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Il voto sereno


Per la prima volta da quando voto – referendum esclusi – ho votato con serenità, senza rimorsi e senza dubbi: era la scelta migliore che potessi fare e non ho neppure dovuto tapparmi il naso (o contenere conati di vomito).

Il panorama del voto e del post voto è effettivamente tra i più lugubri della storia ma ammetto che mi sono approcciato alla questione con la massima serenità. Ho idee abbastanza precise riguardo all’Italia che vorrei: c’è in me un disegno ideale e vedo nel voto, nei partiti, nell’impegno in politica un modo per contribuire a plasmare il mondo. Sicuramente un contributo marginare, come quello di ciascuno di noi, ma comunque tangibile.

Avendo compiuto una scelta di campo coerente con i miei valori e i miei ideali, non credo di dovermi vergognare verso alcuno di professarla, di renderla manifesta e di parlarne in pubblico. Penso, in verità, che poco sia meglio dell’impegnarsi e nel dirlo apertamente: odio sotterfugi, segreti e silenzi, penso che alla luce del sole si cresca meglio.
Credo non ci sia nulla di cui vergognarsi nell’occuparsi di politica: è una forma di servizio al prossimo che dà la possibilità di migliorare il proprio paese. Ciò che conta è farlo con correttezza, coerenza, senza travalicare l’educazione e violare il buonsenso, senza dedicarsi alla “conversione” o sfruttare i propri ascendenti in maniera scorretta: parlare, raccontare, spiegare, semmai suggerire e proporre.

Dopo le elezioni racconterò la mia scelta. Fuori dai silenzi di legge, fuori dalla bagarre elettorale fuori dalle contestazioni che potrebbero nascere (ma chi mi conosce già sa cosa ho votato e con chi mi sono apertamente schierato). Oggi vi dico che di questa scelta sono contento come mai prima: c’è un progetto e un sogno per il futuro, una narrazione che permette di immaginare un domani migliore e gettare le basi per costruirlo. E c’è una dimensione nuova di partecipazione alla vita politica che non mi sarei atteso solo pochi mesi fa.

E ora si riposa, domani c’è lo scrutinio: è da tempo che il paese non è a un bivio di questa portata, spero che sapremo scegliere per il meglio e allontanarci da uno strapiombo a cui siamo passati pericolosamente vicini. Possibilmente evitandoci un altro ventennio, altri populismi , altre guerre civili e altre politiche liberiste.

 
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Pubblicato da su 24 febbraio 2013 in Diari, Politica, Sproloqui

 

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Dal Concilio alla Chiesa


Una mattina il cardinale Ottaviani si svegliò tardi. Chiamò un taxi: “Portami in fretta al Concilio”. Salito in auto, si riaddormentò.Quando finalmente si destò scoprì con suo grande stupore di trovarsi in aperta campagna. “Ma dove mi porti?”. Il taxista: “Al Concilio di Trento. Dove se no?”

Incontrare monsignor Bettazzi, un frammento della storia conciliare, possiede un fascino difficile da descrivere. E poi le occasioni di sentir parlare padri conciliari si fa sempre più rara, ancor meno se vogliamo voci che di quel Concilio hanno abbracciato appieno la portata innovatrice.
La rivoluzione copernicana della Gaudium et spesnon l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità – e quella della Lumen gentiumnon i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli – stentano ad affermarsi. L’ha detto chiaramente Bettazzi, raccontando ai savonesi il suo pensiero sul Concilio. E possiamo riassumerlo così: alcuni si sono ancorati alla Tradizione, dimenticando però che la Tradizione non è non cambiare nulla del passato

La Gaudium et spes, che evoca le possibilità e le speranze per il futuro, invita tutti i cristiani a essere cittadini migliori. Chi si fa corrompere o chi corrompe è lontano dall’essere cristiano quanto chi abortisce: questo perché l’elemento centrale, l’attuazione del comandamento di amore fraterno, del cristianesimo è la solidarietà. Solidarietà verso il debole, quindi verso la vita che nasce; solidarietà verso il prossimo, quindi verso l’intera società. Verso gli altri.

Dobbiamo recuperare molto dello spirito del Concilio, facendoci guidare dallo Spirito. La “pastoralità” non è autorizzazione a non concordare: scopo del Concilio è spiegare come la dogmatica deve essere applicata nella vita quotidiana della Chiesa e del cristiano. In quest’ottica, il Concilio non può essere un “forse” ma deve avere tutta la forza del vincolo di adesione – pur critica – alla Chiesa.
Male che l’opera del Concilio sia stata rallentata e, in certi casi, fermata. Male che molte intuizioni – come il Patto delle Catacombe – siano rimaste parole o carta. Oggi la Chiesa è chiamata a testimoniare con l’azione, non a predicare con le parole. Necessitiamo più che mai di una Chiesa povera, umile, imitazione di Cristo. Che era Re, certo – non possiamo dimenticarlo oggi – ma era una Re che si è svelato nel momento di salire sulla croce, quando s’è fatto servo dell’umanità intera. Non certo un Re di ori, diamanti e conti svizzeri; non un Re di nobiltà di sangue e di porporati. Un Re nato da falegnami, circondato da pastori, predicatore fra pescatori.
Quella è la dignità della Chiesa che le parole di monsignr Bettazzi hanno richiamato nella mia mente e nel mio cuore.

La chiamata che da questo Concilio arriva direttamente a noi laici segue questo filone di pensieri. Dobbiamo essere noi a prendere impegno in prima persone all’interno della Chiesa.
Credo che la Sacrosanctum concilium indichi una via da seguire. La costituzione conciliare chiarisce un punto che era un po’ stato trascurato con il passare del tempo – ma che è sempre stato chiaro nella teoria e nella teologia: l’eucarestia la celebra l’assemblea, il presbitero presiede “soltanto”.
Credo che sia lo spirito giusto con cui affrontare il futuro della Chiesa. Non più una Chiesa fatta di gerarchia e di consacrati, usufruibile dal fedele, ma una chiesa di popolo, dove il laico opera attivamente, nell’arricchimento reciproco delle vocazioni di ciascuno. C’è posto per tutti, c’è un ruolo per tutti.
E così anche nei vertici: non un Sinodo modellato dalla Curia ma un Sinodo che, guidato dal papa, sia traino per la Chiesa, con una Curia che si faccia carico dell’attuazione, con spirito di servizio.

