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Bianchi, un papa pastore. Perché no?


Un mio favorito per occupare il soglio di Pietro ce l’ho: Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, costruttore di una realtà pienamente cristiana, pienamente attuale, pienamente conciliare.

So che le probabilità che i cardinali elettori riuniti in conclave indichino un nome esterno al loro consesso sono minime. Eppure erano minime anche le probabilità che un pontefice rinunciasse alla carica: non c’è precedente storico per questo gesto, mentre ce ne sono numerosi di elezioni extraconclave, Celestino V compreso.

Enzo Bianchi si è ritirato a Bose l’8 dicembre 1965, il giorno stesso in cui il Concilio Vaticano II giungeva a conclusione. Una data scelta simbolicamente per dare vita a un’esperienza di pura vita evangelica: Bose è una comunità che si fonda sì sulla tradizione cenobitica di san Paconio e san Basilio ma, soprattutto, è profondamente radicata nel Vangelo. Le sorelle e i fratelli di Bose condividono i beni, la giornata, la preghiera, ispirandosi direttamente al Vangelo come fecero i monaci dei primi secoli della cristianità.

Ad affondare secoli di costumanze stratificate, là a Bose è soprattutto il dialogo ecumenico: la Comunità accoglie cristiani di differenti confessioni, tanto da aver ospitato anche un patriarca ortodosso in pensione, alcuni anni fa, o alcuni pastori protestanti. Il dialogo tra cristiani, nell’arricchimento dovuto al confronto delle reciproche opinioni, è l’elemento che rende Bose un luogo speciale per tutta la cristianità. Tra tante parole e molti proclami di cammino unitario e avvicinamento, in mezzo a documenti e dichiarazioni controfirmate, a Bose si mette in pratica il cammino ecumenico di riavvicinamento della Chiese cristiane: si fa esperienza dove altrove si fa solo teoria.

Il coraggio con cui Enzo Bianchi ha pensato, dato vita e guidato la comunità è a mio parere la cifra specifica di questo personaggio che resterà impresso nei libri di storia della Chiesa, io mi auguro. Bianchi ha accolto il mandato lasciato a tutti dalla Chiesa, rinvigorito e riletto nell’ottica dei segni dei tempi contemporanei dal Concilio, e ne ha fatto la ragione stessa dell’esistenza: questo progetto è per lui il suo modo di dimostrare e applicare l’amore per Dio che ciascun cristiano è chiamato a mettere in pratica.

Questo coraggio nell’innovare la forma lasciando intatta la sostanza, anzi rinforzandola e rinvigorendola con l’approccio a nuovi strumenti è ciò che rende ai miei occhi Enzo Bianchi l’uomo ideale per guidare la Chiesa cattolica nei prossimi anni.
Potremmo anche aggiungere la sua estraneità ai meccanismi di curia, la sua purezza politica, l’età idonea per un pontificato non breve e neppure lunghissimo e molti altri elementi: tuttavia non credo che siano questi gli elementi determinanti per la scelta di un pontefice, non oggi. Abbiamo avuto un papa comunicatore e un papa teologo: oggi ci serve un papa pastore. Un pastore che cammini assieme al suo gregge, che ne abbia sperimentato le difficoltà e le sofferenze, che sappia rafforzare la Chiesa aprendola al dialogo con l’intera cristianità: se vogliamo essere pienamente cattolici non possiamo proseguire nell’isolamento e nell’autarchia. È il comandamento d’amore stesso che ci chiede di accostarci ai nostri fratelli cristiani e porci sulla strada del Padre assieme a loro. Enzo Bianchi può fare questo.

