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CasaPound mi scrive: la testa e la pancia della politica


casapoundCasaPund Genova mi ha inviato questa mattina un comunicato stampa; succede spesso, quando la propria mail è presente nelle pagine della redazione di un quotidiano web genovese. L’argomento del furente e preoccupato testo dell’associazione di promozione sociale (sic!) è il possibile stanziamento di cinquanta immigrati nel quartiere genovese di Quezzi, “una zona con una già alta percentuale di stranieri”. 

Del comunicato mi hanno stupito due cose: la pacatezza dei toni – la “banalità del male”, se mi si permette il paragone non troppo azzardato – e la totale inconsistenza delle argomentazioni proposte dai simpatizzanti della destra radicale.

Alcuni passaggi logici, più spaventosi che razionali, non riportano alcun dato neutro che possa avvalorarli: “basta vedere come il tasso di criminalità aumenti ovunque aumenti la presenza di immigrati” è una frase di chiaro effetto, facilmente confermabile a pelle e almeno altrettanto difficile da arrestare, perché parla alla pancia e non alla razionalità. Le decisioni, invece, bisognerebbe prenderle con la testa.

I fatti, invece, raccontano spesso realtà diverse rispetto ai cronisti della paura: come non è vero che in Italia si muore spesso di parto – cinquanta casi l’anno sono tragedie enormi su chi le vive, ma sono una casualità per la scienza medica – e come non è vero che esistono evidenze scientifiche sull’autismo legato ai vaccini, così le affermazioni di CasaPound andrebbero avvallate da qualche dato o riferimento neutrale. Anche in un comunicato stampa (qualcuno l’ho scritto anch’io).

La forza dei populismi è proprio questa: parlano per schemi e “chiare evidenze”, cavalcando le opinioni intuitive e le apparenze, puntando sul generale disinteresse umano verso l’approfondimento. La paura del diverso è un meccanismo antropologico noto, ma non ha ragione di governo nella società moderna; possiamo iniziare a usare la ragione prima dell’istinto e agire secondo criteri un po’ diversi, come quello dell’accoglienza.

Però, di fronte a persone che agiscono per “ribadire che la priorità, in Italia, devono essere gli Italiani”, ogni razionalità è disarmata: come si può discutere con persone che categorizzano gli esseri umani in base a foglietti di carta arbitrari quali sono le cittadinanze, dimenticandosi così che tutti siamo esseri umani e tutti abbiamo uguale diritto di esistenza e felicità su questo pianeta e nel mondo?

Sono italiano, ma la priorità sono le persone che soffrono: credo che solo pensando così si possa uscire dai molti problemi che ci affliggono. Non è la nazionalità a smuovermi, ma il dolore umano e quello esiste al di là di ogni differenza che possiamo percepire noi. Nel dolore e nella disperazione siamo tutti uguali, così come dovremmo esserlo davanti alla legge: ben venga punire, secondo giustizia, i cittadini stranieri che delinquono, ma la medesima pena e il medesimo sdegno esistono anche per gli italiani. Essere forestieri non deve più essere cagione di colpa alcuna.

 
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Pubblicato da su 13 gennaio 2016 in Politica

 

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La sinistra al bivio: il domani non può essere ieri


Questo è un pensiero nato su Facebook, come un posto in risposta a una discussione.
Lo condivido sul blog, perché credo dica tutto riguardo ciò che penso del futuro della sinistra e del paese. In poche righe.

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Renzi non porta alcuna novità. Anzi, peggio: la sue posizioni sono una riedizione postuma delle idee della Tathcher e di Reagan che, con il senno di poi, possiamo dire erano pessime e ci hanno condotto all’attuale crisi economica. Come disse “qualcuno”: “Renzi è giovane e simpatico ma ha idee vecchie e antipatiche“.
Basta con il liberismo, basta davvero. Servono riforme serie del welfare e degli amortizzatori sociali, e che non siano privatistiche, perché la salute è un diritto e non può essere nelle mani delle logiche di mercato. Serve un profondo ripensamento della scuola e della cultura nel paese, perché altrimenti si rimane nel baratro del berlusconismo e del grillismo (a partire dall’eliminazione dei finanziamenti alla scuola privata che sono incostituzionali!). Serve un rilancio della politica industriale ed energetica, guardando al futuro, guardando agli operai e ai loro diritti, compreso il lavoro: perché il lavoro è un diritto, non qualcosa che devi sognare la notte o per il quale devi prostituirti! In generale serve che guardiamo al futuro, non a una società capitalista ormai collassata: perché quello che propone Renzi è la visione montiana del futuro. Fatto di rigore, fatto di conti che devono tornare e fatto di numerose altre assurdità che con lo stato sociale, con la solidarietà, con l’uguaglianza di fatto delle persone non hanno nulla a che vedere.
Se la “sinistra” che si ha in mente per il futuro è una sinistra che privatizza la sanità, una sinistra che apre ai prestiti studenteschi per gli studi, una sinistra che vuole continuare a finanziare la scuola privata, una sinistra che lascia nella bratta gli operai distruggendo i loro diritti – quei diritti che ha scritto la DC, mica il PCI! Diamine, ci fosse oggi Moro prenderebbe a testate sia Renzi che Bersani, ma soprattutto Renzi! – e una sinistra che non intende far uscire il paese dal populismo postberlusconiano in cui siamo caduti, io di questa sinistra non voglio far parte. Mi fa schifo quanto il Pdl ed è antitetica a tutto ciò in cui credo: umanamente, politicamente, religiosamente, scoutisticamente!

