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La fine!


https://i0.wp.com/www.malitalia.it/wp-content/uploads/2011/11/theend_berlusconi_pp-300x210.jpgMentre si concludono i conteggi di queste elezioni quantomai complesse da leggere, trovo giusto evidenziare un dato, frutto dell’analisi numerica, che può darci un indizio della direzione da prendere.
L’era del centrodestra berlusconiano è finita: finita con un collasso complessivo del numero di voti ricevuti, passati dai 17 milioni del 2008 agli attuali 10 (poco meno, in verità). Si tratta di una discesa netta del 42%, ampiamente superiore a quella del Pd (comunque grave e attorno al 30%). Paga moltissimo la Lega, che lascia per strada oltre 1,7 milioni di voti, più del 55% dei consensi.

Solo il sistema elettorale abbastanza buffo mantiene in piedi il potere – ma non il consenso – di Berlusconi. Troveranno tempo le interpretazioni sulla creduloneria e sul buonsenso elettorale degli italiani, oggi concentriamoci su una questione più “apocalittica”, anche più centrale del boom del M5S.

Berlusconi è, numericamente, alla frutta: una frutta che puzza anche un po’ di stantio. Non è un augurio, è l’interpretazione dei numeri: come previsione potrà essere smentita da ulteriori e differenti evoluzioni dello scenario, ma in un comportamento lineare delle altre forze – chiederlo al Pd, però, potrebbe essere illudersi – il risultato di oggi è un KO definitivo.
Il consenso che si era costruito negli anni è rimasto in piedi, parzialmente, per una combinazione di fattori:
l’incapacità del Pd (e della sinistra tutta) di farsi alternativa credibile
l’irrompere del M5S, visto che i flussi elettorali dei grillini pescano più a sinistra che a destra (pur svuotando di fatto la Lega)
il sistema elettorale folle, che al Senato premia eccessivamente le regioni popolose

https://i0.wp.com/www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2012/12/scandali-di-berlusconi26.jpgI primi due punti sono la chiave del sistema: la sinistra, ancora una volta, è stata inadeguata. Proposte scialbe, nessun mordente in campagna elettorale, efficacia comunicativa ridotta e i cavalli da corsa, quelli che, pur non essendo i leader, dovevano essere sparati in tv tutti i giorni, tenuti in cantina. Quando hai due ammaliatori di folla come Vendola e Renzi, non puoi permetterti di mandare Bersani: capisco le ritrosie del Pd a dar spazio al leader del partito alleato – limitatamente, perché anche se avesse strappato qualche seggio in più grazie alla visibilità accresciuta, di certo avrebbe ripagato con molti più voti conquistati – e allo sconfitto delle primarie, ma credo che il sacrificio sarebbe stato ampiamente ricompensato. Si poteva e si doveva vincere.
Questo ha comportato non solo lo spazio per il recupero del Cainano ma anche la cessione di ingenti quote di voto dalla sinistra a Grillo. Non si può infatti ignorare il calo di voti del Pd e la crescita dei grillini, sicuramente elementi collegati, spesso sul territorio, dove le amministrazioni di sinistra non si sono dimostrate sufficientemente sensibili ai veri temi cui l’elettorato e la cittadinanza erano interessanti. La sinistra ha perso il confronto, pur con questa risicata maggioranza numerica: possiamo fare tutte le analisi che volete ma, in definitiva, la motivazione è una sola. Monti.

Torniamo a B.: credo che neppure il Pd possa risuscitarlo da una botta di questo tipo. Berlusconi è stato mollato da tutto l’elettorato realmente reattivo alla realtà, questo è ciò che emerge seriamente dalle elezioni. Possiamo riflettere su un consolidamento di una decina di milioni di persone che lo votano comunque – una certa, piccola, percentuale ha votato le liste correlate per osteggiare la sinistra e nella speranza di una crescita per il futuro: questa la scelta di Meloni e Crosetto, per esempio – ma è un flusso in buona parte costruito sulle promesse vacue della campagna elettorale, un exploit che può essere fermato da un competitor dotato di anche solo un minimo di capacità comunicativa (e di uno staff all’altezza). E da una proposta all’altezza nel reale centrodestra, che chiami a sé gli stakeholder dei voti liberisti e della destra moderata.
Berlusconi può festeggiare per i seggi conquistati ma deve piangere per il consenso definitivamente eroso: e quello conta in politica, perché dovrà trovarsi a confrontarvisi, in un modo o nell’altro.