Non credo che, dopo la fumata bianca, il cardinale Tauran annuncerà il nome di Enzo Bianchi come futuro pontefice della Chiesa cattolica. Eppure un po’, in fondo al cuore, ci spero: se i 117 cardinali scegliessero un nome imprevisto, porterebbero a compimento un cambiamento epocale iniziato da Benedetto XVI, cogliendo l’occasione per rinnovare la Chiesa. Si tratterebbe, dopotutto, di seguire i consigli dell’attuale pontefice: non usare la Chiesa per il potere ma porla al servizio dell’umanità, perché essa segua il Padre. Tra molti nomi fatti in questi giorni, nessuno mi lascia così speranzoso per il futuro della nostra Chiesa come quello di Enzo Bianchi.

 
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Pubblicato da su 19 febbraio 2013 in Diari, Il Concilio, Religione, Sproloqui

 

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Lo Spirito non è un burattinaio: il conclave e il libero arbitrio


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Leggendo e parlando in questi complicati giorni che hanno seguito il rivoluzionario annuncio di Benedetto XVI, mi sono trovato anche a discutere della successione all’attuale papa e delle caratteristiche dei papabili. Non pochi, riferendosi al conclave incipiente, hanno pronunciato frasi sintetizzabili così: “il papa lo sceglie lo Spirito Santo, confidiamo in lui”.
C’è moltissima inesattezza in questa opinione, che suona come un abbandono al destino e non un affidarsi all’azione dello Spirito. Difetta di fede, in fondo. 

I cardinali non sono burattini e il conclave non è infallibile. Sono due punti saldi ai quali non possiamo rinunciare, pena problemi rilevanti per la Chiesa e per la nostra fede.
I cardinali – principi della Chiesa – sono esseri umani, quindi godono del pieno libero arbitrio in ogni loro scelta. Lo Spirito non è un grande burattinaio che pilota i voti e non stabilisce chi voterà chi: ispira le anime, mostra una via, parla nei cuori e nelle coscienze di tutti noi e, ovviamente, in quelle dei cardinali, tanto più in momenti così delicati per il cristianesimo. Ma i cardinali restano esseri umani come noi. Pregano per discernere e per comprendere quale sia la via indicata loro dallo Spirito; lo faranno in particolar modo prima del conclave, per poter compiere la scelta migliore per la Chiesa, ma questo non ci assicura che accolgano davvero la guida dello Spirito. I cardinali sono esseri umani: hanno debolezze, difetti, sentimenti tipicamente umani. Duellano tra loro per questioni prettamente secolari – non credo che dirlo costituisca sacrilegio, anzi: dobbiamo prenderne coscienza – sono a volte mossi dall’invidia, dalla brama di potere, dal denaro; subiscono pressioni esterne e sbagliano in buona fede. Quante volte nei secoli sant’uomini avranno agito pensando di fare il bene della Chiesa e, invece, pilotandola lontana delle sponde?

Da questo otteniamo ovviamente la seconda asserzione: non c’è garanzia di infallibilità per il Conclave. I cardinali sono completamente liberi nel dare il loro voto. Certo, pregheranno per ricevere il dono del discernimento dallo Spirito. Certo, lo Spirito donerà loro la sua guida. Non certo, invece, è che questo dono sia accolto.
La tradizione stessa della Chiesa non ci parla mai di “infallibilità” per il conclave; sappiamo che il papa può effettuare pronunciamenti infallibili, sappiamo che la Chiesa nella sua collegialità gode di una certa infallibilità ma nulla si dice del conclave. E poi non serve certo discuterne teologicamente: il Dio di noi cristiani non è un cospiratore, non agisce dietro le quinte come un regista occulto. Semmai è un suggeritore, un amico che ci consiglia come mandare avanti questa commedia, senza mai obbligarci a seguire quello che dice. La scelta di seguirlo, alla fine, è sempre nostra.