In definitiva c’è bisogno che ci rimbocchiamo le maniche. Se ci teniamo alla Chiesa, tocca a noi sporcarci le mani: testimonianza, annuncio, accoglienza non possono gravare solo sulle spalle dei presbiteri e dell’episcopato. Tocca al laicato, ora, agire in prima persona. Ovunque.
Dobbiamo riformarla dal basso questa Chiesa, portare le istanze fino a vertice, far sentire tutta la distanza che c’è tra il popolo di Dio e molti prelati che hanno perso la bussola e si sono allontanati dal loro gregge. “Siamo qui, guidateci verso Cristo”, dobbiamo dire ai nostri pastori.

 
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Pubblicato da su 25 novembre 2012 in Il Concilio, Religione

 

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Carcere sallustiano


E non si parla di autori latini!

sallusti carcere processo diffamazione giornalisti etica libertàIl caso del direttore del Giornale ha scosso opinione pubblica e giornalistica in tutto il paese. Che un giornalista possa andare in carcere per quello che ha scritto, si dice, suona come una minaccia alla libertà d’opinione. Che, poi, un direttore possa essere incarcerato per quello che ha scritto un suo collaboratore, sembra ancora più grave.
E si torna a parlare di “casta”, perché la denuncia questa volta è partita proprio da un giudice, che si è sentito diffamato dalle asserzioni degli articoli pubblicati.

Non entrerò nello specifico del tema ma, memore anche dell’intervista rilasciata dal giudice Cocilovo alla Stampa, è necessario riflettere molto bene prima di gridare alla minaccia per la libertà di stampa.
Io credo che chi scrive debba poterlo fare con una certa tranquillità, sapendo che è tutelato dal sistema legale del paese; credo anche che tutti i cittadini debbano essere tutelati, comprendendo in questa tutela anche il proprio buon nome, la fama e la reputazione.
Capita di sbagliare, scrivendo: si può essere imprecisi, possono essere sbagliate le note d’agenzia o può essere stata scorretta – anche sleale – una fonte. Succede. L’importante è scusarsi pubblicamente e rettificare prontamente, magari con uguale visibilità dell’articolo errato (questo dovrebbe essere un criterio fondamentale, per buonsenso ed educazione).
Questo comportamento è quanto è mancato al direttore del Giornale, lo segnala Cocilovo stesso. Nessuna rettifica, nessuna scusa. Tutt’altro.

Ora si vocifera di un provvedimento legislativo veloce per modificare la legge che costringerebbe Sallusti a 14 mesi di carcere; il direttore, dopotutto, sostiene che non deve essere rieducato, quindi le pene alternative sono inutili. E non chiederà la grazia.
Trovo molto più allarmante per la democrazia che si pensi di ricorrere a queste procedure straordinarie piuttosto che il carcere per Sallusti. E credo che la levata di scudi compatta del mondo giornalistico sia un vero comportamento di casta, maggiore di quello dei giudici – che, dopotutto, hanno impiegato sei anni a pronunciarsi!
La porta per una drastica riduzione del sistema di protezione dei cittadini è a portata di mano: davvero si vuole porre in mano a chi informa l’intera opinione pubblica. Privo di un vero sistema di freno – che deve anche prevedere il carcere, purtroppo, in questo sistema giuridico barbarico – l’agente dell’informazione diventa padrone della realtà, poiché non conta più di tanto quel che davvero è successo ma quello che i media riportano.
Non credo sia degno di uno stato civile poter diffamare sui mezzi di informazione – testate nazionali! – senza essere tenuti ad alcuna rettifica e, allo stato pratico, pagando solo una piccola multa. Magari neppure dando la notizia di quella condanna.

Si deve andare alla ricerca del giusto equilibrio tra buongusto, professionalità e dovere d’informazione: l’equilibrio non lo si trova addolcendo o rinforzando le leggi ma operando sugli attori stessi delle vicende.
Serve una profonda incentivazione al rispetto della deontologia per chi comunica, conscio che comunicare, soprattutto oggi, è creare la realtà – o quantomeno trasmetterla. Servono, in questo, anche provvedimenti interni: Sallusti forse non merita il carcere – perché no, in realtà? La responsabilità è sua, la legge la conosceva – ma di sicuro non merita di fare informazione, come non lo meritano tutti coloro che si dedicano a quel mestiere con partigianeria e menzogne, dall’una e dall’altra parte (anche la sinistra ha i suoi Feltri, Sallusti, Minzolini, Fede, etc, solo che sono meno visibili, al momento).

Ma siamo alle solite, in Italia: le leggi possono poco e grandi poteri grandi responsabilitàservirebbe il buonsenso. Vivendo in un paese in cui le prime sono eluse – e deludono – e il secondo è spesso un orpello inutile, quando non dannoso per la propria carriera – ci si sente degli illusi a sperare che le cose cambino.
Se però mi sono avvicinato a questo mondo della comunicazione anche come professione è perché credo nella necessità di una professionalità: tanto tecnica quanto morale, secondo me. Perché un buon comunicatore deve conoscere i ferri del mestiere – scrivere, parlare, raccontare – ma deve anche saperli usare con un’educazione richiesta da pochi altri compiti. Perché, non mi stancherò di dirlo, oggi chi racconta plasma la realtà. Una tale responsabilità non può che richiedere un’enorme sforzo di correttezza ed eticità.

Da un grande potere derivano grandi responsabilità

 
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Pubblicato da su 27 settembre 2012 in Curiosità, Sproloqui, Teoria

 

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Sei!


Il numero di imputati nel processo per la morte di Lea Garofalo; lo stesso numero degli ergastoli assegnati dalla corte di Milano. Un piccolo successo nella lotta contro le mafie, lotta di cui abbiamo parlato a lungo e di cui ancora vorremo parlare. Per non dimenticare, per fare memoria.

