismo intellettuale” di lusso. Da quanto mi ha raccontato lei non mi sembrava che a Camaldoli vivessero nel lusso, ma approfondirò, ok?

– L’8×1000 è condannato anche dall’UE come aiuto illecito: vero è che ci sono state tre procedure d’infrazione al riguardo. Verissimo anche che due sono state chiuse. La terza è stata avviata dopo le prime due chiusure da una socialista spagnola, nota per la sua anticlericalità, quindi affidabile e obbiettiva come un’opinione calcistica di Moratti o un parere legale di Ghedini.
in pratica, l’UE ha indagato sull’argomento e, fino a ora, non ha trovato comportamenti illeciti o ingiusti in materia, da parte dell’Italia: l’8×1000 è equamente diviso in base alla scelta dei cittadini e va bene così.

La Chiesa prende tutti i soldi di chi non sceglie, invece dovrebbero andare allo Stato: qui torniamo all’ignoranza. In primo luogo, non si firma per il proprio 8×1000 ma per quello di tutti: la firma di un operaio vale quanto quella di un avvocato parlamentare e i fondi sono distribuiti proporzionalmente a quante firme ogni indirizzo riceve. Firma circa il 40% dei contribuenti italiani – pochi, si direbbe – ma qui c’è il trucco: non tutti sono tenuti a dichiarare (i redditi bassi, io per esempio, non sono obbligati) e questo abbassa il dato. Se facciamo il conto su quanti firmano tra chi ha diritto, il dato sorpassa in fretta il 60%.
La Chiesa riceve circa il 75% delle “preferenze” e porta a casa proporzionale quantità di denaro: perché i soldi non sono divisi tenendo conto di chi non firma e quelli di troppo non finiscono allo stato? Due i motivi: sarebbe un po’ stupido, un po’ come dire che se alle elezioni l’affluenza è dell’80% si elegge solo l’80% dei parlamentari; lo Stato figura già tra i possibili beneficiari del provvedimento, quindi non può tenersi i soldi anche di chi non sceglie, sarebbe un’infrazione… quella si, punibile dell’UE!

Mi sto dilungando troppo… penso che per oggi mi fermerò qui. Ci sarebbero molti altri passaggi da sottolineare ma penso che questi siano decisamente interessanti e indicativi.
La Chiesa commette errori, questo è certo: non voglio passare il messaggio dell’infallibilità dell’istituzione temporale, ci mancherebbe. Sbaglia e, quando lo fa, deve essere richiamata e legalmente punita come tutti. Ci tengo però a ricordare che parlare a vanvera non porta da nessuna parte e direi che su questo argomento in molti parlano a vanvera. Sull’esenzione dall’ICI e sull’8×1000 c’è un’ignoranza, un pressapochismo e una demagogia che fanno invidia alle manipolazioni mediatiche del Nano governante: l’odio anticlericale è ben radicato, violento e insensato, perché colpisce ingiustamente e senza pensare, come ogni odio. Mi preoccupa davvero, questo, perché fa presagire tempi duri per la nostra fede. A Madrid abbiamo visto ragazzi detestati, odiati, insultati e derisi per il loro essere cristiano: se qualcuno avesse dimostrato allo stesso modo contro un Gay Pride sarebbero iniziate invettive compatte da parte di tutti, ma attaccare la fede è lecito e giusto, secondo alcuni. Questa democrazia asimmetrica e questa libertà iniqua mi preoccupano davvero: ma sopporteremo e lotteremo, certi della nostra fede in Cristo. Spero non da soli: mi auguro che chi si accende per garantire i diritti di manifestazione e di libera espressione ai gay, ai sindacati, ai musulmani si ricordi che anche noi siamo cittadini ed esseri umani con eguali diritti.

E buona domenica a tutti!

 
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Pubblicato da su 21 agosto 2011 in Politica, Sproloqui

 

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