Nulla ci assicura che il papa eletto dal conclave sia scelto da Dio, il migliore possibile o anche solo idoneo al ruolo. San Vincenzo Pallotti diceva: «Alcuni papi Dio li vuole, alcuni li permette, altri li tollera». Abbiamo un lungo elenco di papi non idonei alla Chiesa, ai loro tempi e alle sfide che si sono trovati ad affrontare, papi che hanno recato alla Chiesa più danni che benefici. Ma anche questo fa parte del segreto incomprensibile dell’Amore: Dio ci ha donato la libertà perché ci ama e questa libertà è tale da consentirci di sbagliare e anche di rifiutarlo. Possiamo pregare perché i cardinali sappiano discernere la guida dello Spirito nella loro scelta imminente ma non possiamo essere certi che essa sia guidata dalla fede e non dal denaro, dal potere, dai vizi umani o, semplicemente, dall’errore involontario di quello che è e rimane un comune fratello. Per questo preghiamo: perché ci fidiamo – abbiamo fede. E perché sappiamo che siamo amati: ma, come sempre, il destino dell’uomo è nelle sue mani, nella sua capacità di accogliere l’amore di Dio.

 
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Pubblicato da su 13 febbraio 2013 in Religione, Sproloqui

 

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Correggendosi…


Mi sono accorto che il pezzo scritto sul Concilio era inefficace. Essenzialmente mancava di anima, di sentimento, di sensazione vera.
Era forzato.
Penso che quello che troverete fra qualche riga sia più vero, più naturale. Forse meno informativo, probabilmente più incompleto. Indubbiamente più mio. L’avevo scritto per un forum ma credo possa andar bene anche sul blog. 
Con le scuse per l’inefficacia iniziale…

Giovedì 11 ottobre 2012. Cinquant’anni fa, un altro giovedì, la storia vedeva scriversi una nuova pagina. 
Era il giorno d’apertura del Concilio Vaticano II.

L’intuizione di Giovanni XXIII – quel papa Roncalli così amato dalla gente, così poco gradito da certi prelati di curia – era quella di convocare un’assise che leggesse i segni dei tempi e rendesse la Chiesa capace di interagire appieno con la contemporaneità. Da tempo, infatti, il linguaggio e lo stile dell’istituzione ecclesiastica rendevano inintelligibile il messaggio di Salvezza affidato da Cristo alla sua Chiesa. Chiusa in un conservatorismo asfissiante, incapace di rapportarsi con le emergenze e le urgenze di un mondo ormai troppo diverso, la Chiesa rischiava di perdere l’aderenza all’umanità che è uno degli elementi fondamentali perché l’annuncio possa riuscire. 
Roncalli giocò la carta del Concilio per smuovere l’intera struttura.

La Curia lavorò alacremente perché il Concilio fosse svuotato dai suoi contenuti: gli schemi predisposti, i testi già discussioni, le costituzioni imbastite. Tutto pensato perché, con un papa già malato, il Concilio fosse celere e si limitasse ad approvare posizioni standardizzate e neutralizzate. 
Ma i Padri Conciliari, guidati dallo Spirito, scompaginarono questa malevola influenza e vollero rivedere tutto da capo, riportare allo commissioni e alle sedute plenarie tematiche che la Curia avrebbe preferito non veder discusse nel Concilio. 
Lo Spirito agisce spesso per vie imperscrutabili ma nel Concilio s’è fatto chiaro attore e partecipe del rinnovamento, donando nuova linfa alla Chiesa. 

Il ritorno di Giovanni XXIII alla Casa del Padre non disarmò il Concilio; certamente la conduzione di Paolo VI fu maggiormente conservativa, eppure i blocchi erano stati tolti. I Padri affrontarono con coraggio le sfide della contemporaneità e le Costituzioni delinearono un’adesione ai principi fondanti della Chiesa insolita da molti secoli: il ritorno ai fondamenti della Tradizioni, alla missione apostolica del popolo di Dio e della Sua Chiesa ha caratterizzato tutti i testi conciliari, lasciando che lo Spirito illumini il cammino della Chiesa per mezzo di essi.

