Ho trovato interessante un’intervista al noto teologo modernista Küng, pubblicata su Repubblica il 28 maggio. Senza addentrarmi nello spesso teologico delle posizione di Hans Küng, alcune delle quali trovo eccessive anche io, la sua lettura della situazione attuale del Vaticano è a mio parere illuminante.
Il Vaticano letto come “corte medievale” (anche se non so quanto Kung sappia delle corti medievali… quella che ha descritto sembra più una corte rinascimentale, a dire il vero) e, soprattutto, un papa troppo preso dalla teologia e troppo poco dalla gestione della Chiesa.
Non sono esperto degli ambienti di Curia ma la critica per BXVI sicuramente di dedicarsi troppo al pensiero religioso e troppo poco alla gestione materiale del Vaticano è purtroppo vera. Certo, un papa è soprattutto un pastore e deve essere un abile teologo: però non può mai dimenticarsi che deve anche amministrare l’immensa struttura della quale è capo: ci sono responsabilità che, pur se delegate, comunque ricadono sulla sua testa e influenzano l’idea che la il mondo ha della Chiesa cattolica.
Credo faccia parte delle caratteristiche del pastore l’essere equilibrato nello stabilire tempi e priorità. Il governo della Chiesa terrena, che viene sicuramente dopo la guida pastorale delle anime, deve avere comunque uno spazio, anche visibile dall’esterno.
E questo deve essere un comportamento non solo del pontefice ma anche della sua curia – quindi dei cardinali. Non si può pensare che a gestire la politica – economica, relazionale, etc – del Vaticano e della Santa Sede siano cardinali che sacrificano a questo la guida delle anime. Serve, a mio avviso, una ristrutturazione sistematica dell’insieme.
Kung concorda con me e indica una via: non l’avevo pensata ma sembra poter funzionare. “Quanto fu chiesto al Cremlino lo si può chiedere anche al Vaticano: primo la glasnost, cioè trasparenza, il Vaticano dovrebbe preoccuparsi per primo della Trasparenza degli affari finanziari davanti all´opinione pubblica. E secondo la perestrojka, ricostruzione, ristrutturazione: il Vaticano dovrebbe ristrutturare le sue finanze e riorientare i fini della sua politica finanziaria“.
Si tratta di una proposta forte, un profondo cambiamento nell’atteggiamento stesso della Chiesa istituzionale verso l’esterno. Forte ma necessario, in tempi brevi. Forse non Ratzinger, ma il suo successore sicuramente dovrà scegliere tra mantenere una Chiesa immobile nel tempo e vederla svuotarsi, perdendo così incisività nella sua missione Apostolica, oppure cambiarla mantenendone salde le origini e i principi, ma rinnovandone l’aspetto e il funzionamento umano.
Non credo si tratti solo di religione: è una questione profonda di assestamento della realtà umana e mortale della Chiesa che deve saper parlare all’umanità a lei contemporanea. Arroccarsi su idee antiche non può che renderla aliena dal tempo e incapace di svolgere il suo compito. Gesù Cristo parlava in aramaico, non in ebraico antico. Oggi noi dobbiamo usare l’italiano e non l’aramaico o il nostro annuncio si sperderà nel vento.
Una riflessione, finale, su quanto sta accadendo: si ode fin qui lo stridere dei cardinali in preparazione al Conclave. Queste scandali a ripetizione suonano davvero come manovre di avvicinamento alla prossima elezione papale. Benedetto XVI ha 85 anni, inevitabile che il tempo passi e si affronti un tema tanto complesso quanto importante. Però queste manovre dovrebbero essere compiute in spirito di collaborazione fraterna, non seguendo profili di successione politica. Noi cristiani preferiremmo e ringrazieremmo.