Riguardo Sel, un solo piccolo appunto: da sola ha fatto meglio dell’intera Sinistra arcobaleno. Per quanto la situazione sia difficilissima, la sinistra italiana ha registrato una crescita percentuale interessante, passando dal 3,02% a quasi il 5,5%. Bruscolini, vero, ma sicura testimonianza di una richiesta di attivismo che, se combinata con la forte denuncia delle politiche liberiste che ha vinto queste elezioni, può consentire di crescere. Assieme, però: perché dobbiamo imparare a essere uniti e a essere squadra per il governo, non testimonianza fine a se stessa.

 
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Pubblicato da su 26 febbraio 2013 in Politica, Teoria

 

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Il voto sereno


Per la prima volta da quando voto – referendum esclusi – ho votato con serenità, senza rimorsi e senza dubbi: era la scelta migliore che potessi fare e non ho neppure dovuto tapparmi il naso (o contenere conati di vomito).

Il panorama del voto e del post voto è effettivamente tra i più lugubri della storia ma ammetto che mi sono approcciato alla questione con la massima serenità. Ho idee abbastanza precise riguardo all’Italia che vorrei: c’è in me un disegno ideale e vedo nel voto, nei partiti, nell’impegno in politica un modo per contribuire a plasmare il mondo. Sicuramente un contributo marginare, come quello di ciascuno di noi, ma comunque tangibile.

Avendo compiuto una scelta di campo coerente con i miei valori e i miei ideali, non credo di dovermi vergognare verso alcuno di professarla, di renderla manifesta e di parlarne in pubblico. Penso, in verità, che poco sia meglio dell’impegnarsi e nel dirlo apertamente: odio sotterfugi, segreti e silenzi, penso che alla luce del sole si cresca meglio.
Credo non ci sia nulla di cui vergognarsi nell’occuparsi di politica: è una forma di servizio al prossimo che dà la possibilità di migliorare il proprio paese. Ciò che conta è farlo con correttezza, coerenza, senza travalicare l’educazione e violare il buonsenso, senza dedicarsi alla “conversione” o sfruttare i propri ascendenti in maniera scorretta: parlare, raccontare, spiegare, semmai suggerire e proporre.

Dopo le elezioni racconterò la mia scelta. Fuori dai silenzi di legge, fuori dalla bagarre elettorale fuori dalle contestazioni che potrebbero nascere (ma chi mi conosce già sa cosa ho votato e con chi mi sono apertamente schierato). Oggi vi dico che di questa scelta sono contento come mai prima: c’è un progetto e un sogno per il futuro, una narrazione che permette di immaginare un domani migliore e gettare le basi per costruirlo. E c’è una dimensione nuova di partecipazione alla vita politica che non mi sarei atteso solo pochi mesi fa.

E ora si riposa, domani c’è lo scrutinio: è da tempo che il paese non è a un bivio di questa portata, spero che sapremo scegliere per il meglio e allontanarci da uno strapiombo a cui siamo passati pericolosamente vicini. Possibilmente evitandoci un altro ventennio, altri populismi , altre guerre civili e altre politiche liberiste.

 
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Pubblicato da su 24 febbraio 2013 in Diari, Politica, Sproloqui

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Smontiamo Monti


Mi prendo l’onere e l’onore di replicare a questo articolo dell’onorevole Mario Adinolfi su Europa. Credo che il suo pezzo contenga più o meno riassunti tutti i temi centrali sui quali la linea politica della sinistra deve chiarirsi le idee nel prossimo futuro.
Da parte mia, come elettore di centro-sinistra, ho una posizione abbastanza precisa e non mi tiro indietro dal discuterla.Il confronto, soprattutto quando pacato ed educato, credo non possa che portare giovamento a tutti. 