Ma, come sempre, lo Spirito non conclude l’opera: la lascia nelle mani dell’umanità perché cammini. E così molto del Concilio è stato poi disatteso o sviato. 
Una piccola ma tenace e rumorosissima – soprattutto perché sovrarappresentata tra le alte prelature – fazione conservatrice ha cercato per anni di snaturare e svuotare la forza di restaurazione dell’azione divina nella Chiesa operata con il Concilio. 
Eppure i cambiamenti fatti non sono cancellabili: il cammino prosegue

Oggi, cinquant’anni dopo, cosa ci rimane del Concilio? Quali i cambiamenti realmente portanti derivati dal Concilio? Quali le sfide alle quali la Chiesa è chiamata? Come rendere veramente efficaci, fino in fondo, le Costituzioni e i testi conciliari?

 
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Pubblicato da su 11 ottobre 2012 in Il Concilio, Religione, Sproloqui

 

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Bertone si prepara il Conclave?


Il Concistoro annunciato ieri da paparatzinger ha reso nota l’elevazione a cardinale di ben ventidue porporati, diciotto dei quali saranno anche cardinali elettori, ovvero sono under 80 che entreranno in un’eventuale conclave. Si tratta di un’immissione imponente di berrette rosse e un rinforzo dei ranghi del conclave che, se fosse convocato a fine febbraio, vedrebbe partecipi 124 cardinali, quattro in più del consentito. Ben sette dei diciotto nuovi elettori sono italiani e nell’elenco l’ampia maggioranza va ai membri della curia romana, quasi Benedetto abbia voluto premiare chi più l’ha assistito nel governo della Chiesa in questi anni di pontificato.

Questa la notizia, secca e fredda. Ci sono considerazioni da fare.
A parte che un cardinale lo conosco, ho pure pranzato con lui… quando era vescovo di Savona (Calcagno).
L’elenco mi sembra una vittoria della linea bertoniana, quasi un successo personale del segretario di stato, già arcivescovo di Genova, estremamente criticato da molti settori CEI e dato in calo di popolarità negli scorsi mesi, soprattutto per via di alcune assegnazioni (Torino) di soggetti differenti da quelli suggeriti da lui. Invece questo concistoro suona come una vera vittoria del settantasettenne porporato. Il segretario di stato è un po’ anziano per aspirare al papato – ha già settantasette anni, difficile una sua elezione anche in un conclave in corso d’anno – ma con i soggetti che saranno inseriti a metà febbraio tra gli elettori è possibile una sua amplissima influenza sull’esito delle votazioni. Se Scola è dato come grande favorito – ma Dio ci scampi da un tizio come lui, legato al PdL abbastanza da giustificare gli eccessi dei politici attaccando i “moralizzatori” – Schönborn potrebbe non aver perso del tutto le possibilità di concorrere, anche se lo “scisma austriaco” (consiglio il mio post al riguardo) ha sicuramente indebolito la posizione.
Questi giochi di preveggenza e posizionamento sono tipici di ogni fase della Chiesa; papa giovane o vecchio che sia, la composizione del concistoro e del possibile conclave sono per forza di cosa oggetto di interessante discussione per gli osservatori, oltre che di serrate trattative tra le berrette stesse.

A me sembra abbastanza evidente come Ratzinger stia predisponendo le carte per il prossimo conclave; mi stupirebbe il contrario, considerando l’età decisamente avanzata del pontefice, la sua salute non ottimale – si sa che soffre di cuore, il che lo rende un po’ una bomba a orologeria – e la fatica che pesa sul pastore romano.
Le esclusioni di Nosiglia (neo arcivescovo di Torino) e di Fisichella (forse paga la “contestualizzazione” delle bestemmie berlusconiane?) suonano come un segnale importante, anche perché non è scontata la convocazione di un ulteriore concistoro presieduto da Benedetto XVI.
Due, quindi, gli elementi chiave: la netta preferenza di nomine “bertoniane” e l’ampio spazio riservato alla curia pontificia. Interpretare questi segnali è questione difficile, perché si mischiano elementi religiosi a elementi di politica religiosa, due campi ben distinti della Chiesa. Se proprio si vuole dare un significato, sembra che Benedetto XVI stia predisponendo dei ranghi molto nutriti di elettori: questo non significa che la successione sia vicina, mi auguro per lui di noi, ma che senza dubbio ci sta già pensando. Da buon monarca, quindi, prepara il terreno per una transizione facile…