 
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Pubblicato da su 28 febbraio 2013 in Politica, Teoria

 

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Persone, mercato, prodotto: il valore della persona


Negli ultimi giorni a colpirmi sono state in particolare due notizie: il crollo degli iscritti all’Università e il relativo commento di Prefumo e la decisione della Fiat di lasciare a casa, con stipendio, i 19 lavoratori di Pomigliano reintegrati dopo sentenza del Tar. Sono notizie apparentemente distanti e sconnesse ma credo forniscano stimoli per una chiave di lettura univoca della realtà in cui ci troviamo a vivere.

La connessione tra i due accadimenti è presto spiegata: entrambi denotano lo scarso valore assegnato alla persona, alla sua dignità e alle sue ambizioni.
Sminuire il calo di iscritti universitari parlando di ottimizzazione del rendimento significa anche negare che l’istruzione è un diritto: significa, a ben vedere, pensare che l’istruzione – a qualsiasi livello – sia solo uno strumento di formazione per produttori/consumatori. La scuola serve solo a insegnare. Eppure a me hanno insegnato che imparando la chimica apprendi anche a relazionarti con altre persone e che lo scopo dell’istruzione non è tanto la competenza acquisita – importante, certo, ma non marcatamente prioritaria – ma conferire alle persone gli strumenti con cui realizzare il loro desiderio di felicità. Le parole di Profumo – e il generico atteggiamento verso l’argomento – denotano questa attenzione alla persona in formazione – bambino, ragazzina, giovane che sia – rivolta solo all’acquisizione delle competenze. Nulla riguardo la realizzazione dei propri sogni, fosse anche una laurea inutile. Ridurre l’istruzione a solo trapasso nozioni comporta anche ridurre la persona a “cosa”: eh si, perché se i miei sogni non contano, se le mie relazioni sociali sono solo un contorno alla mia produttività, se le mie aspirazioni devono essere sedate di fronte alla necessità della produsione, persona non sono più.
E non sono più una persona neppure se il mio lavoro è scambiabile con il denaro: ne avevo già parlato in occasione dell’insensata modifica all’articolo 18 del c.d. “Statuto dei lavoratori” ma temo che il messaggio non sia stato abbastanza chiaro. La posizione della società guidata da Marchionne continua a cercare di far passare il seguente messaggio: lavorate solo per la retribuzione. Ora, nessuno ritiene che lavorare gratis vada bene o che qualcuno schifi il denaro. Tuttavia ridurre il lavoro a un mero scambio di merce significa svilire il fondamento stesso della democrazia italiana. La Costituzione – povera donna, con gli stupri montiani – si fonda proprio sul lavoro: non sul denaro, non sulla retribuzione, non sulla produzione. Sul lavoro.

Entrambe le notizie sembra individuare un nuovo passo nello svilimento umano. Soggetto del marketing a scopo di acquisto compulsivo, oggetto della produzione di ciò che viene venduto, l’essere umano sembra possedere un valore in quanto tale. Nulla valgono le sue aspettative, i suoi sogni, i desideri, i sentimenti e la dignitià. Ciò che ci rende umani è, per Marchionne, la Fornero, Profumo e molti altri, solo un orpello. Magari da eliminare, in modo che si lavori meglio, si vada in pensione dopo e, possibilmente, lo si faccia senza protestare troppo.

Mi domando se affrontiamo una problematica italiana, isolata al nostro “stivale”, o se si tratta di una deformazione globale. Il valore di un essere umano è diventato infinitesimo: abbiao a che fare con il prodotto ultimo del berlusconismo o stiamo fronteggiando una più generica crisi valoriale del mondo occidentale? Ciò che ha valore è ciò che questo essere umano produce e consuma. Sarà anche così da un pezzo ma forse ora abbiamo le energie per cambiare: se non le abbiamo, dobbiamo trovarle.