Il racconto del processo è cosa superflua: credo sia più giusto ricordare il coraggio di una testimone di giustizia, una “che sapeva” e che, per senso di giustizia, ha raccontato quel che sapeva. Sapeva soprattutto delle faide tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno, Carlo Cosco. E, secondo la ricostruzione del processo, è stato proprio Cosco a ordire il rapimento, conclusosi con la tortura, l’omicidio e lo scioglimento nell’acido della testimone di giustizia.

Una storia ordinaria di malavita organizzata, di violenza inenarrabile, di prevaricazione; una storia che tanto ordinaria non deve rimanere.
Una storia, ancor peggio, che ha visto la figlia di Lea Garofalo, Denise, deporre contro Carlo Cosco, suo padre: una nuova tortura, per la figlia, a opera degli avvocati della difesa. Fatevelo raccontare da don Ciotti, presente alla proclamazione della sentenza, perché può dare i brividi.

Stasera sono breve e conciso: c’è poco spazio per le parole, secondo me, più per i pensieri. Più per il ricordo: e non servono molte parole per la memoria.

 
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Pubblicato da su 1 aprile 2012 in Diari, Politica, Sproloqui

 

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Suggestioni d’antimafia


Ascoltare ieri don Ciotti in chiusura dell’assemblea regionale dell’AGESCI ha sicuramente caratterizzato la domenica e l’assemblea tutta; una palestra di democrazia associativa è diventata università di cittadinanza e legalità grazie alla presenza di un uomo che ha saputo dare nuovo vigore a questi concetti per tutti gli italiani.
Credo che un racconto sarebbe solo uno sterile resoconto, privo della forza dei messaggi lanciati da don Ciotti durante le due ore di vera sospensione temporale. Allora lascerò solo alcune suggestioni, alcune frasi che hanno caratterizzato la giornata e che, a mio modo di vedere, rappresentano il cuore del messaggio depositato nelle nostre menti ieri da don Luigi.

Ho due grandi riferimenti: il Vangelo e la Costituzione
Un’apertura che ha subito richiesto un forte applauso. Da qualunque prete ci si aspetta il riferimento al Vangelo – da qualunque cristiano, ci mancherebbe altro – ma solamente quelli speciali sanno parlare del mondo reale in cui viviamo. Quell’appello alla Costituzione prima, alle dichiarazioni dei diritti umani poi, ha tagliato l’intero intervento di don Luigi. Perché se il fulcro della società è la Costituzione, allora da questa ne discendono le responsabilità che ciascuno di noi deve assumersi per renderla non carta e teoria, ma vita e realtà.

“Ma cosa vuoi tu, montanaro?
Il racconto diretto, personale, della difficoltà del Luigi bambino, il disprezzo e il razzismo nell’espressione che, declinata con altre parole, ferisce la natura e l’origine del debole. Il debole che, invece, avrebbe bisogno di essere accolto, non scacciato. Un memoriale, a pochi giorni di distanza dalle voci sulla possibiltà che il 2012 non abbia alcun decreto flussi.

AGESCI, agenzia educativa e associazione cattolica di più grande valore
Non certo una marchetta, se in bocca a un uomo del genere. Un riconoscimento, un cammino e un progetto: se molte sono le realtà cristiane di grande forza, se noi AGESCI abbiamo dei meriti, questo deve solo esortarci a essere ancora più vigili, più presenti, più costanti. Più attivi sul nostro territorio, più attenti alle debolezze che ci circondano, meno immersi nel nostro “piccolo universo felice”.

Molti io che fanno un noi
Credo sia lo spirito con cui dobbiamo affrontare non solo la gravissima situazione delle associazioni malavitose ma ogni aspetto della nostra breve vita. Noi scout abbiamo una grande forza, l’abitudine alla comunità e alla condivisione: sfruttiamola, coltiviamola. Allarghiamo la nostra comunità, estendiamo la nostra condivisione: così anche la Chiesa, nella quale viviamo il nostro umile servizio. Non può non essere maestra ed esempio di condivisione e comunità.
Ma per don Ciotti è anche lo spunto e la caratterizzazione del suo impegno, prima con il Gruppo Abele, poi con Libera. È la dimensione con cui costruire i cambiamenti, attraverso la relazione.

Dare un nome a ogni ragazzo, a ogni vittima
Uno dei momento più toccanti del pomeriggio, quando la commozione e il sentire di don Luigi è stato veramente comunicato a tutta l’assemblea.
Non più “i ragazzi della scorta” ma Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Roberto Antiochia, Agostino Catalano, Emanuela Loi  Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina e tutti gli altri, innumerevoli, inenarrabili. Il messaggio forte di don Luigi, accompagnato dal racconto delle parole delle madri di queste vittime, è che tutte le vittime delle mafie devono essere ricordate allo stesso modo: ricordate per nome, ricordate con la stessa dignità.
Sono persone che hanno perso la loro vita durante la lotta, spesso il loro nome è stato infangato – e il ricordo per don Diana è stato toccante – e oggi dobbiamo ricordarlo e ribadirlo più forte.

La mafia dove c’è bellezza e prosperità si instaura
Ci rammenta don Luigi che non dobbiamo abbassare la guardia, ritenerci immuni e distanti. Proprio qui al nord le mafie investono e crescono; il recente scioglimento del consiglio comunale di Bordighera per infiltrazioni mafiose è un segno, lo è ed altrettanto forte la marcia che Libera organizzerà il 21 marzo 2012 proprio a Genova.
Spetta a noi vigilare ed essere presenti; essere scolte, sentinelle fino all’alba, a questo siamo chiamati.

Se la politica è debole, le mafie sono più forti
“La democrazia nel nostro paese è stata pallida, altro che pallida!, le mafie sono più forti”.
Parole coraggiose, critiche importanti a un mondo politico nazionale che sembra sempre più privo di valori e di riferimenti. Peggio, sembra sempre più colluso con le mafie, con la malavita organizzata, con le realtà del malaffare. E se grazie all’illegalità se ne vanno più di 560 miliardi di euro ogni anno, nulla viene compiuto per fermarli: denaro che, anche se recuperato solo parzialmente, coprirebbe ben più di una manovra finanziaria, denaro che sosterrebbe servizi vitali per lunghi periodi. Eppure nulla – o poco – si muove.