Strano il silenzio dei media, forse disinteressati alle vicende papali: mi aspettavo più clamore per questo profluvio di cardinali, soprattutto perché adesso quelli nominati da Ratzinger sono più di quelli nominati da Giovanni Paolo II. Comunque sia, serviranno mesi, forse anni, per verificare i nuovi assetti; e, nel frattempo, un ligure si aggiunge al Sacro Collegio.
Staremo a vedere.

 
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Pubblicato da su 7 gennaio 2012 in Religione

 

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Imprecisioni e balzelli: come mentire per attaccare la Chiesa


La moda di questi ultimi giorni è quella di attaccare la Chiesa per le sue ricchezze e pretendere di tassarla per rinfoltire la manovra finanziarialacrime e sangue del Nano e di Tvemonti. L’idea di fondo che viene trasmessa da numerosi blog, giornalisti, post su social network, Tg è che la Chiesa italiana non paghi alcun tipo di tributo/imposta/tassa e, anzi, riceva ingiustamente fondi dallo Stato, drenando risorse che potrebbero essere usate meglio.
Come tutte le mode, si tratta di un sistema di superficiali osservazioni, spesso inesatte e imprecise, non approfondite, possibilmente demagogiche. Insomma, quello che si può sentire/leggere sull’argomento è spesso un cumulo di sciocchezze dovuto alla disinformazione o alla malafede (lascio giudicare a chi legge caso per caso, su questa materia).

Vediamo un po’ di portare un minimo di chiarezza su questa materia; vivendo dentro la Chiesa (in senso letterale ma non fisico) ho modo di vedere con i miei occhi alcune cose che molti “esperti” di questi giorni ignorano o trascurano volontariamente e che, se prese in considerazione, modificano completamente il panorama dipinto circa quest’argomento. Diamo però un’occhiata al cumulo di sciocchezze che si possono trovare in giro; sarà una carrellata veloce ma mi auguro sia incisiva…

– Il Vaticano non paga le tasse e ruba soldi all’Italia con l’8×1000: ok, questa è simpatica. Mi chiedo perché mai il Vaticano dovrebbe pagare le tasse all’Italia e non, per esempio, al Brasile. Città del Vaticano è uno stato sovrano, con relazioni diplomatiche, gestito dalla Santa Sede, non un’organizzazione con sede in Italia. L’Italia, dopotutto, non credo paghi le tasse alla Francia o alla Gran Bretagna (almeno, non mi risulta che versiamo l’ICI su Palazzo Madama a Sarkò!) quindi, davvero, perché il Vaticano dovrebbe darci i suoi soldi?
Questa è un’imprecisione dovuta all’ignoranza – o alla voluta confusione – che si incontra in materia: è facile non distinguere Vaticano e Chiesa quando li si vuole colpire perché cambiare rapidamente soggetto permette di cogliere il peggio da entrambi e di rivoltare la frittata quando opportuno (a chi scrive). Se non è disinformazione questa…

– La Chiesa riceve benefici iniqui sulle esenzioni dell’ICI: studiare storia mi ha insegnato qualcosa: non fare affermazioni importanti senza essere dovutamente documentato. Chi parla di esenzioni della Chiesa e propone di cancellarla pare non adottare la stessa linea.
La legge che istituisce l’ICI – con successive, numerossime, modifiche – specifica chi e cosa non è soggetto al pagamento di quest’imposta. La Chiesa, in questo provvedimento, non è citata. Si dice, però, che sono esenti “fabbricati posseduti da enti non commerciali e destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive” (mi sento in diritto di non tenere conto della manciata di strutture citate dai Patti Lateranensi, visto che in fin dei conti sono strutture che godono dell’extraterritorialità, come le ambasciate).
Appare ovvio che la Chiesa rientri nella categoria di “ente non commerciale”: sfido qualcuno a dimostrare che la Chiesa sia un ente commerciale. In caso ci riesca, vorrei anche i dividendi per la mia chiara adesione all’associazione. Insomma, la Chiesa non paga l’ICI come non la pagano tutte le altre strutture religiose, assistenziali, di volontariato, etc: a me sembra una norma sacrosanta, segno di democrazia e di maturità del paese. Pensate cosa accadrebbe se da domani tutte le ONLUS e tutti gli agenti del c.d. Terzo Settore pagassero l’ICI: entro sei mesi il paese sarebbe in condizioni disastrose… e la coalizione di governo che avesse questa brillante idea sparirebbe dal panorama politico per un paio di secoli (meritatamente, eh!).
Ora è chiaro come funziona l’ICI?