 
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Pubblicato da su 5 febbraio 2013 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Estremista di cuore


Credo che serva una società basata sull’equità, sull’uguaglianza sostanziale di tutte le donne e tutti gli uomini, a prescindere dal genere, dal reddito, dal mestiere, dalla cultura, dalla provenienza geografica, dalla nazionalità, dalla fede religiosa, dall’orientamento sessuale e da tutto quanto distingue ogni individuo, lo imprezziosisce e lo rende unico.
Credo che serva una società dove la ricchezza sia distribuita con maggior uniformità e dove questa ricchezza non determini totalmente il destino delle persone.
Credo serva una società dove il lavoro sia quel diritto che, assieme agli strumenti di sopravvivenza, fornisca dignità alle persone e dove nessuno sia costretto a rinunciare a questa dignitià umana per poter ottenere un lavoro.
Credo serva una società dove l’istruzione e la sanità siano servizi pubblici eccellenti, perché chi non sa costruire il futuro nei giovani e accudire i propri malati è destinato a intristirsi, impoverirsi nell’animo e, infine, estinguersi.
Credo serva una società dove i valori della Costituzione non siano carta ma realtà, e dove la Costituzione non metta il denaro davanti alla vita delle persone. Una società, in breve, dove siano le persone il centro dell’azione e non il denaro, la finanza, la moneta.
Credo serva una società dove la pensione non sia un privilegio per pochi ma un riconoscimento al contributo fornito al bene comune dai lavoratori.
Credo serva una società accogliente e inclusiva, che non espella ai margini i più sfortunati e non scacci coloro che viaggiano fino a noi per chiedere un posto migliore dove proseguire la loro vita.
Credo serva una società in cui ciascuno collabori al bene comune, a modo proprio e con le proprie capacità, e dove questo non generi una “classifica” ma dove ogni singolo contributo sia accolto con uguale apprezzamento, perché quello è il meglio che ciascuno di noi può dare agli altri.

Se questo vuol dire essere estremisti, senatore Monti, allora si: sono estremista. E farò un vanto dell’appartenenza a quelle “ali estreme” che lei vorrebbe tagliare, perché per me significa stare dalla parte dei più deboli, degli indifesi e di chi veramente lotta quotidianamente per conquistarsi ancora un giorno tra noi.

 
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Pubblicato da su 8 gennaio 2013 in Diari, Politica

 

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Dal Concilio alla Chiesa


Una mattina il cardinale Ottaviani si svegliò tardi. Chiamò un taxi: “Portami in fretta al Concilio”. Salito in auto, si riaddormentò.Quando finalmente si destò scoprì con suo grande stupore di trovarsi in aperta campagna. “Ma dove mi porti?”. Il taxista: “Al Concilio di Trento. Dove se no?”

Incontrare monsignor Bettazzi, un frammento della storia conciliare, possiede un fascino difficile da descrivere. E poi le occasioni di sentir parlare padri conciliari si fa sempre più rara, ancor meno se vogliamo voci che di quel Concilio hanno abbracciato appieno la portata innovatrice.
La rivoluzione copernicana della Gaudium et spesnon l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità – e quella della Lumen gentiumnon i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli – stentano ad affermarsi. L’ha detto chiaramente Bettazzi, raccontando ai savonesi il suo pensiero sul Concilio. E possiamo riassumerlo così: alcuni si sono ancorati alla Tradizione, dimenticando però che la Tradizione non è non cambiare nulla del passato

La Gaudium et spes, che evoca le possibilità e le speranze per il futuro, invita tutti i cristiani a essere cittadini migliori. Chi si fa corrompere o chi corrompe è lontano dall’essere cristiano quanto chi abortisce: questo perché l’elemento centrale, l’attuazione del comandamento di amore fraterno, del cristianesimo è la solidarietà. Solidarietà verso il debole, quindi verso la vita che nasce; solidarietà verso il prossimo, quindi verso l’intera società. Verso gli altri.

Dobbiamo recuperare molto dello spirito del Concilio, facendoci guidare dallo Spirito. La “pastoralità” non è autorizzazione a non concordare: scopo del Concilio è spiegare come la dogmatica deve essere applicata nella vita quotidiana della Chiesa e del cristiano. In quest’ottica, il Concilio non può essere un “forse” ma deve avere tutta la forza del vincolo di adesione – pur critica – alla Chiesa.
Male che l’opera del Concilio sia stata rallentata e, in certi casi, fermata. Male che molte intuizioni – come il Patto delle Catacombe – siano rimaste parole o carta. Oggi la Chiesa è chiamata a testimoniare con l’azione, non a predicare con le parole. Necessitiamo più che mai di una Chiesa povera, umile, imitazione di Cristo. Che era Re, certo – non possiamo dimenticarlo oggi – ma era una Re che si è svelato nel momento di salire sulla croce, quando s’è fatto servo dell’umanità intera. Non certo un Re di ori, diamanti e conti svizzeri; non un Re di nobiltà di sangue e di porporati. Un Re nato da falegnami, circondato da pastori, predicatore fra pescatori.
Quella è la dignità della Chiesa che le parole di monsignr Bettazzi hanno richiamato nella mia mente e nel mio cuore.

