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CasaPound mi scrive: la testa e la pancia della politica


casapoundCasaPund Genova mi ha inviato questa mattina un comunicato stampa; succede spesso, quando la propria mail è presente nelle pagine della redazione di un quotidiano web genovese. L’argomento del furente e preoccupato testo dell’associazione di promozione sociale (sic!) è il possibile stanziamento di cinquanta immigrati nel quartiere genovese di Quezzi, “una zona con una già alta percentuale di stranieri”. 

Del comunicato mi hanno stupito due cose: la pacatezza dei toni – la “banalità del male”, se mi si permette il paragone non troppo azzardato – e la totale inconsistenza delle argomentazioni proposte dai simpatizzanti della destra radicale.

Alcuni passaggi logici, più spaventosi che razionali, non riportano alcun dato neutro che possa avvalorarli: “basta vedere come il tasso di criminalità aumenti ovunque aumenti la presenza di immigrati” è una frase di chiaro effetto, facilmente confermabile a pelle e almeno altrettanto difficile da arrestare, perché parla alla pancia e non alla razionalità. Le decisioni, invece, bisognerebbe prenderle con la testa.

I fatti, invece, raccontano spesso realtà diverse rispetto ai cronisti della paura: come non è vero che in Italia si muore spesso di parto – cinquanta casi l’anno sono tragedie enormi su chi le vive, ma sono una casualità per la scienza medica – e come non è vero che esistono evidenze scientifiche sull’autismo legato ai vaccini, così le affermazioni di CasaPound andrebbero avvallate da qualche dato o riferimento neutrale. Anche in un comunicato stampa (qualcuno l’ho scritto anch’io).

La forza dei populismi è proprio questa: parlano per schemi e “chiare evidenze”, cavalcando le opinioni intuitive e le apparenze, puntando sul generale disinteresse umano verso l’approfondimento. La paura del diverso è un meccanismo antropologico noto, ma non ha ragione di governo nella società moderna; possiamo iniziare a usare la ragione prima dell’istinto e agire secondo criteri un po’ diversi, come quello dell’accoglienza.

Però, di fronte a persone che agiscono per “ribadire che la priorità, in Italia, devono essere gli Italiani”, ogni razionalità è disarmata: come si può discutere con persone che categorizzano gli esseri umani in base a foglietti di carta arbitrari quali sono le cittadinanze, dimenticandosi così che tutti siamo esseri umani e tutti abbiamo uguale diritto di esistenza e felicità su questo pianeta e nel mondo?

Sono italiano, ma la priorità sono le persone che soffrono: credo che solo pensando così si possa uscire dai molti problemi che ci affliggono. Non è la nazionalità a smuovermi, ma il dolore umano e quello esiste al di là di ogni differenza che possiamo percepire noi. Nel dolore e nella disperazione siamo tutti uguali, così come dovremmo esserlo davanti alla legge: ben venga punire, secondo giustizia, i cittadini stranieri che delinquono, ma la medesima pena e il medesimo sdegno esistono anche per gli italiani. Essere forestieri non deve più essere cagione di colpa alcuna.

 
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Pubblicato da su 13 gennaio 2016 in Politica

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Arte della distrazione


Mentre noi perdiamo tempo a discutere di calciatori-scommettitori, marce e terremoti, loro – quel parlamentino di eletti/nominati che non vuole mollare la presa – cambiano la nostra Costituzione.
Il testo è stato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato e andrà in aula, per la prima lettura, al più presto; nelle intenzioni di ABC c’è proprio l’approvazione entro l’estate, per passare entro fine legislatura alla seconda lettura, possibilmente con oltre i due terzi della maggioranza necessaria per evitare un referendum popolare che li stenderebbe.
Serve, quindi, una mobilitazione di massa per impedire che un gruppo di criminali e incompetenti distrugga il frutto della Resistenza, della Liberazione e della Costituente.

Il testo prevede, insieme a qualche accettabile novità, un numero di porcate indefinibili: vi posto un brevissimo riassunto rinvenuto qua e là in rete.

– ART.56: i deputati sono ridotti da 630 a 508 dei quali otto sono eletti all’estero. Ora gli eletti all’ estero sono 12. L’età per essere eletti alla Camera scende da 25 a 21 anni.

– ART.57: i senatori elettivi sono ridotti da 315 a 254, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

– ART.58: sono eleggibili al Senato gli elettori che abbiano 35 anni. Ora bisogna aver compiuto 40 anni.