Ci lascia un messaggio per domani, don Luigi Ciotti: ci lascia un compito per costruire un mondo “migliore di come l’abbiamo trovato”. Ma quant’è difficile, quant’è dura. Sarà ancora più dura, perché le mafie non si arrendono: eppure spetta a noi, educatori e cittadini da prima linea, farci carico di questo.
C’è uno stendardo da tenere issato, al lavoro!

 
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Pubblicato da su 28 novembre 2011 in Diari, Politica

 

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Inchiavabile maschilismo


Culona inchiavabile.

Fosse riferito a una centralinista della Mondadori sarebbe egualmente inaccettabile.
Il problema, questa volta, non è il macchiettistico comportamento in politica estera del Presidente del Consiglio dei Ministri quanto la sua sessistica visione della vita. Una donna, secondo lui, è da valutarsi solo secondo il metro del piacere sessuale. La capacità amatoria e la piacevolezza sessuale sono gli unici parametri validi per emettere un giudizio sulle signore di cui si circonda. da qui l’opinione su Angela Merkel: poco importa se sia una politica abile o scadente, poco importa se guida un governo con efficienza o incapacità, poco importa se si tratta di una presidente onesta o corrotta. Neppure pare aver rilievo la sua posizione in politica estera/europea/internazionale. Ciò che veramente interessa al coordinatore dell’operato governativo in Italia è che ha il culo grosso e, quindi, non può portarsela a letto.

Non fatico ad ammettere che la leader tedesca perda il confronto diretto con Carfagna & Minetti; è un cappotto indiscutibile. Quel che mi lascia perplesso – al di là dell’esternazione, che è privata – del nanerottolo di Arcore, è la mentalità che cela.
Berlusconi incarna quanto di più detestabile possiamo trovare nell’archetipo milanese capitalistico e questo è ben più preoccupante delle sue opinioni da cafone ineducato o bifolco arricchito che di si voglia. Il nostro adorabile Presidente del Consiglio dei Ministri è un soggetto fondamentalmente legato allo stereotipo dell’uomo dominatore che si pone di fronte alla donna oggetto e al servo-oggetto (non dimentichiamo fede, Minzolini, Belpietro & C.: è prostituzione anche quella!). Drive In e le sue TV degli anni ’80 raccontano di lui molto più di quanto vorremmo: il simbolismo dell’estetica fine a se stessa, del divertimento grossolano, volgare, sessuale, è entrato nella nostra cultura e hanno trovato terreno fertile. Coltivare su questo terreno le ambizioni di potere, sfruttando un tessuto nutrito a criteri di imitazione dei comportamenti televisivi è stato, poi, un colpo di genio. Oggi assistiamo solo a quello che mi auguro sia il tramonto del suo regno dorato – per lui – e infernale – per noi.
Resteranno però ruderi ovunque e faticheremo a liberarcene, ammesso che sia possibile riuscirci. La mentalità che ora definisco “berlusconiana” lo supera e lo trapassa, dopo averlo innalzato a esempio eterno del successo dell’italiano furbo. Avremo a che fare con questo approccio alla realtà – donne nude disposte a tutto, servi slinguanti ai piedi del potere, uso personalistico del potere politico, asservimento delle telecomunicazioni, stortura delle istituzioni, menzogna elettorale sistematica e spudorata, politica come guerra contro l’avversario – per lunghi e tristi anni e ne cogliamo già risultati in figure come Renzi che, in tutta onestà, mi lasciano interdetto (in misura minore anche in Vendola, ma vedo in lui una maggior profondità analitica e serietà politica rispetto a molti altri soggetti).

Non voglio allontanarmi troppo, però, dal culona inchiavabile.
Credo però che la generalizzazione sia legittima; la frase riferita alla povera Merkel è senza dubbio sintomatica per quanto riguarda la mentalità della nostra leadership politica. Trovare persone intelligenti che, poi, lo difendono e mettono sull’ironia quel che ironia è, pur gravissima e becera, fa rabbrividire, perché significa che il seme è giunto su un terreno fertile e si riprodurrà.
Diciamolo chiaramente: Berlusconi vede nella donna un mero oggetto di piacere sessuale ed edonistico. Questo, però, non lo mantiene nel suo privato ma ne fa filosofia di vita, ne esterna il simbolismo e fa in modo di indottrinare – si, indottrinare – la popolazione a seguirlo in questo fosco cammino. Altro che selva oscura! (peraltro le preferirà depilate).
Il passaggio, che non dovrebbe lasciarci inerti, è di una gravità estrema perché rivela l’atteggiamento al governo di questo signorotto prossimo agli ottanta che, evidentemente, scaccia i fantasmi dell’età con sane dosi di fanciulle all’apice della bellezza. Le circuisce, le utilizza, le concupisce e le inserisce nei meccanismi di potere dello stato (ammissione sua è che uno dei criteri di valutazioni delle ministro debba essere l’aspetto estetico, comportamento asimmetrico visto che se lo applicasse anche per i ministri quantomeno ci saremmo liberati di Brunetta e La Russa): questo a prescindere dalle loro reali abilità per il ruolo che andranno a ricoprire. Tutto questo, ovviamente, messo in relazione con la palese incapacità del 95% dei ministri – yes, Mary Star, penso proprio a te – lascia quantomeno supporre che la pratica non sia così distante anche dai più alti vertici dello stato.