La chiamata che da questo Concilio arriva direttamente a noi laici segue questo filone di pensieri. Dobbiamo essere noi a prendere impegno in prima persone all’interno della Chiesa.
Credo che la Sacrosanctum concilium indichi una via da seguire. La costituzione conciliare chiarisce un punto che era un po’ stato trascurato con il passare del tempo – ma che è sempre stato chiaro nella teoria e nella teologia: l’eucarestia la celebra l’assemblea, il presbitero presiede “soltanto”.
Credo che sia lo spirito giusto con cui affrontare il futuro della Chiesa. Non più una Chiesa fatta di gerarchia e di consacrati, usufruibile dal fedele, ma una chiesa di popolo, dove il laico opera attivamente, nell’arricchimento reciproco delle vocazioni di ciascuno. C’è posto per tutti, c’è un ruolo per tutti.
E così anche nei vertici: non un Sinodo modellato dalla Curia ma un Sinodo che, guidato dal papa, sia traino per la Chiesa, con una Curia che si faccia carico dell’attuazione, con spirito di servizio.

In definitiva c’è bisogno che ci rimbocchiamo le maniche. Se ci teniamo alla Chiesa, tocca a noi sporcarci le mani: testimonianza, annuncio, accoglienza non possono gravare solo sulle spalle dei presbiteri e dell’episcopato. Tocca al laicato, ora, agire in prima persona. Ovunque.
Dobbiamo riformarla dal basso questa Chiesa, portare le istanze fino a vertice, far sentire tutta la distanza che c’è tra il popolo di Dio e molti prelati che hanno perso la bussola e si sono allontanati dal loro gregge. “Siamo qui, guidateci verso Cristo”, dobbiamo dire ai nostri pastori.

 
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Pubblicato da su 25 novembre 2012 in Il Concilio, Religione

 

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Un (altro) cartonato in politica


Renzi: pupazzo forzitaliota?Dal 1994 a oggi abbiamo vissuto una stagione politica in cui la democrazia propriamente detta è stata sospesa: una certa fetta del popolo italiano (circa 1/3 degli elettori) è stata irretita da un’operazione di marketing televisivo e mediatico, operazione che ha costruito un politico a partire da un imprenditore.
Sopra all’immagine dell’ìimprenditore di successo Berlusconi – tutti sono capaci ad avere successo con le sue amicizie, diciamolo però – è stato incollato il cartonato del leader politico. Tuttavia l’occhio attento poteva fin dal 1994 riconoscere che, dietro agli slogan, dietro alle parole di facciata, si nascondeva il nulla. Il Governo Berlusconi dell’ultima legislatura ha dimostrato con buona precisione questa teoria: il nulla siderale, l’assoluto cosmico del vuoto. Nessun programma, nessuna realizzazione: solo la sopravvivenza del governo stesso, dello stipendio dei parlamentari, l’impunibilità del Berlusconi indagato & inquisito.

La generazione che va dai 30 ai 50 ha l’occasione oggi di rivivere l’esperienza del 1994. Su una sponda (apparentemente!) differente l’operazione si sta ripetendo. Nome diverso, look diverso ma temi simili: l’analisi è inquietante.
Matteo Renzi è il prodotto di questo svuotamento contenutistico berlusconiano: in risposta al vuoto mentale insufflato dal sistema berlusconiano in questi anni – con l’eliminazione della scuola pubblica, con l’eliminazione della cultura in Tv, con l’arrivo di “reality” & simili al posto di questi fattori di crescita mentale – stanno cercando di impiantare un vuoto ancora più spinto, prodotto stesso del vuoto precedente.
Osserviamo bene Renzi. Programma patinato, look all’americana, campagna elettorale in grande stile, imponente presenza mediatica, grande capacità nel confronto con i mezzi di comunicazione, giovane età, slogan accattivanti… un programma fatto di slogan, dietro ai quali c’è il nulla o il “talmente vago che può starci di tutto”… la promessa di un cambiamento e della sparizione di chi ha causato i problemi all’Italia: e l’accusare la “passata generazione” di essere l’unica causa di questi problemi. Rimossa questa, rimossa i problemi.
Ancora una volta ricette e formule magiche che, miracolosamente, cambieranno il paese.
Anziché un uomo di cultura, uno statista, eccoci un altro prefebbricato.

Come diciotto anni fa molti italiani corrono a Renzi come le falene corrono alla luce: ciechi, incapaci di vedere e distinguere. Siamo un popolo che giace sul fondo della scala e sembra goderne. Vuole rimanerci a tutti i costi.
Molti italiani oggi corrono dietro a slogan e motti, non a programmi e ideali politici: una certa sinistra questo l’ha capito – è il merito di Vendola che, dietro alla campagna “Oppure Vendola” ha saputo inserire contenuti e programmi da vero “acchiappanuvole” – un’altra no e infatti rischia l’estinzione. Estinzione, però, che ancora uan volta non graverà sui politici inetti – Bersani la sua pensione ce l’ha assicurata – ma sugli italiani, che rischiano di essere governati ancora una volta da politici cartonati o, peggio, inetti teleguidati.Un programma cartonato: fcciate senza sostanza

Il programma di Renzi mi ha sempre evocato un’immagine precisa: quella delle facciate di palazzi dei set cinematografici. Possibilmente un western, in modo che la casa sia isolata nel deserto, o quasi. Un’immagine di tristezza e desolazione: un po’ il futuro che ci attende se avremo a che fare ancora una volta con un politico finto, attore vero.