– La Chiesa non paga l’ICI neppure sulle sue attività commerciali: questa è palesemente falsa. La legge – che mi sono andato a leggere – non accenna a nulla del genere. Mi informerò con il mio parroco nei prossimi giorni ma non vedo perché mai dovrebbe accadere ciò; se localmente accade, è perché ci sono irregolarità e illegalità locali, sia da parte dei gestori ecclesiastici, sia da parte delle amministrazioni locali (colluse e in cerca di voti). Diocesi ed enti locali collaborano attivamente per tenere aggiornati i dati riguardo a cosa è commerciale e cosa no… e dove non accade, è giusto colpire con la dura mannaia che si deve usare contro gli evasori e i corrotti. Non credo serva neppure andare oltre, penso siano idee che tutti i cristiani condividono.

– La Chiesa aggira la definizione di “attività commerciale” per non pagare: si narra di fantomatici monasteri divenuti alberghi a cinque stelle ma che, in quanto monasteri, sono esenti da ICI e altri balzelli. Ora, in molti casi si tratta di beni ceduti dalla Chiesa – previo regolare pagamento – a privati: il che vuol dire che non sono più materia della Chiesa. Cosa accada lì è una questione tra proprietario, enti locali e Guardia di Finanza.
In altri casi si tratta di monasteri con annessa foresteria, utilizzata da chi vuole condividere alcuni giorni di vita monastica con le comunità locali (l’ho fatto anch’io più volte). I prezzi sono evidentemente risibili, trattabili (non conosco monasteri che rifiutino i poveri…) e la qualità dell’accoglienza è quantomeno ridotta rispetto al cinque stelle. Spezzo una lancia a favore del cibo e delle bevande: i monaci di solito cucinano davvero bene – molto meglio che in numerosi alberghi stellati – e non si fanno mancare bevande con cui accompagnare il desco! Ma paragonare una cella monastica a una camera con idromassaggio è osare un po’ troppo…
La Palla sarà contenta di sapere che nell’elenco dei monasteri “malvagi” – secondo Curzio Maltese – c’è anche Camaldoli, meta di “turismo intellettuale” di lusso. Da quanto mi ha raccontato lei non mi sembrava che a Camaldoli vivessero nel lusso, ma approfondirò, ok?

– L’8×1000 è condannato anche dall’UE come aiuto illecito: vero è che ci sono state tre procedure d’infrazione al riguardo. Verissimo anche che due sono state chiuse. La terza è stata avviata dopo le prime due chiusure da una socialista spagnola, nota per la sua anticlericalità, quindi affidabile e obbiettiva come un’opinione calcistica di Moratti o un parere legale di Ghedini.
in pratica, l’UE ha indagato sull’argomento e, fino a ora, non ha trovato comportamenti illeciti o ingiusti in materia, da parte dell’Italia: l’8×1000 è equamente diviso in base alla scelta dei cittadini e va bene così.