Perché mai dovrebbe scandalizzarci questo? Già, quantomeno il governo funzionasse e non fosse il peggior governo dai tempi dell’Impero Romano (Caligola?), potremmo chiudere un proverbiale occhio. Potremmo, ovviamente, come no. Dopotutto in politica essere integerrimi è importante quanto essere governati efficaci. Quando poi la perla di saggezza è sintomo di un malessere più profondo che si espande con metastatica proditorietà in tutti i livelli della società civile, lì si, mi preoccupo.
La donna-oggetto è un retaggio culturale che dobbiamo abbandonare, non ribadire. Come dobbiamo combattere la politica-spettacolo americaneggiante e le menzogne spudorate di fronte al pubblico. Non sono particolarmente interessato alla vita privata del nano arcoriano, sinceramente, ma diventa mio dovere contestarla quando privata non è più. Quando il suo agire coinvolge e stravolge l’opera del suo governo; quando le scelte politiche sono basate non sui bisogni della nazione ma sulla preservazione del potere del singolo; quando l’azione di governo è imperniata sul tenerlo fuori dal carcere; quando impone figure palesemente inadatte in cambio di favori (sessuali e non); quando il suo atteggiamento e la sua mentalità sono prese ad esempio; quando lo schifo che trasuda disalberano la nostra malconcia nazione, uccidendone la credibilità internazionale ed economica; quando è disposto a tutto – anche alle più becere scelte razziste – pur di restare sulla poltrona. Quando tutto questo prende forma, quello è il momento in cui alzare la testa e dire “No!”. Abbiamo il dovere di farlo, come cittadini, come italiani, come elettori.
E’ un’opera di Liberazione che deve essere al di là e al di sopra degli schieramenti politici, come avvenen per il fascismo. E’ un’opera di rinnovamento.

Facciamolo, per tutte le culone inchiavabili. Per dimostrare che una donna non è valutata sul metro della sua trombabilità ma sulla sua intelligenza e onestà.

 
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Pubblicato da su 15 settembre 2011 in Politica

 

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Imprecisioni e balzelli: come mentire per attaccare la Chiesa


La moda di questi ultimi giorni è quella di attaccare la Chiesa per le sue ricchezze e pretendere di tassarla per rinfoltire la manovra finanziarialacrime e sangue del Nano e di Tvemonti. L’idea di fondo che viene trasmessa da numerosi blog, giornalisti, post su social network, Tg è che la Chiesa italiana non paghi alcun tipo di tributo/imposta/tassa e, anzi, riceva ingiustamente fondi dallo Stato, drenando risorse che potrebbero essere usate meglio.
Come tutte le mode, si tratta di un sistema di superficiali osservazioni, spesso inesatte e imprecise, non approfondite, possibilmente demagogiche. Insomma, quello che si può sentire/leggere sull’argomento è spesso un cumulo di sciocchezze dovuto alla disinformazione o alla malafede (lascio giudicare a chi legge caso per caso, su questa materia).

Vediamo un po’ di portare un minimo di chiarezza su questa materia; vivendo dentro la Chiesa (in senso letterale ma non fisico) ho modo di vedere con i miei occhi alcune cose che molti “esperti” di questi giorni ignorano o trascurano volontariamente e che, se prese in considerazione, modificano completamente il panorama dipinto circa quest’argomento. Diamo però un’occhiata al cumulo di sciocchezze che si possono trovare in giro; sarà una carrellata veloce ma mi auguro sia incisiva…

– Il Vaticano non paga le tasse e ruba soldi all’Italia con l’8×1000: ok, questa è simpatica. Mi chiedo perché mai il Vaticano dovrebbe pagare le tasse all’Italia e non, per esempio, al Brasile. Città del Vaticano è uno stato sovrano, con relazioni diplomatiche, gestito dalla Santa Sede, non un’organizzazione con sede in Italia. L’Italia, dopotutto, non credo paghi le tasse alla Francia o alla Gran Bretagna (almeno, non mi risulta che versiamo l’ICI su Palazzo Madama a Sarkò!) quindi, davvero, perché il Vaticano dovrebbe darci i suoi soldi?
Questa è un’imprecisione dovuta all’ignoranza – o alla voluta confusione – che si incontra in materia: è facile non distinguere Vaticano e Chiesa quando li si vuole colpire perché cambiare rapidamente soggetto permette di cogliere il peggio da entrambi e di rivoltare la frittata quando opportuno (a chi scrive). Se non è disinformazione questa…

– La Chiesa riceve benefici iniqui sulle esenzioni dell’ICI: studiare storia mi ha insegnato qualcosa: non fare affermazioni importanti senza essere dovutamente documentato. Chi parla di esenzioni della Chiesa e propone di cancellarla pare non adottare la stessa linea.
La legge che istituisce l’ICI – con successive, numerossime, modifiche – specifica chi e cosa non è soggetto al pagamento di quest’imposta. La Chiesa, in questo provvedimento, non è citata. Si dice, però, che sono esenti “fabbricati posseduti da enti non commerciali e destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive” (mi sento in diritto di non tenere conto della manciata di strutture citate dai Patti Lateranensi, visto che in fin dei conti sono strutture che godono dell’extraterritorialità, come le ambasciate).
Appare ovvio che la Chiesa rientri nella categoria di “ente non commerciale”: sfido qualcuno a dimostrare che la Chiesa sia un ente commerciale. In caso ci riesca, vorrei anche i dividendi per la mia chiara adesione all’associazione. Insomma, la Chiesa non paga l’ICI come non la pagano tutte le altre strutture religiose, assistenziali, di volontariato, etc: a me sembra una norma sacrosanta, segno di democrazia e di maturità del paese. Pensate cosa accadrebbe se da domani tutte le ONLUS e tutti gli agenti del c.d. Terzo Settore pagassero l’ICI: entro sei mesi il paese sarebbe in condizioni disastrose… e la coalizione di governo che avesse questa brillante idea sparirebbe dal panorama politico per un paio di secoli (meritatamente, eh!).
Ora è chiaro come funziona l’ICI?

– La Chiesa non paga l’ICI neppure sulle sue attività commerciali: questa è palesemente falsa. La legge – che mi sono andato a leggere – non accenna a nulla del genere. Mi informerò con il mio parroco nei prossimi giorni ma non vedo perché mai dovrebbe accadere ciò; se localmente accade, è perché ci sono irregolarità e illegalità locali, sia da parte dei gestori ecclesiastici, sia da parte delle amministrazioni locali (colluse e in cerca di voti). Diocesi ed enti locali collaborano attivamente per tenere aggiornati i dati riguardo a cosa è commerciale e cosa no… e dove non accade, è giusto colpire con la dura mannaia che si deve usare contro gli evasori e i corrotti. Non credo serva neppure andare oltre, penso siano idee che tutti i cristiani condividono.