A differenza di quanto scrive Adinolfi, credo che, se il riformismo italiano è quello al quale abbiamo assistito con il governo Monti, sia necessario un sano e forte controriformismo. Le decisioni prese dall’attuale governo sono diametralmente opposte alle esigenze del corpo elettorale della sinistra e, a ben vedere, al Dna stesso di ogni sinistra riformista che, conoscendo l’attuale mondo, voglia allontanarlo a piccoli passi dallo spietato sistema liberista che sembra essersene impadronito.
Credo che la sinistra, se non vuole limitarsi a ottenere una vittoriuccia parziale alle elezione ma se intende governare davvero il paese e dargli una spinta propulsiva, debba invertire drammaticamente la rotta su molti temi rispetto a quanto fatto dal “governo tecnico” che ci sta tutt’ora guidando.

Io penso si possano ridurre i grandi temi di discussione a una manciata, che esporrò puntualmente.
Serve eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione: questo è stato uno stupro alla Carta che sancisce ciò in cui l’Italia crede e ciò a cui le nostre istituzioni tendono. Mi rifiuto di pensare che la spesa – il bilancio – quindi il denaro siano così importanti in quanto tali da governare al posto dell’esecutivo. Perché, con questa modifica, è ciò che può accadere. In nome di un obbligo costituzionale – il pareggio di bilancio – il governo è tenuto a effettuare tagli alla spesa, ivi compresa la spesa su materie sociali che, a mio modo di vedere, deve invece crescere di pari passo al crescere della popolazione. Non possiamo lasciare la gestione della sanità pubblica in mano a esigenze di cassa (o la salute delle persone in mano alla sanità privata). Il centro della nazione non può essere il denaro o i conti pubblici: il centro sono le persone e le loro esigenze. Se serve spendere, si spende.
Serve rivedere la Riforma Fornero in materia pensionistica e, più in generale, di previdenza sociale. Qui ci sono due ordini di problemi. Non possiamo consegnare alla futura povertà chi oggi stenta a trovare lavoro – e ci metto me stesso in mezzo – o chi cercherà lavoro a partire da domani. E neppure è giusto che, terminata la fase produttiva della propria esistenza, ci si debba affidare ai risparmi o alla famiglia: chi lavora merita un’anzianità decorosa perché ha dato molto allo Stato e dallo Stato molto deve ricevere. Ovviamente questo coinvolge anche la modifica delle nuove età pensionabili, inadeguatamente alte, che avranno effetti drammatici: a 64 anni come potremo pretendere che una maestra sia ancora efficace con i suoi bambini, magari dopo quarant’anni dietro la cattedra?
Serve tornare al precedente testo dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, perché, come dice la Costituzione, il lavoro è un diritto e i diritti non si scambiano con il denaro. Il passaggio filosofico pericolosissimo è proprio questo: ceduto su un diritto che è ora divenuto merce, cosa ci impedirà di cedere anche sugli altri?
Credo anche che l’estensione dell’Articolo 18 a praticamente tutti i contratti attualmente esistenti, compresi quelli precari, assieme ad altre misure, possa rendere il lavoro precario meno vantaggioso di quanto oggi è, costringendo di fatto i datori di lavoro a praticare assunzioni a tempo indeterminato. Ma questo è un altro tema ancora.

Non è mia intenzione condannare Monti né il suo governo: semplicemente non ne condivido la linea politica. Apprezzerei moltissimo, invece, che tolga gli abiti del sedicente tecnico (perché tecnico non è stato!) ed entri nell’area politica nel settore di sua appartenenza: il centro-destra liberale del quale incarna i più alti valori e la compostezza morale. Nel dopo-Berlusconi ne abbiamo quanto mai bisogno.

