A poche ore di distanza mi trovo a scrivere di nuovo di Matteo Renzi e contorni, pur adottando toni completamente diversi.
Le strutture interne del PD si stanno per esprimere sulle regole che vorrebbero proporre per queste primarie – trattandosi di una questione di coalizione dovranno anche trattare con gli alleati, dopo aver preso posizione – e alcune norme emerse in questi giorni di bozze e idee hanno irritato non poco il giovane sindaco fiorentino.
Si tratta di critiche nel merito delle norme proposte e nel merito della genesi di queste norme. Non volendo affrontare propriamente l’argomento delle norme, che non è di mia competenza, mi limito alla loro genesi.
Una genesi che potremmo definire del tutto particolare: se lo statuto prevede che il solo segretario del partito sia candidato a eventuali primarie di coalizione, l’idea di prevedere una deroga, una concessione o un sistema che consenta la partecipazione anche ad altri è emersa da subito, soprattutto in virtù dell’ingombrante presenza di Renzi.
Ci furono voci contrastanti, è ovvio: alcuni erano contrari alla possibilità che qualcuno che non fosse Bersani concorresse per la leadership del centro-sinistra a nome del Pd. Un’idea rispettabile ma sbagliata, intendiamoci: il sistema democratico deve prevedere la massima permeabilità e non si può pensare che un singolo nome, espresso anni addietro dall’assemblea, sia univocamente apprezzabile dall’intero corpus elettorale democratico.Peraltro ammettere da subito che una deroga sia possibile e giusta – cosa accaduta davvero – non consente, in un secondo tempo, di rendere questa deroga inefficace. La lealtà deve essere preposta a tutto, in questi casi, o si perde politicamente la faccia.
Il vero problema emerso in questi mesi è che, per molti, la partecipazione di Renzi alle primarie doveva essere solo una comparsata, necessaria per una verniciata di democrazia a una struttura che, in questi anni, si dimostra più che altro oligarchica.
Se Bersani incarna un establishment ormai datato, di cui si è fatto portavoce e “portaborse attuativo”, Renzi è l’immagine di un cambiamento – finto, come ho scritto ieri, perché anche il fiorentino è viziato della stessa malattia della menzogna dei colleghi d’un tempo – che non può essere soppressa senza ledere fortemente il cammino elettorale della sinistra. E l’Italia – l’Europa – ha ampiamente bisogno della sinistra al governo.
Si è dunque assistito a un balletto di regole che cambiano, di regole in cerca della formula giusta per mantenere l’aspetto della democrazia ma nel frattempo danneggiare Renzi – o chiunque altro si fosse candidato. Regole scelte veramente ad hoc – ad personam, diremmo in altri casi – con complicazioni spesso manzoniane, il tutto gestito da un apparato di partito particolarmente solidale con l’attuale leader eletto. Insomma, è come se le regole di un gioco fossero cambiate da arbitri indicati da un giocatore, dopo che gli altri giocatori sono scesi in campo.
Abbiamo così assistito alla nascita del registro degli elettori – cosa buona, in verità, per limitare l’influenza dei voti esterni alla coalizione, magari pilotati per danneggiare il rivale – o alla quota di firme per presentarsi, al tetto di voti per provincia, fino al doppio turno.
Mi sembrano segni di terrore da parte del team pro-Bersani: suona davvero come se avessero una paura maledetta di perdere la battaglia. Allora ricorrono allo strumento preferito dal loro Grande Nemico che Fu: barare, truccare la corsa.
Intendiamoci: ciascuna delle modifiche al sistema delle primarie è ampiamente condivisibile: trovo saggio il doppio turno, trovo saggia la registrazione come “supporter” della coalizione, trovo abbastanza saggia la quota di firme per la candidatura.
Trovo inadeguata la tempistica: non si scelgono le regole a campagna avviata e a coalizione incerta. Prima si saldano le alleanze di coalizione, certificandole su un programma-base di linee guida da rispettare a prescindere dal vincitore, quindi si procede con l’elezione del leader (nella speranza che questa stortura istituzionale sia abolita dalla legge elettorale e che si torni a votare per il Parlamento e basta, lasciando a questo e al Quirinale l’espressione dell’esecutivo).
Che questi interventi siano stati realizzati appositamente per danneggiare Renzi o meno, quel che conta è l’impressione che forniscono del Pd: pessima, lasciatemelo dire. Sembra davvero che ci sia un gruppo di potere che non vuole mollare la poltrona e che questo gruppo di potere stia facendo di tutto, slealmente, per restare incollato alla guida del partito.
L’effetto elettorale può essere devastante: il Pd deve (ri)trovare una conduzione pienamente democratica, generata dal basso, condivisa dalla base. L’alternativa è diventare come il PdL: un contenitore di idee senza senso destinato a distruggersi entro breve.
Per chiudere: spero con tutte le mie forze che Renzi prenda una colossale batosta elettorale e sparisca dal panorama politico italiano al più presto, quindi voterò e sosterrò Vendola. L’Italia ha bisogno di sinistra, sinistra vera, non paraliberismo marchiato con una finta etichetta di sinistra. Servono politiche di sostegno agli strati deboli della popolazione, rinforzi al welfare, tagli a sprechi inutili, un reddito minimo garantito, la distruzione del precariato, la dissoluzione delle riforme di Monti. Renzi a queste cose non pensa, Vendola si. Avrà tutto il mio democratico appoggio.
Pur anti-renziano, però, non potevo tacere sull’errore madornale che sta commettendo il nucleo di potere al centro del Pd. Un conto è la rivalità, un altro è la lealtà.
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