– La Chiesa aggira la definizione di “attività commerciale” per non pagare: si narra di fantomatici monasteri divenuti alberghi a cinque stelle ma che, in quanto monasteri, sono esenti da ICI e altri balzelli. Ora, in molti casi si tratta di beni ceduti dalla Chiesa – previo regolare pagamento – a privati: il che vuol dire che non sono più materia della Chiesa. Cosa accada lì è una questione tra proprietario, enti locali e Guardia di Finanza.
In altri casi si tratta di monasteri con annessa foresteria, utilizzata da chi vuole condividere alcuni giorni di vita monastica con le comunità locali (l’ho fatto anch’io più volte). I prezzi sono evidentemente risibili, trattabili (non conosco monasteri che rifiutino i poveri…) e la qualità dell’accoglienza è quantomeno ridotta rispetto al cinque stelle. Spezzo una lancia a favore del cibo e delle bevande: i monaci di solito cucinano davvero bene – molto meglio che in numerosi alberghi stellati – e non si fanno mancare bevande con cui accompagnare il desco! Ma paragonare una cella monastica a una camera con idromassaggio è osare un po’ troppo…
La Palla sarà contenta di sapere che nell’elenco dei monasteri “malvagi” – secondo Curzio Maltese – c’è anche Camaldoli, meta di “turismo intellettuale” di lusso. Da quanto mi ha raccontato lei non mi sembrava che a Camaldoli vivessero nel lusso, ma approfondirò, ok?

– L’8×1000 è condannato anche dall’UE come aiuto illecito: vero è che ci sono state tre procedure d’infrazione al riguardo. Verissimo anche che due sono state chiuse. La terza è stata avviata dopo le prime due chiusure da una socialista spagnola, nota per la sua anticlericalità, quindi affidabile e obbiettiva come un’opinione calcistica di Moratti o un parere legale di Ghedini.
in pratica, l’UE ha indagato sull’argomento e, fino a ora, non ha trovato comportamenti illeciti o ingiusti in materia, da parte dell’Italia: l’8×1000 è equamente diviso in base alla scelta dei cittadini e va bene così.

La Chiesa prende tutti i soldi di chi non sceglie, invece dovrebbero andare allo Stato: qui torniamo all’ignoranza. In primo luogo, non si firma per il proprio 8×1000 ma per quello di tutti: la firma di un operaio vale quanto quella di un avvocato parlamentare e i fondi sono distribuiti proporzionalmente a quante firme ogni indirizzo riceve. Firma circa il 40% dei contribuenti italiani – pochi, si direbbe – ma qui c’è il trucco: non tutti sono tenuti a dichiarare (i redditi bassi, io per esempio, non sono obbligati) e questo abbassa il dato. Se facciamo il conto su quanti firmano tra chi ha diritto, il dato sorpassa in fretta il 60%.
La Chiesa riceve circa il 75% delle “preferenze” e porta a casa proporzionale quantità di denaro: perché i soldi non sono divisi tenendo conto di chi non firma e quelli di troppo non finiscono allo stato? Due i motivi: sarebbe un po’ stupido, un po’ come dire che se alle elezioni l’affluenza è dell’80% si elegge solo l’80% dei parlamentari; lo Stato figura già tra i possibili beneficiari del provvedimento, quindi non può tenersi i soldi anche di chi non sceglie, sarebbe un’infrazione… quella si, punibile dell’UE!

Mi sto dilungando troppo… penso che per oggi mi fermerò qui. Ci sarebbero molti altri passaggi da sottolineare ma penso che questi siano decisamente interessanti e indicativi.
La Chiesa commette errori, questo è certo: non voglio passare il messaggio dell’infallibilità dell’istituzione temporale, ci mancherebbe. Sbaglia e, quando lo fa, deve essere richiamata e legalmente punita come tutti. Ci tengo però a ricordare che parlare a vanvera non porta da nessuna parte e direi che su questo argomento in molti parlano a vanvera. Sull’esenzione dall’ICI e sull’8×1000 c’è un’ignoranza, un pressapochismo e una demagogia che fanno invidia alle manipolazioni mediatiche del Nano governante: l’odio anticlericale è ben radicato, violento e insensato, perché colpisce ingiustamente e senza pensare, come ogni odio. Mi preoccupa davvero, questo, perché fa presagire tempi duri per la nostra fede. A Madrid abbiamo visto ragazzi detestati, odiati, insultati e derisi per il loro essere cristiano: se qualcuno avesse dimostrato allo stesso modo contro un Gay Pride sarebbero iniziate invettive compatte da parte di tutti, ma attaccare la fede è lecito e giusto, secondo alcuni. Questa democrazia asimmetrica e questa libertà iniqua mi preoccupano davvero: ma sopporteremo e lotteremo, certi della nostra fede in Cristo. Spero non da soli: mi auguro che chi si accende per garantire i diritti di manifestazione e di libera espressione ai gay, ai sindacati, ai musulmani si ricordi che anche noi siamo cittadini ed esseri umani con eguali diritti.

E buona domenica a tutti!

 
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Pubblicato da su 21 agosto 2011 in Politica, Sproloqui

 

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Referendum al via!


Oggi ho firmato 2600 schede, tra i quattro referendum su cui domani tutti noi ci esprimeremo. Il mio dovere di scrutatore è così compiuto.
In osservanza del silenzio elettorale, oggi nessun commento sul merito dei referendum: niente dibattiti fra “si” e no”. Potete facilmente immaginare come la pensi ma questo è un altro discorso.
Il post di oggi è un po’ un diario e un po’ un promemoria.