Ciò di cui non abbiamo bisogno, a mio avviso, è una sinistra come quella che dipinge Adinolfi. Non credo proprio ci serva una sinistra che si affanca alle politiche liberali del centro-destra e che rinuncia a difendere i deboli per appoggiare le decisioni forti. Credo, invece, serva una sinistra forte delle sue posizioni che ancora sogni di cambiare un po’ questo sistema e di rendere la società e l’economia al servizio dell’uomo, quando invece oggi accade il contrario. L’esempio più lampante credo sia proprio Matteo Renzi, la cui programmazione è forte di tutte queste linee filo-liberiste che, sinceramente, trovo inappropriate per una vera politica di sinistra (o di centro-sinistra o, al limite, anche solo cristiana).

 
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Pubblicato da su 25 ottobre 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Renzi, ovvero l’antitesi dello scoutismo


Mi sono soffermato sul programma di Renzi già un paio di volte e intendo mantenere la promessa: scriverò anche quel che del suo programma mi è piaciuto e non si tratta di poca roba.
Oggi però scrivo di un’altra cifra distintiva del sindaco fiorentino: lo scoutismo.

Matteo Renzi è cresciuto nell’Agesci. Non lo nasconde, anzi, ne fa motivo di vanto. In questo lo capisco, sono fiero anch’io del cammino scout che ho compiuto, conscio di quanto si tratti di un elemento determinante per la mia formazione personale.
Vorrei oggi soffermarmi su come il programma di Renzi in realtà non sia per niente scout, anzi: spiegherò come le idee portanti del sistema fiorentino, in realtà, stiano agli antipodi dei principi su cui si basa il movimento scout.

L’illuminazione mi è venuta parlando con un “compagno” della mia Comunità Capi: Renzi si basa sul premiare il migliore. Diamolo per consolidato, direi che non c’è nessuna difficoltà a trovare nel programma questa tendenza.
Lo scoutismo non si basa sul migliore! Lo scoutismo fonda la spinta alla crescita sul dare il massimo rispetto alle proprie possibilità.
Il motto dei lupetti – gli scout tra gli 8 e i 12 anni – è “del nostro meglio”: fin da quell’età sono esortati a impegnarsi ai loro limiti, a spremersi, a non fermarsi di fronte a difficoltà e piccoli limiti. Ma è anche loro mostrato come non conti tanto il valore assoluto del risultato finale quanto l’impegno profuso e il rapporto tra il risultato e le potenzialità del singolo.
Ciascuno è misurato rispetto alle proprie potenzialità, senza alcun criterio di valore assoluto.

Lo stesso criterio è adottato lungo tutto il cammino di progressione personale dei ragazzi, una sorta di succedersi di impegni che ciascuno prende, via via più consapevolmente e autonomamente, per migliorarsi.
Lo scoutismo non da premi ai migliori: da premi a chi si impegna di più. E se quello che si impegna di più ottiene un risultato peggiore di quello che, impegnandosi meno ma più dotato, riesce meglio, sarà comunque chi ha profuso maggior sforzo a essere additato per la sua bravura. Per l’impegno, appunto. 

Il motto e la struttura stessa del cammino di crescita non sono due elementi trascurabili: da uno scout mi aspetto che, nella sua azione nella società, quantomeno si ispiri all’approccio scout. Renzi fa l’esatto opposto: propone di premiare i migliori, tralasciando che i migliori non lo sono per bravura loro ma per dono di natura, per pura sorte.
Se può sembrare politicamente una critica leggera, è scoutisticamente un elemento fondamentale: il programma di Renzi è costruito su un principio antitetico a quello su cui noi capi educhiamo i ragazzi – e sul quale è stato educato lui, il che apre a un interessante dibattito sulla reale e profonda efficacia del metodo scout, che ha prodotto gente come Penati e Renzi.

Ovviamente si può sempre sostenere che non sia di rilievo quanto il programma di Renzi sia influenzato dallo scoutismo o aderente ai suoi principi.
Verissimo, se Renzi non facesse continuo riferimento a questo mondo nel definirsi.
Un politico che avvia la sua campagna per le primarie annunciando “prometto sul mio onore…“… beh, allo scoutismo non fa riferimenti vaghi bensì precisi e chiari. A chi conosce questo mondo, è chiara la strizzata d’occhio, la chiamata “alle armi” per l’amico in battaglia.
Il voltafaccia di Renzi, allora, diventa tema politico, perché usa per definirsi un sistema di valori che poi, sistematicamente, rinnega nel programma che vorrebbe delineare la sua opera politica. Questo per un politico è particolarmente grave, decisamente ingannatore e, per chiunque, completamente scorretto. Un po’ come se a capo del partito che chiama a raccolta i voti cattolici ci fosse un divorziato/risposato o come se il leader del partito che si appella al cristianesimo per combattere i “comunisti” fosse amante di orge, corruzione, minorenni, etc.