Immagino che certi aspetti di questo post suonino come allarmismi vanitosi e saccenti: sono sicuro di non portare una soluzione definitiva e priva di difetti (Vendola) ma sono anche sicuro che Renzi non è una strada politica percorribile con onestà e senso civico. Renzi è il vuoto, è Berlusconi-dopo-Berlusconi, l’ennesima incarnazione di una politica fatta di finzione, menzogna, bei racconti e nessun contenuto reale. La sua vittoria sarebbe l’ennesima prova del controllo del denaro sulla nostra vita politica: cittadini illusi di poter vedere un paese migliore, irretiti dai colori e dalle luci, incapaci di vedere la realtà che si trova dietro la scenografia. Altre politiche liberiste, altro spazio per la finanza e altre riduzioni di diritti per i cittadini. Altri danni allo stato sociale, altre privatizzazioni, altra svendita di conquiste sindacali, altri appoggi a Marchionne, altri vincoli alla spesa che sopravanzano la necessità di spendere bene quel denaro. Altre parole-chiave, altri slogan, altre lucine che illudono. Altri voti buttati, trasformati in azioni dannose per la comunità. Se passano trovate del genere, davvero il danno più grosso del ventennio berlusconiano sarà quello alla cultura e il suo piano di attacco avrà conquistato una vittoria, incancrenendo l’Italia in un costante berlusconismo.
Un copione già letto, mi direte, l’abbiamo visto da vicino negli ultimi diciotto anni: eppure sta per andare di nuovo in scena.
Eppure c’è un’Italia migliore!

 
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Pubblicato da su 20 novembre 2012 in Politica

 

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La Chiesa, i tempi e la bussola smarrita


Nichi Vendola sulla tomba di MartiniDovendomi occupare di politica in sostegno ai comitati per le primarie della sinistra per Nichi Vendola, è inevitabile che mi ponga domande riguardanti la natura e le specifiche di questo mio impegno, il partito che guida Vendola e l’insegnamento della Chiesa.
Sicuramente Vendola, che pur è cattolico, ha posizioni spesso in contrasto con quelle ufficiali della Chiesa, soprattutto quando si tratta di temi “etici” (come se non sfruttare i propri dipendenti non fosse una questione etica…). Vero è che questi stessi temi sono trattati a tutti i livelli della Chiesa e che, come ben sappiamo, il credente di base non sempre condivide le conclusioni a cui giungono i vescovi, oggi spesso distanti dal “sentire” del popolo. Vero è che anche la Chiesa su certi temi – omosessualità, eutanasia, aborto – si è espressa con fermezza e chiarezza da tempo.
Proprio nell’analizzare la coerenza delle mie scelte – vendoliano e cattolico, quadro Agesci e portavoce del comitato savonese per Nichi – sono sorte delle domande proprio su questo, che mi hanno spinto a riflettere sulla Chiesa, sulla sua missione e sull’attuale “stato dell’annuncio”, a cinquant’anni dal Concilio. Racconto allora le mie riflessioni: non sono conclusioni e non sono definizioni. Sono dubbi e domande, in divenire, perché la situazione mi interroga dal profondo e non credo basti un post e un pomeriggio di ponderazione per dipanare la nebbia.

Mi sono chiesto oggi se la Chiesa non stia concentrando il suo impegno su un solo fronte, scordando altri fronti o, comunque, tralasciandoli. E mi sono anche chiesto se questi “fronti secondari” sono davvero così marginali nel messaggio cristiano.
Essere favorevole ai matrimoni gay rischia di porre in contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con il Magistero; tuttavia non lo fa lavorare per una multinazionale che sottopaga i propri dipendenti nelle filippine o che produce armi. Le conferenze episcopali – quando non il Vaticano – si scagliano contro le leggi che consentono unioni civili a prescindere dal genere ma non accusano gli stati di praticare politiche che creano maggior disuguaglianza sociale.
Su alcuni temi la predicazione si ferma a posizioni importanti, su altre pretende il vincolo del credente. Ma davvero è così prioritario impedire l’eutanasia e così di scarso valore lavorare per una miglior distribuzione delle ricchezze sul pianeta? Davvero un tema che riguarda la libertà di coscienza del singolo – libertà di coscienza che la Chiesa, con il Concilio, rispetta – deve occupare più spazio nella definizione del cristiano rispetto all’impegno per migliorare le condizioni di vita di miliardi di persone?