– ART. 64: arriva lo “Statuto dell’opposizione”. I regolamenti parlamentari “garantiscono i poteri di Governo e maggioranza nonchè i diritti di opposizioni e minoranze”.

– ART. 69: deputati e senatori “hanno il dovere di partecipare ai lavori dell’Assemblea e delle Commissioni”.

– ART.70: si elimina l’avverbio “collettivamente” quando si afferma che “la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere”. Da notare che seppure una formalità, questo potrebbe essere il primo passo necessario per superare il bicameralismo perfetto.

– ART.72: cambia il bicameralismo: 1) i ddl riguardanti la legislazione concorrente tra Stato e Regioni e le materie di cui all’art. 119 della Carta sono assegnati al Senato, gli altri alla Camera. 2) Per il varo di una legge basta il via libera della sola Camera cui è assegnata, ma l’altro ramo del Parlamento entro 15 giorni può “richiamare” un testo per modificarlo (ha 30 giorni di tempo per farlo). Il testo modificato diventa legge se la Camera che l’ha deliberato per prima, con un “silenzio assenso”, non decide a sua volta di “richiamarlo”. 3) rimane il bicameralismo perfetto in materie come quella costituzionale ed elettorale, di bilanci e consuntivi e quando sia prevista una maggioranza speciale di approvazione. 4) Presso il Senato è istituita la commissione paritetica per le questioni regionali. 5) Il governo può chiedere una corsia preferenziale per un provvedimento che deve esser votato entro un termine determinato e se si sfora, il testo va approvato senza emendamenti.

– ART.73: si modifica la promulgazione d’urgenza con il nuovo bicameralismo. Una legge può esser promulgata nei tempi stabiliti dal Parlamento.

– ART.74: (modifica formale) ridefinisce i poteri di promulgazione del capo dello Stato con il nuovo bicameralismo.

– ART.92: il presidente del Consiglio ha il potere di proporre la revoca dei ministri. Ora può proporne solo la nomina al Capo dello Stato.

– ART. 94: è il presidente del Consiglio, e non il governo, che deve avere la fiducia delle due Camere. Prevista la mozione di sfiducia costruttiva: deve contenere la indicazione del nuovo Presidente del Consiglio e va approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due Camere. Se la fiducia viene negata, il presidente del Consiglio incaricato può chiedere lo scioglimento delle Camere o di una sola di esse a meno che il Parlamento in seduta comune, entro venti giorni dalla richiesta di scioglimento, indichi a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri.

– ART. 126: si tratta di una modifica formale sui poteri di scioglimento del capo dello Stato degli enti locali che prevede la consultazione della commissione sulle Regioni.

La rottura dell’equilibrio istituzionale penso sia ovvio; anziché andare verso l’unica direzione saggia – un indebolimento delle deleghe legislative a carico del governo, semplificando l’iter legislativo delle Camere e dando loro effettivo potere – il provvedimento distruggerebbe gli assetti attuali mettendo nelle mani del Presidente del Consiglio non solo la possibilità di revocare i ministri (rimuovendo, nel contempo, il legame di fiducia tra il governo e il parlamento, mantenendolo solo per la presidenza stessa) ma anche quella di richiedere lo scioglimento delle camere in caso non trovino un suo sostituto. Una buffonata degna del peggior Berlusconi, insomma, che raccoglie il peggio di ciascun sistema istituzionale presente sul globo.
Degno del nostro parlamento.

L’idea veramente geniale è l’approvazione da parte di un parlamento delegittimato – chi ancora vuole questa gente al potere? – con una maggioranza costruita ad arte e in grado solo di preservare i suoi stessi interessi.
Se ci si lamenta – a ragione – dell’antipolitica di Grillo, questo è ancora peggio. Urge, allora, che gli italiani si facciano sentire: se sappiamo scendere in piazza per uno scudetto o per festeggiare una vittoria della nazionale, dobbiamo saperlo fare anche in queste occasioni.
Non lasciamo passare sotto silenzio, come loro vorrebbero, questo stupro della Costituzione: non facciamoci distrarre e depistare da piccole boutade, dalla “sospensione del calcio” al “battere euro” che ci stanno proponendo in questi giorni.
La sovranità, dopotutto, appartiene al popolo, non certo a questi truffatori: mai come oggi serve che il peso popolare si faccia sentire, non solo in vista di una seconda lettura ma ben prima, in modo che ci sia tutto il tempo per attivare quelle azioni fondamentali per arginare una crisi democratica senza precedenti nella storia repubblicana.