Trovo l’essere membro del seggio un servizio alla nazione; non sono militarista, non sono eccessivamente patriottico, non sono un fedelissimo dell’Italia (sono perlopiù europeista, infatti) ma credo che sia dovere di ogni buon cittadino collaborare attivamente con la società in cui vive, secondo le proprie capacità e facendo del proprio meglio. Per me significa (anche) fare lo scrutatore, quando sono chiamato.
E’ un’esperienza interessante, sia perché mette a contatto con quel mondo burocratico che è la democrazia/repubblica, sia perché rende partecipi dell’evoluzione della nazione.
A me piace e sono contento di rifarlo. Questo è quanto.

Trovo anche che i referendum siano uno straordinario strumento di espressione popolare. Immancabile.
Usiamolo, quindi. Votando si, no o bianca, ma usiamolo. Facciamo sentire la nostra voce, qualsiasi essa sia.
Al riguardo, brevissimo appunto sul voto: i seggi saranno aperti domenica dalle 08.00 alle 22.00 e lunedì dalle 07.00 alle 15.00.

Con questo vi saluto e vi auguro buon weekend; penso che torneremo a sentirci lunedì sera o martedì. Prima ho da fare al mio seggio.
Buon weekend a tutti!

 
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Pubblicato da su 11 giugno 2011 in Diari, Politica, Sproloqui

 

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TV democratica: il canone è mio ma (per fortuna) non decido io.


Santoro non mi è troppo simpatico; lo trovo spesso eccessivo e francamente troppo invadente verso chi non la pensa come lui. Tende troppo spesso a interrompere, più che a condurre.
Resta il fatto – dato di fatto non discutibile – che faccia veramente bene il suo mestiere e che il pubblico lo apprezzi. Gli ascolti sono matematica e, come si sa, è difficile che la matematica menta.
L’ultima puntata di Annozero ha avuto un seguito decisamente importante e ascolti che fanno svanire ogni altro programma d’informazione politica (talk show che dir si voglia): si parla di oltre il 33% di share e di circa 8 milioni di punta massima… numeri che dovrebbero far pensare.
La Rai può davvero liberarsi di Santoro, economicamente parlando, o ha ragione Bersani nel fare il paragone calcistico con la gestione-Garrone della Sampdoria? Credo che al riguardo i numeri dicano tutto.

Eppure i numeri non sono tutto: nel campo dell’informazione – ma non solo – l’etica ha una priorità sul guadagno. Vorrei fosse davvero così e lo fosse per tutti in ogni campo.
Ieri sera Castelli ha detto che Travaglio è di parte e fazioso. Premesso che non trovo Travaglio fazioso bensì di parte, cioè ha una posizione chiara, limpida, mai nascosta e sempre predicata, comunque educata e mai vile o subdola, il che non può che essere bene per uno che fa l’opinionista politico; secondo Castelli questo dovrebbe escluderlo dalla Rai in ragione del canone che tutti i cittadini italiani in possesso di sistemi di ricezione dovrebbero pagare.Infatti, poiché è di parte e quindi non corrisponde ai gusti di tutti gli utenti del servizio, dovrebbe andarsene.
Io spero che Castelli dicesse questa cosa sapendo che si tratta di un ragionamento privo di sensi; forse ripongo troppa fiducia nell’intelligenza di una persona che appartiene a un partito che crede nell’esistenza di nazioni fantasy (Cfr. Padania) ma oggi voglio essere quantomeno buono con lui.
Il (falso) sillogismo di Castelli è il seguente:

1) Travaglio è di parte, ovvero incarna posizioni parziali
2) La Rai è un servizio pubblico, quindi di tutti

–> Travaglio non può far parte di un servizio pubblico perché non può piacere a tutti, in quanto di parte.

Ora, il sillogismo ha una sua coerenza interna anche se manca di eleganza e di efficacia. Possiamo smontarlo per assurdo… o, quantomeno, ridurlo a un sillogismo formalmente corretto ma privo di vera valenza perché porta a conclusioni paradossali o sgradite al suo stesso autore.
Direi che da questo pensiero, infatti, discendono due possibili conclusioni (una delle quali disponibile in due versioni):
a,1) (versione Hard) La Rai, in quanto servizio pubblico, deve offrire solo prodotti che piacciano a tutti: un qualsiasi prodotto che non sia gradito anche a un solo utente deve essere rimosso dalla Rai proprio in virtù della natura pubblica della Rai. Ciao ciao X-factor, ma voglio vederlo un programma che piaccia a tutti e che non trovi un solo detrattore…
a,2) (versione soft) Come sopra, ma limitato alla sola informazione d’opinione, soprattutto politica. Minzolini, Vespa, Ferrara e Sgarbi quand’è che levano le tende dalla TV pubblica?
b) La Rai è un servizio pubblico: non potendo ogni frammento di questo servizio accontentare tutti, è importante che la programmazione sia estremamente varia, per quanto sempre professionale.

Direi che le prime due opzioni ridurrebbero la TV pubblica al nulla o a una noia mortale; insomma, niente che sia anche lontanamente capace di compiere il suo dovere di servizio pubblico.

Io credo che in un servizio pubblico non solo ci sia spazio per voci di parte ma anche che queste voci siano essenziali per la fruibilità di tale servizio. L’Italia non è un paese compatto, ciascuno la pensa a modo suo e questo dovrebbe essere per noi una grande forza; è dal confronto di idee diverse che si origina la crescita. Inoltre proprio ascoltando pareri differenti e contrastanti è possibile originarsi un’idea propria e indipendente, nata dalla critica dei dati e delle idee altrui. Insomma, un bel lavoro di metodo direbbe Bloch (o Popper).
Per questo non vedo che male ci sia nell’avere in Rai Travaglio, Santoro o Vespa: già potrei criticare di più Minzolini, non perché ha idee particolari ma per l’uso criminoso che fa della sua posizione. Un telegiornale dovrebbe fornire notizie: l’esistenza di un referendum, che si sia per il No o per il Si, non è notizia da nascondere per fare un favore al capo. Un conto è la posizione politica, un conto il servilismo, un altro il raggiro all’utenza. Etica professionale credo si chiami.
Torniamo però al tema principale: la Rai è un servizio pubblico e deve dare strumenti equi, quindi plurali. Questo non può portare però a programmi di informazione asettica; in primo luogo perché è impossibile comunicare senza trasmettere qualcosa in più della singola informazione, in secondo luogo perché farlo significherebbe appiattire l’offerta, annullare lo spirito critico.
L’opinione altrui è fondamentale nella formazione dell’opinione propria: fondamentale è non essere proni nella ricezione di tale opinione, anzi, criticarla e ascoltare opinioni diversificate. Ma è compito della Rai lasciare spazio a tutte queste opinioni diversificate. Proprio perché Pubblica.
Proprio perché la pago anch’io, deve esprimere palinsesti tali che tutti possano trovare al loro interno qualcosa che li stimoli, li soddisfi e faccia loro sentire la Rai come qualcosa di nazionale, pubblico.
Santoro fa questo per me; per Castelli, forse, lo fa Vespa. Per qualcun altro lo fa NCIS, X-Factor o Minzolini.
Non vedo il problema. Davvero.