La Chiesa prende tutti i soldi di chi non sceglie, invece dovrebbero andare allo Stato: qui torniamo all’ignoranza. In primo luogo, non si firma per il proprio 8×1000 ma per quello di tutti: la firma di un operaio vale quanto quella di un avvocato parlamentare e i fondi sono distribuiti proporzionalmente a quante firme ogni indirizzo riceve. Firma circa il 40% dei contribuenti italiani – pochi, si direbbe – ma qui c’è il trucco: non tutti sono tenuti a dichiarare (i redditi bassi, io per esempio, non sono obbligati) e questo abbassa il dato. Se facciamo il conto su quanti firmano tra chi ha diritto, il dato sorpassa in fretta il 60%.
La Chiesa riceve circa il 75% delle “preferenze” e porta a casa proporzionale quantità di denaro: perché i soldi non sono divisi tenendo conto di chi non firma e quelli di troppo non finiscono allo stato? Due i motivi: sarebbe un po’ stupido, un po’ come dire che se alle elezioni l’affluenza è dell’80% si elegge solo l’80% dei parlamentari; lo Stato figura già tra i possibili beneficiari del provvedimento, quindi non può tenersi i soldi anche di chi non sceglie, sarebbe un’infrazione… quella si, punibile dell’UE!

Mi sto dilungando troppo… penso che per oggi mi fermerò qui. Ci sarebbero molti altri passaggi da sottolineare ma penso che questi siano decisamente interessanti e indicativi.
La Chiesa commette errori, questo è certo: non voglio passare il messaggio dell’infallibilità dell’istituzione temporale, ci mancherebbe. Sbaglia e, quando lo fa, deve essere richiamata e legalmente punita come tutti. Ci tengo però a ricordare che parlare a vanvera non porta da nessuna parte e direi che su questo argomento in molti parlano a vanvera. Sull’esenzione dall’ICI e sull’8×1000 c’è un’ignoranza, un pressapochismo e una demagogia che fanno invidia alle manipolazioni mediatiche del Nano governante: l’odio anticlericale è ben radicato, violento e insensato, perché colpisce ingiustamente e senza pensare, come ogni odio. Mi preoccupa davvero, questo, perché fa presagire tempi duri per la nostra fede. A Madrid abbiamo visto ragazzi detestati, odiati, insultati e derisi per il loro essere cristiano: se qualcuno avesse dimostrato allo stesso modo contro un Gay Pride sarebbero iniziate invettive compatte da parte di tutti, ma attaccare la fede è lecito e giusto, secondo alcuni. Questa democrazia asimmetrica e questa libertà iniqua mi preoccupano davvero: ma sopporteremo e lotteremo, certi della nostra fede in Cristo. Spero non da soli: mi auguro che chi si accende per garantire i diritti di manifestazione e di libera espressione ai gay, ai sindacati, ai musulmani si ricordi che anche noi siamo cittadini ed esseri umani con eguali diritti.

E buona domenica a tutti!

 
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Pubblicato da su 21 agosto 2011 in Politica, Sproloqui

 

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Stupidità dell’indignatezza?


Si odono in questi giorni proteste e contestazioni per le “folli spese” della GMG madrilena nel bel mezzo della crisi economica; pare che, poiché la situazione economica mondiale è pessima, non si sarebbe dovuto svolgere l’incontro dei giovani cattolici con il Santo Padre.
La Chiesa è stata accusata di sperperare soldi che potrebbe usare meglio e di vessare le casse spagnole, drenando denaro da queste; si parla di ben cinquanta milioni di euro come costo generale e totale dell’incontro, una cifra che, secondo alcuni, sarebbe stato meglio spendere altrove, soprattutto per la Spagna, paese messo economicamente peggio di noi (e ce ne vuole a battere Tvemonti e il Nano!).