Non potrebbe allora prevalere la sensazione che la Chiesa stia perdendo la bussola, non sappia reagire ai temi che corrono e non riesca a far capire come Gesù Cristo e il Vangelo sono la risposta alle domande della donna e dell’uomo dei nostri tempi? Non lo fa, forse, perché sceglie male le battaglie in cui impegnarsi a fondo.
Credo che il cuore del messaggio cristiano sia l’amore fraterno. Spero, almeno in questo, di essere nel giusto. Parto da questa base, o almeno ci provo, nella mia vita, nella mia azione, anche nel mio schierarmi politicamente. E vedo, per esempio, che le politiche capitalistiche/neo-liberiste sono del tutto antitetiche con un concetto di giustizia sociale che si riferisca all’amore fraterno. Perché la Chiesa non interviene con la stessa forza e le stesse pressioni che impiega su temi scottanti quali l’eutanasia e l’omosessualità, contro il maltrattamento e lo sfruttamento dei lavoratori, contro il lavoro precario, contro lo stupro del Creato e contro l’uso della guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali?Il Concilio, bussola per la Chiesa
Lo storico che è in me vede collusione con il potere; il credente cerca una ragione, cerca una bussola, cerca un aiuto e una spiegazione. Perché non riesce del tutto a vedere la Chiesa del Dio dell’Amore in queste scelte. E sa che la Chiesa in cui crede – quella della sua Confessione di Fede – non è la Chiesa “istituzionale” ma quella invisibile, nota solo al Padre. Questa è la risposta che si dà in quest’ora buia.

Prego molto su questi stimoli e queste riflessioni. Prego per capire e prego per avere la forza di cambiare le cose dove non mi sembrano rispondere al Disegno del Padre. Prego per il discernimento e prego per la Chiesa: noi cristiani, illuminati ora dal Concilio, dobbiamo tenere accesa quella candela, prima che si spenga e ci restituisca alle tenebre. Dobbiamo cogliere i segni dei tempi, respirarli e dal loro la Parola e il Padre come orizzonte di realizzazione. O ci estingueremo.

Un inciso polemico, solo uno, concedetemelo: in Italia il principale partito di riferimento dell’area cattolica è guidato da un divorziato risposato. Con figli. Penso possa spiegare molte cose riguardo alla coerenza… ma non mi solleva dalle domande sulla mia coerenza.

 
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Pubblicato da su 16 novembre 2012 in Diari, Il Concilio, Politica, Religione, Sproloqui

 

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Un domani uguale. Oppure Vendola


Il tormentone della campagna elettorale di Nichi Vendola in vista delle primarie del centro sinistra ha colpito, coinvolto e travolto anche me.
In questi giorni di silenzio dal blog mi sono dedicato un po’ al Festival della Scienza, un po’ al comitato cittadino che sostiene il presidente della Puglia nella sua corsa contro Bersani, Renzi, Puppato e Tabacci. Si parla davvero di prendere posizione, per una volta, e di farlo in grande stile… per quanto Savona permetta.

Ho poche righe per spiegarvi e spiegarmi perché questo sostegno al presidente di Sel.
Uno dei motivi centrali è che credo ci abbiano mentito. Ci hanno preso per i fondelli per anni e continuano a farlo, governo Monti in testa a questa colonna.
Per un bel po’ di tempo ci hanno raccontato che il problema del paese è il debito pubblico, che il Pil è un ottimo misuratore del benessere degli italiani, che il debito si poteva ripianare solo con ingenti tagli alla spesa, che uno stato che spende troppo non va bene e che si deve lasciar maggior libertà all’impresa di agire. Da questi “assiomi” sono discese le privatizzazioni, le politiche liberali, la detassazione dei redditi finanziari, la massima libertà per le banche, i tagli al welfare, il diritto al lavoro barattato per denaro e la flessibilità lavorativa che è diventata precarietà costante nella vita.
Penso che tutto questo non risponda alla verità: penso che la spesa possa essere mantenuta e, anzi, potenziata, ovviamente rendenola più consona a uno stato sociale che abbia a cuore la sua popolazione. Penso che il Pil non misuri la felicità e che la ricchezza non abbia bisogno di comandare, ma che vada distribuita con maggior equità. Penso che lo stato non debba né privatizzare né svendere il suo patrimonio immoboliare, bensì far fruttare tutto quanto. Penso che serva un’attenta, profonda e feroce politica di lotta all’evasione e alla corruzione, fenomeni che strappano ogni anno decine di miliardi di euro alle casse dello Stato.
Credo che queste siano le priorità del paese, non l’austerità, l’aumento dell’Iva o la riduzione delle condizioni contrattuali degli operai Fiat.

Mi sono schierato con Vendola anche per una questione di onore. In un paese che vede il termine onore o come una parola di mafia, o come una burla d’altri tempi, sentire un uomo del sud che si appella a quella nel dedicarsi alla politica attiva può scaldare il cuore. E poi Vendola è uno che brandisce la Costituzione, senza paura di scottarsi e senza paura che questa lo morda – abbiamo tutti ancora in mente l’opinione del Nano riguardo la Carta.
Credo che se vogliamo davvero realizzare quei bellissimi articoli che parlano di diritti, lavoro, uguaglianza e solidarietà Vendola sia la scelta migliore. In una sinistra che è divisa tra chi parla e promette come un liberale, e quindi di sinistra non è, e chi ha dimostrato impegno ma ha anche appoggiato Monti, io credo fermamente che l’unica voce di cambiamento realistico e possibile sia Nichi Vendola.