L’ultima imponente modifica alla struttura dei poteri ha portato al fascismo: povertà, dittatura, assenza di diritti, guerra, leggi razziali. Questi i frutti che dovremmo ricordare.
Allora, per una buona volta, impugniamo i nostri diritti e la nostra volontà e facciamoci sentire. E diamine!

 
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Pubblicato da su 3 giugno 2012 in Politica

 

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Le scuse a Popper


Devo porgere le mie scuse a Karl Popper per il tentativo di criticare una posizione non sua.

Approfondendo i suoi scritti – sto letteralmente divorando i suoi testi – per la tesi, ho compreso meglio la sua critica al marxismo (che condivido) e, soprattutto, la sua forte sponsorizzazione al liberismo.
Pensavo si trattasse di un liberista tipico, fautore della libera iniziativa come unica norma che regolasse il mondo economico e no, unica via per garantire a tutti un giusto trattamento. Pensavo avrebbe difeso le politiche liberiste che detesto: limitazione della spesa pubblica, pieno appoggio agli imprenditori, lavoro e successo.
Mi sbagliavo.
Sbagliavo non di poco ed è giusto che io apra questo post chiedendo scusa a Popper per la considerazione pessima che avevo della sua posizione liberista – considerazione che non ha mai influenzato, ovviamente, il mio altissimo apprezzamento della sua epistemologia e della sua critica spietata e giustissima al marxismo.

Popper critica – smonta sarebbe un termine più corretto ma ammetto che sia filosoficamente meno idoneo – Marx e ancor più il marxismo; non ha parole tenere per chi ha abbracciato questa teoria socio-economica con il medesimo ardore di una fede religiosa perché, a ben vedere, presentano la stessa cecità e irrazionalità. Aggiungo io che, se da una parte l’irrazionalità è parte della fede, dall’altra non deve trovare spazio in teorie di questo tipo, quando poi si presentano come scientifiche.
Il marxismo ne esce, così, malamente destituito del suo trono di scientificità e Popper propone una non-utopica politica liberista. Non il liberismo, però, che mi ero fin qui atteso da lui e che precedentemente avevo criticato. Il liberismo di Popper è, a ben vedere, un interventismo; abbiamo a che fare, a grandi linee, con un’idea di società in cui sono tutelate la libertà d’iniziativa, la proprietà privata e in cui lo Stato interviene per impedire lo sfruttamento. Interventismo limitato, certo, ma fondamentale: in linea con la descrizione di democrazia di Popper, l’intervento dello Stato è garante delle libertà democraticamente accertate. Un pericolo, questo intervento, come ogni intervento statale, ma un pericolo da correre per difendere libertà ben maggiori. Il gioco consiste, in fin dei conti, nel trovare il giusto equilibrio.

Nella mia tesi questo troverà ampio spazio; ne troverà molto meno un’appassionante discussione circa il debito che il cristianesimo ha contratto con il marxismo. Suona strano, suona provocatorio (un po’ lo è) ma io, da anti-comunista, ravviso questo debito nell’opera pastorale della Chiesa contemporanea. Staremo a vedere…

 
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Pubblicato da su 9 luglio 2011 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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10 giugno 1924: morte di un eroe


Ottantasette anni son passati e siamo ancora qui a ricordare il martirio di un politico che ha donato la sua vita all’Italia, massacrato dalla violenza di un regime che non possiamo e non dobbiamo dimenticare.
Non credo di voler dire molto, al riguardo: in effetti, c’è poco da dire senza ricadere negli schemi già visti, da una parte o dall’altra.
Matteotti è stato un eroe a prescindere dal pensiero politico e a prescindere dalla sua morte: è stato un eroe perché s’è apertamente schierato contro il regime vincitore, quel regime che aveva già dimostrato una spiccata predisposizione per la violenza e per il disprezzo del rivale politico. Quello stesso regime che, giunto al potere con la violenza, con la violenza si era garantito il consenso elettorale.
Oggi ci può ancora dire qualcosa questa parabola: non credo ci troviamo in identiche ambasce per la nostra democrazia ma il pericolo è vivo non tanto per la pericolosità dei politicanti – ce lo vedete Vendola dittatore o lo Psiconano a piazza Venezia? – quanto per il disinteresse e la disaffezione degli italiani.
Il problema politico, nella sua più ampia accezione, tende a scivolarci addosso; il voto è gesto superficiale, mai approfondito, mai critico. Da questo dobbiamo difenderci e questo è il vero pericolo del berlusconismo: l’anestesia delle coscienze, il sonno della mente. Un sonno forse rinfrancante, forse portatore d’oblio: ma al risveglio cosa troveremo della nostra Italia?