Rivediamo però la questione con buonsenso e non con i paraocchi dell’anticlericalismo spinto, che non rende onore all’intelligenza delle persone e fa emergere opinioni di gente che dovrebbe tacere.
Più della metà della spesa è a carico del Vaticano, non della Spagna: questo riduce a circa 25 milioni la spesa spagnola. Il numero di pellegrini è stimato attorno al milione, contando gli spagnoli stessi: difficile immaginare che ciascun pellegrino spenda, in una settimana o più, meno di 25€ per spese generali, dal cibo ai souvenir. E non ditemi che cibo, alloggi, etc sono compresi nel pacchetto del pellegrino (per l’Italia dal costo di circa 400€, tutto compreso) perché non c’è giovane che non compri un gelato, un ricordo della Spagna, una bottiglia di sangria, una cartolina… e molti di loro rimangono in Spagna prima o dopo l’evento, portando altro denaro alle casse degli spagnoli. Certo, un bel po’ di pellegrini sono spagnoli… ma è comunque economia che gira, no? E sono certo che gli stranieri, da soli, coprono e superano i 25 milioni di spesa spagnola.

Aggiungiamo poi al conto una valutazione importante: la GMG costa alla Spagna 25 milioni di euro, certo. Però non è che questi soldi vengono bruciati in piazza… sono spesi sul territorio in stipendi, materie prime, straordinari delle forze dell’ordine, allestimenti e via dicendo. Sono, cioè, soldi spesi che fanno girare ulteriormente l’economia. Spagnola, ovviamente.
E mettiamo nel conto anche i 25 milioni di euro che il Vaticano investe sul territorio spagnolo… perché dubito che il palco sia costruito da cittadini vaticani, o che i rifornimenti di cibo siano gestiti da cittadini vaticani.
Inseriamo, infine, l’indotto: denaro genera denaro, spese comportano spese. Consideriamo gli introiti pubblicitari, le migliaia di giornalisti da tutto il mondo (che pagano alberghi, ristoranti, trasporti… souvenir…), la ricaduta d’immagine, quelli che fanno un salto alla GMG e nel frattempo si scoppiano due settimane di vacanze in Spagna…

Dicevamo: per la Spagna questa GMG è davvero un problema o, piuttosto, un enorme vantaggio, economicamente parlando?
Potrei accettare, al limite, la critica circa la spesa della Chiesa che “sperperebbe” 25 milioni di euro per organizzare un raduno di giovani. Ora, la crisi sarà anche un dato di fatto ma non credo sia sensato – o giusto – smettere di vivere perché c’è questa crisi; pensiamo, piuttosto, a risolverla ma non chiudiamoci in casa a piangere. Lo scopo della Chiesa è annunciare il Vangelo: quella Buona Novella ci viene in soccorso ancor più in questi momenti di difficoltà e, sinceramente, penso che siano 25 milioni ben spesi, non solo economicamente (come dimostrato sopra) ma anche da un’analisi morale/etica. Oggi c’è più bisogno di ieri di fare annuncio, verso tutti: si, 25 milioni potevano essere destinati al Terzo Mondo. Avrebbero cambiato qualcosa? O forse è un investimento migliore puntare sui giovani, annunciando loro il messaggio di fraternità di Cristo, in modo che domani non ci sia più un Terzo Mondo a cui donare monete e forze?

Insomma, a volte prima di indignarsi bisognerebbe pensare.Indignamoci perché abbiamo una classe politica che continua a tassare i soliti cittadini onesti e non combatte l’evasione fiscale; indignamoci perché il presunto Presidente del Consiglio mente regolarmente dicendo che l’ha votato più della metà degli italiani, quando se arriva al 30% è già buono; indignamoci perché la classe dirigente del paese è scandalosamente attaccata ai suoi privilegi; indignamoci perché stanno cercando di cancellare lo stato sociale duramente conquistato in anni di lotte; indignamoci perché la Chiesa viene attaccata per partito preso da imbecilli che non hanno capito un'”h” di cosa voglia dire essere cristiano; indignamoci perché il 40% dei cittadini italiani ha votato una coalizione guidata da un ladro, dimostrando di essere incapace di intendere e di volere.
lasciamo in pace Cristo e chi lavora per noi, però: abbiamo bisogno come mai di questa luce di speranza!

 
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Pubblicato da su 19 agosto 2011 in Politica, Sproloqui

 

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