Ci sentiamo spesso dire che “i programmi non contano perché i politici sono tutti uguali e una volta lì rubano tutti“. Se qualcuno la pensa così, eviti di guardare fuori dalla finestra. O di fissare uno specchio.
La politica è la più alta forma di Carità“, diceva Paolo VI, e possiamo anche ricordarci che “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”.
Io aggiungo che la politica è servizio, dono e altruismo. Solo con questo in mente possiamo restare cittadini, essere attivi nella nostra società e sostituire quanto di marcio – ed è stato molto – ha calcato la scena politica in questi anni di repubblica malata.

E anche in questo la mia fiducia va a Nichi Vendola, che in Puglia ha sicuramente dimostrato di sapersi dedicare al territorio. Sbagliando, anche, commettendo errori ma sapendo ammetterli e tornare indietro, o affrontando le difficoltà e le opinioni contrarie, accettando in pieno la sua umanità e la sua fallibilità.
L’epoca degli eroi di cartone e plastica, dei politici costruiti chirurgicamente deve finire qui.

Possiamo allora scegliere di appoggiare la sinistra del “carbone pulito” a Vado, o la sinistra della Gronda a Genova, quella della fedeltà a Marchionne e quella del pareggio di bilancio in Costituzione, della riforma pensionistica e dell’appoggio a Trenitalia che ci lascia ogni giorno a piedi in stazione.
Possiamo fermarci lì e accettare tutto questo. Ma io penso che di fronte a questo panorama drammatico non ci restano che rassegnazione e silenzio.
Oppure Vendola.

 
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Pubblicato da su 8 novembre 2012 in Politica

 

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Smontiamo Monti


Mi prendo l’onere e l’onore di replicare a questo articolo dell’onorevole Mario Adinolfi su Europa. Credo che il suo pezzo contenga più o meno riassunti tutti i temi centrali sui quali la linea politica della sinistra deve chiarirsi le idee nel prossimo futuro.
Da parte mia, come elettore di centro-sinistra, ho una posizione abbastanza precisa e non mi tiro indietro dal discuterla.Il confronto, soprattutto quando pacato ed educato, credo non possa che portare giovamento a tutti. 

A differenza di quanto scrive Adinolfi, credo che, se il riformismo italiano è quello al quale abbiamo assistito con il governo Monti, sia necessario un sano e forte controriformismo. Le decisioni prese dall’attuale governo sono diametralmente opposte alle esigenze del corpo elettorale della sinistra e, a ben vedere, al Dna stesso di ogni sinistra riformista che, conoscendo l’attuale mondo, voglia allontanarlo a piccoli passi dallo spietato sistema liberista che sembra essersene impadronito.
Credo che la sinistra, se non vuole limitarsi a ottenere una vittoriuccia parziale alle elezione ma se intende governare davvero il paese e dargli una spinta propulsiva, debba invertire drammaticamente la rotta su molti temi rispetto a quanto fatto dal “governo tecnico” che ci sta tutt’ora guidando.

Io penso si possano ridurre i grandi temi di discussione a una manciata, che esporrò puntualmente.
Serve eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione: questo è stato uno stupro alla Carta che sancisce ciò in cui l’Italia crede e ciò a cui le nostre istituzioni tendono. Mi rifiuto di pensare che la spesa – il bilancio – quindi il denaro siano così importanti in quanto tali da governare al posto dell’esecutivo. Perché, con questa modifica, è ciò che può accadere. In nome di un obbligo costituzionale – il pareggio di bilancio – il governo è tenuto a effettuare tagli alla spesa, ivi compresa la spesa su materie sociali che, a mio modo di vedere, deve invece crescere di pari passo al crescere della popolazione. Non possiamo lasciare la gestione della sanità pubblica in mano a esigenze di cassa (o la salute delle persone in mano alla sanità privata). Il centro della nazione non può essere il denaro o i conti pubblici: il centro sono le persone e le loro esigenze. Se serve spendere, si spende.
Serve rivedere la Riforma Fornero in materia pensionistica e, più in generale, di previdenza sociale. Qui ci sono due ordini di problemi. Non possiamo consegnare alla futura povertà chi oggi stenta a trovare lavoro – e ci metto me stesso in mezzo – o chi cercherà lavoro a partire da domani. E neppure è giusto che, terminata la fase produttiva della propria esistenza, ci si debba affidare ai risparmi o alla famiglia: chi lavora merita un’anzianità decorosa perché ha dato molto allo Stato e dallo Stato molto deve ricevere. Ovviamente questo coinvolge anche la modifica delle nuove età pensionabili, inadeguatamente alte, che avranno effetti drammatici: a 64 anni come potremo pretendere che una maestra sia ancora efficace con i suoi bambini, magari dopo quarant’anni dietro la cattedra?
Serve tornare al precedente testo dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, perché, come dice la Costituzione, il lavoro è un diritto e i diritti non si scambiano con il denaro. Il passaggio filosofico pericolosissimo è proprio questo: ceduto su un diritto che è ora divenuto merce, cosa ci impedirà di cedere anche sugli altri?
Credo anche che l’estensione dell’Articolo 18 a praticamente tutti i contratti attualmente esistenti, compresi quelli precari, assieme ad altre misure, possa rendere il lavoro precario meno vantaggioso di quanto oggi è, costringendo di fatto i datori di lavoro a praticare assunzioni a tempo indeterminato. Ma questo è un altro tema ancora.