Matteotti ci lascia questo messaggio, assieme agli altri Padri della nostra patria: vigilate e lottate, impegnatevi. Che siate di destra o di sinistra, liberali o socialisti, democristiani o grillini: non smettete di criticare, non smettete di indagare, non smettete di capire. Soprattutto, non smettete di pensare. Ne va della vostra libertà!

Alcune sue parole per finire questo post; forse è utile ricordarlo non solo per la sua morte ma per i motivi che spinsero il regime a ucciderlo. Le sue parole era una condanna alla conduzione politica del tragico governo fascista: oggi suonano come un monito che non dobbiamo dimenticare. Mai come oggi, in quest’Italia in cui la democrazia è appesa a un filo, ricordare dove può giungere l’orrore della dittatura è fondamentale e centrale nella lotta costante per il mantenimento della libertà.
Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e libertà, (…) Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano.

 
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Pubblicato da su 10 giugno 2011 in Politica

 

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Vittime si, ma solo di parte


Da queste parti è emerso un ampio e sterile dibattito circa le vittime della Guerra di Liberazione e dell’immediato dopoguerra, scatenato da un’iniziativa revisionista (per davvero revisionista) della Consulta Provinciale che, per un concorso a tema storico, ha inserito tra i possibili argomento quello dell’omicidio di una ragazzina savonese da parte dei “partigiani” locali. Le fonti indicate nel bando per approfondire l’argomento sono neutrali e valide quanto un parere del Nano sul giornalismo di Santoro.

Discutendone un po’ in giro, ho constato che manca completamente l’interesse verso le persone che in quei tempi veramente tristi e difficili hanno perso la vita. A nessuno di coloro che affrontano la situazione in pubblico pare interessare veramente la tragedia di una vita spezzata: tutti sono intenzionati a veicolare un messaggio politico, a trarre vantaggio per il loro partito/fazione, a ribadire la violenza della parte “avversa”. Come se la guerra, la Liberazione, il dopoguerra fossero questioni ancora d’oggi e non un passato da studiare, tenere a memoria, non dimenticare e… mai imitare!
Ci si ritrova così ad assistere a buffe manifestazioni di parte: le vittime sono elencate sempre per appartenenza: trovare un elenco degli eccidi e della violenza di quegli anni è pressoché impossibile perché nessuno si preoccupa di presentare tutte le vittime sullo stesso piano. E’ possibile leggere completi elenchi delle barbarie naziste o accorati memoriali delle stragi partigiane, ovviamente, ma nessuno tratta organicamente la violenza locale nel suo complesso e, soprattutto, pochissimi lo fanno con ottica di analisi storica. Le fonti citate – in realtà citate quasi mai! – sono di parte, inaffidabili o inconsistenti; nonostante accorate dichiarazioni di neutralità, colui o colei che scrive appare palesemente di parte, interessato a commemorare solo una parte dei defunti e, soprattutto, chiaramente mosso dall’intenzione di strumentalizzare tale violenza a scopi politici.
Insomma, ho letto cose incredibili. Dai leghisti che si rifanno ai valori cristiani nel ricordare le vittime (o sei leghista, o sei cristiano: delle due, l’una) allo “storico partigiano” che giustifica ogni singolo omicidio “rosso” (il suono delle unghie sul vetro era insopportabile), la collezione è abbastanza completa da poterne fare trattati socio-politici. In realtà, non avessi già depositato il titolo della tesi, farei un pensiero sull’argomento del metodo della ricerca storica post-bellica. Me lo terrò per le prossime occasioni.

La trattazione storica dei fatti, peraltro, lascia abbastanza a desiderare. Ad esempio, nel ricordare Giuseppina Ghersi – che subì un trattamento veramente condannabile – ci si dimentica sistematicamente di ricordare che era una delatrice e che fece uccidere 13 partigiani con le sue soffiate. Dei partigiani si dimentica spesso la brutalità verso la popolazione, soprattutto quando non li sosteneva ed era quindi considerata a prescindere fascista e si tende a rimuovere il buon numero di imbucati che, subito dopo il 25 aprile, senza aver mai partecipato a nessuna operazione partigiana, si fregiarono del titolo solo per condurre vendette personali, o economiche, verso nemici mirati.
Ancor peggio, nessuno si occupa di presentare tali vittime nella complessità dei fatti della guerra e, ancor più, del dopoguerra. Se da una parte si trovava appoggio al regime, indifferenza, paura dei “rossi” (come se i partigiani fossero stati tutti comunisti bolscevichi…), dall’altra c’era una lotta per l’affermazione della libertà e della democrazia, soprattutto l’intenzione di ribellarsi a un regime che da vent’anni schiacciava l’Italia nella povertà e nella violenza, fisica e psicologica. E nessuno ricorda – argomento di attualità – che le bande partigiane (quelle vere, intendo) erano belligeranti riconosciuti e regolari, i repubblichini di Salò no, perché i primi rappresentavano, attraverso le connessioni CLN-Governo, l’Italia, i secondi una repubblica irregolare sotto controllo straniero e, secondo il diritto internazionale, inesistente.
Questo non ne giustifica le successive vendette, umanamente, ma dare un contesto storico permette di capire molto meglio la situazione. E uno storico, soprattutto, evita di fornire giudizi morali.