Credo, in effetti, non ci sia alcun problema e sia solo un pretesto da parte del centro destra di liberarsi di personaggi scomodi: Fazio, Travaglio, Santoro, la Dandini, Saviano, la Gabanelli. Gente che fa audience ma anche non prona ai desideri del Leader Maximo di Hardcore, gente che pensa, gente che – destra, sinistra e centro, li si trova tutti – ha diritto e, anzi, dovere di parlare. Ancor più nel servizio pubblico: un privato non è tenuto alla massima pluralità, il servizio pubblico si.
In Italia, tuttavia, sappiamo come va a finire. Biagi, uno dei migliori giornalisti della storia della Rai, è stato accantonato perché non piaceva a Berlusconi. Questo lo ritengo non solo sbagliato ma decisamente vergognoso e disgustoso: provo disgusto per una struttura pubblica che si adegua a provvedimenti del genere, vere e proprie epurazioni politiche. Fortunatamente la presenza di La7 ha cambiato le carte in tavola: Santoro forse non farà 8 milioni di spettatori su La7 ma ne facesse anche solo 5 sarebbe un vero tracollo per la Rai, un aggravarsi di un deficit che tocca tutti noi proprio perché la Rai è di tutti. Non voglio che i miei soldi siano buttati per sostenere programmi che non hanno spettatori, soprattutto se l’azienda (pubblica) sperpera le sue risorse lasciando andare i veri cavalli di razza, coloro che a questo deficit possono porre rimedio. Santoro ieri sera ha detto che i programmi invendibili li paga tutti Annozero: ha ragione. Annozero costa, tutto compreso, molto meno di quanto incassa in pubblicità, per non parlare dell’immagine. Un vero affare per chiunque possa permettersi – o abbia la fortuna – di mandarlo in onda.
Che ci si faccia un pensiero… e che riflettano coloro che chiedono l’epurazione ma sono pronti a trattenere Vespa & Minzolini. O fuori tutti, e TV di stato morta, o dentro tutti, e viva il pluralismo.


A chiudere, vorrei ricordare che il comportamento di Castelli e Brunetta, che praticamente hanno incitato all’evasione fiscale, è qualcosa di assurdo e degno di una repubblica delle banane. Si tratta di un ministro e un vice ministro attualmente in carica; in paesi civili – veramente civili – dichiarazioni del genere comportano dimissioni, denunce e ostracismo. In Italia comportano il plauso del loro leader nonché Presidente del Consiglio. Una farsa di democrazia, una democrazia farsa.
Poi non venite a dirmi che non ve l’avevo detto.

 
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Pubblicato da su 10 giugno 2011 in Politica, Sproloqui

 

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10 giugno 1924: morte di un eroe


Ottantasette anni son passati e siamo ancora qui a ricordare il martirio di un politico che ha donato la sua vita all’Italia, massacrato dalla violenza di un regime che non possiamo e non dobbiamo dimenticare.
Non credo di voler dire molto, al riguardo: in effetti, c’è poco da dire senza ricadere negli schemi già visti, da una parte o dall’altra.
Matteotti è stato un eroe a prescindere dal pensiero politico e a prescindere dalla sua morte: è stato un eroe perché s’è apertamente schierato contro il regime vincitore, quel regime che aveva già dimostrato una spiccata predisposizione per la violenza e per il disprezzo del rivale politico. Quello stesso regime che, giunto al potere con la violenza, con la violenza si era garantito il consenso elettorale.
Oggi ci può ancora dire qualcosa questa parabola: non credo ci troviamo in identiche ambasce per la nostra democrazia ma il pericolo è vivo non tanto per la pericolosità dei politicanti – ce lo vedete Vendola dittatore o lo Psiconano a piazza Venezia? – quanto per il disinteresse e la disaffezione degli italiani.
Il problema politico, nella sua più ampia accezione, tende a scivolarci addosso; il voto è gesto superficiale, mai approfondito, mai critico. Da questo dobbiamo difenderci e questo è il vero pericolo del berlusconismo: l’anestesia delle coscienze, il sonno della mente. Un sonno forse rinfrancante, forse portatore d’oblio: ma al risveglio cosa troveremo della nostra Italia?

Matteotti ci lascia questo messaggio, assieme agli altri Padri della nostra patria: vigilate e lottate, impegnatevi. Che siate di destra o di sinistra, liberali o socialisti, democristiani o grillini: non smettete di criticare, non smettete di indagare, non smettete di capire. Soprattutto, non smettete di pensare. Ne va della vostra libertà!

Alcune sue parole per finire questo post; forse è utile ricordarlo non solo per la sua morte ma per i motivi che spinsero il regime a ucciderlo. Le sue parole era una condanna alla conduzione politica del tragico governo fascista: oggi suonano come un monito che non dobbiamo dimenticare. Mai come oggi, in quest’Italia in cui la democrazia è appesa a un filo, ricordare dove può giungere l’orrore della dittatura è fondamentale e centrale nella lotta costante per il mantenimento della libertà.
Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e libertà, (…) Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano.

 
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Pubblicato da su 10 giugno 2011 in Politica

 

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