Non è mia intenzione condannare Monti né il suo governo: semplicemente non ne condivido la linea politica. Apprezzerei moltissimo, invece, che tolga gli abiti del sedicente tecnico (perché tecnico non è stato!) ed entri nell’area politica nel settore di sua appartenenza: il centro-destra liberale del quale incarna i più alti valori e la compostezza morale. Nel dopo-Berlusconi ne abbiamo quanto mai bisogno.

Ciò di cui non abbiamo bisogno, a mio avviso, è una sinistra come quella che dipinge Adinolfi. Non credo proprio ci serva una sinistra che si affanca alle politiche liberali del centro-destra e che rinuncia a difendere i deboli per appoggiare le decisioni forti. Credo, invece, serva una sinistra forte delle sue posizioni che ancora sogni di cambiare un po’ questo sistema e di rendere la società e l’economia al servizio dell’uomo, quando invece oggi accade il contrario. L’esempio più lampante credo sia proprio Matteo Renzi, la cui programmazione è forte di tutte queste linee filo-liberiste che, sinceramente, trovo inappropriate per una vera politica di sinistra (o di centro-sinistra o, al limite, anche solo cristiana).

 
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Pubblicato da su 25 ottobre 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Di cani e di persone


L’input è nato da questo articolo. Non solo, ovviamente, era una riflessione sorta già durante altre dibattiti a cui ho assistito, con analoghe divergenze di giudizio rispetto al maltrattamento di persone o di animali.

Viviamo in un mondo a più velocità, ne siamo ormai tutti consci. La divergenza nel rapportarsi con le persone o con gli animali, però, ogni tanto mi lascia particolarmente perplesso.
L’esempio del cane e della velina credo sia emblematico: le associazioni animaliste, che poi spesso si dimostrano una lobby insensata, si sono immediatamente inalberate alla notizia della soppressione del cagnolino e hanno ricevuto buona visibilità mediatica. Dall’altra parte, per fare un esempio, l’attenzione mediatica per i numerosi casi di “favori sessuali” nel mondo dello spettacolo o della moda ormai non solletica più alcuna fantasia.
Uccidere il proprio cane – violento – rende indegni per la Tv, andare a letto con il regista no.

Potrei citare casi più vicini a noi, casi di senzatetto e aree canine.
Credo che questa discrasia di trattamento sia indice di una certa confusione valoriale che attanaglia il nostro mondo. Dopotutto in certi ambiti – spettacolo incluso – ricorrere all’aborto per “liberarsi” di una gravidanza non desiderata è strumentalmente accettato, addirittura comodo, e si può estendere il concetto alle vessazioni subite dalle donne in carriera che vorrebbero procreare (“costringerle” all’aborto o spingerle controvoglia alla pillola non è molto diverso, moralmente, perché sempre vessazioni e pressioni sulla vita della donna sono). D’altra parte se qualcuno s’inalbera perché una velina ha abortito, subito lo si taccia di cristianesimo antiquato e di intromettersi negli affari altrui. Se la protesta è per un cane violento soppresso… “povera bestia”.

Viviamo davvero in un mondo i cui parametri di riferimento stanno un po’ vacillando, le priorità non sono poi così ben percepite. Non solo in campo morale: le code di matti che hanno atteso per ore un iPhone 5 nel bel mezzo della più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni sono un esempio di criteri di giudizio completamente saltati. Come dice spesso un parroco che conosco, la povertà non è solo l’assenza del denaro ma anche l’incapacità – culturale? – di gestirlo.
L’incapacità – culturale! – di gestire i criteri valoriali è sicuramente ancor più grave e precedente a questo concetto di povertà. I parametri con cui molti di noi sono cresciuti oggi non contano poi così tanto…

Non sono contrario al progresso per partito preso, ai cambiamenti, all’evolversi della società. Ci terrei, però, che questi mutamente inevitabili avvenissero preservando l’umanità che c’è in ciascuno e nell’altro.
L’altro che è anche il barbone che dorme nel portone di casa quando piove, perché non ha un posto dove andare e perché il suo disagio è anche colpa mia – e della mia società – che non ho saputo aiutarlo. Dopotutto anche lui è una persona.
L’altro è anche la donna incinta “costretta” ad abortire per non perdere il lavoro e le opportunità di carriera: quale società possiamo aspettarci da un sistema che mina l’esistenza della famiglia?
Abitando in una città che ha un sacco di “aree canine” ma solo mezzo bagno pubblico, ho paura delle risposte alle mie domande.

 
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Pubblicato da su 2 ottobre 2012 in Curiosità, Sproloqui

 

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