Al di là dello storico, le vittime sono perlopiù tutte uguali; certo, alcuni “partigiani” erano persone spregevoli che approfittarono della posizione di vincitori, nel mio quartiere – pur rosso – questa memoria è rimasta. D’altra parte, molti gerarchi anche di piccola lega s’erano arricchiti durante il regime calpestando famiglie altrui – ricordate l’olio di ricino – e, pur non accettando personalmente l’uso della violenza, si son ritrovati nel dopoguerra a raccogliere quel che avevano seminato. L’errore sta nel riportare ad oggi tale dibattito: nella nostra dimensione temporale non ha alcun significato perché, reduci a parte, non abbiamo vissuto quel tratto storico e manchiamo quindi degli strumenti oggettivi per comprendere i meccanismi psicologici e sociali che condussero a certi comportamenti.
Credo che sia fondamentale mantenere vivo il ricordo della Resistenza come ampio movimento – trasversale a quelli che saranno poi i partiti democratici della Costituente e della Repubblica – che affiancò le operazioni militari alleate di riconquista dell’Italia: per noi fu veramente una liberazione da una dittatura folle e inumana.
D’altra parte, questo non deve coprire le ingiustizie e i soprusi dei vincitori sui vinti; anzi, ancor di più vanno condannate perché, se si fosse superata una certa soglia, avrebbero potuto giungere anche a far concludere che i “liberatori” non sono stati migliori deifascisti, esattamente come accadde nel regime iugoslavo di Tito. Se ti proponi come fautore di una politica autoritaria, ci si aspetta un comportamento violento e disumano: se ti presenti come difensore della libertà e restauratore della democrazia, non si ammettono deroghe.

Infine, le vittime, che meriterebbero il primo posto, al di là del loro colore. Certo, c’era una guerra: si soffre per ogni vita spezzata ma, da storico, è necessario ammettere che c’era un tasso fisiologico di decessi. Da essere umano, inoltre, mi trovo seriamente in difficoltà a compiangere – al di là della pietà cristiana dovuta a tutti, anche a Stalin o Hitler – persone che collaborarono con il regime fascista, arrivando anche a denunciare persone care e vicine, persone che usarono il regime o le brigate partigiane come strumento di potere personale e di sopruso sui loro rivali personali. I secondi li trovo meno giustificati dei primi, a dirla tutta, anche se comprendo l’odio contenuto per vent’anni ed esploso dopo il successo democratico.
Resta una pletora di persone uccise e prive di colore, che giacciono sullo sfondo e che sono ricordate solo come strumento politico. Loro le vere vittime degli eccessi, da una parte e dall’altra. Loro, veramente, andrebbero ricordati al di sopra delle atrocità: certo, alcuni furono briganti e altri tristi collaborazionisti, ma rappresentano quella comune e varia umanità di cui tutti facciamo parte e che ci ricorda che, forse, in quel momento, anche noi avremmo dovuto schierarci, decidere da che parte stare, pur rimanendo perlopiù in una situazione di normalità. Non mi piace, in definitiva, la loro commemorazione strumentale o la commemorazione “parziale”: o meglio, non la trovo sempre e comunque corretta nei loro confronti. C’è modo e modo di discutere di certi temi…
La memoria dei defunti, per essere sincera, non deve avere partigianerie di sorta. Continuare a sentir parlare di vittime “fasciste” o “partigiane” ne svilisce il ricordo e il sacrificio. Un conto è trattare storicamente, scientificamente, le stragi e gli eccidi – e lì la suddivisione ha forza di definizione storica – un conto è voler ricordare delle vite spezzate. Queste vite, parte della storia, non hanno granché colore politico, se non quello del sangue.

 
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Pubblicato da su 2 giugno 2011 in Politica, Teoria

 

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