In Italia siamo abituati così e sono sicuro che il caso di Renzi – sollevato da me, poi, che son nessuno – non farà alcuno scalpore. Chi ha una coscienza, però, ci rifletta bene: ha senso appoggiare un candidato che predica in direzioni diametralmente opposte e non compatibili? Ha davvero credibilità una persona del genere? Può qualcuno che si pone con tale slealtà rispetto al suo elettorato e rispetto ai suoi “fratelli” scout essere un degno rappresentante delle nostre istituzioni?
So che abbiamo avuto cariche pubbliche assegnate a personaggi ben peggiori ma se Renzi intende incarnare il cambiamento… lo sta facendo nel modo peggiore, mantenendo le usanze di un tempo, le menzogne stile DC e PCI, la prassi del politico “moltefacce” che ha fin qui scritto la triste storia della politica italiana.
Se vogliamo un cambiamento, cerchiamolo onesto e leale. Se non lo troviamo, diventiamolo noi.

So che molti scout voteranno Renzi ma il suo programma, lo sappiano, è contrario al nostro approccio educativo e alla visione della società futura che ha la nostra associazione.
Usare lo scoutismo per raccontarsi e tradirne i principi mi sembra l’esito di qualcuno che ha meritato la nostra fiducia ma, poi, l’ha atrocemente delusa.

 
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Pubblicato da su 3 ottobre 2012 in Politica

 

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L’appello dei giuristi


Ne ho parlato qualche giorno fa (Arte della distrazione) per presentare l’argomento e dire la mia; oggi torno sul tema, anche se con brevità, per segnalare la petizione lanciata da dodici giuristi allo scopo di fermare questo stupro della nostra Costituzione.Ne riporto il testo:

Con una inammissibile precipitazione il Senato ha approvato in commissione un disegno di legge di riforma costituzionale che s´intende portare in aula già martedì prossimo. Ma la Costituzione non può essere profondamente mutata senza una vera discussione pubblica, senza che i cittadini adeguatamente informati possano far sentire la loro voce. E´ inaccettabile che la richiesta di partecipazione, così forte ed evidente proprio in questo momento, venga ignorata proprio quando si vuole addirittura modificare l´intero edificio costituzionale. I cittadini, che negli ultimi tempi sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione, non possono essere messi di fronte a fatti compiuti.
Offrendo ad una opinione pubblica offesa da prevaricazioni e prepotenze un´esigua riduzione del numero dei parlamentari, che passerebbero da 630 a 508 alla Camera e da 315 a 254 al Senato, si vuol cogliere l´occasione per alterare pericolosamente l´assetto dei poteri istituzionali (la riduzione dei parlamentari può essere affidata ad una legge costituzionale a sé stante, senza stravolgere la Costituzione). Viene attribuita una posizione assolutamente centrale al Presidente del Consiglio, mortificando il Parlamento e ridimensionando in maniera radicale la funzione di garanzia del Presidente della Repubblica. Il Parlamento è conculcato nelle sue stesse funzioni e nella sua libertà, fino a poter essere sciolto dallo stesso Presidente del Consiglio, nel caso votasse contro una sua legge sul quale fosse stata posta e negata la fiducia. L´intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere attribuisce a quest´ultimo un improprio strumento di pressione e rende marginale il ruolo del Presidente della Repubblica. I problemi del bicameralismo vengono aggravati, il procedimento legislativo complicato. Gli equilibri costituzionali sono profondamente alterati, cancellando garanzie e bilanciamenti propri di un sistema democratico. E ora si propone di passare da una repubblica parlamentare ad una presidenziale, di mutare dunque la stessa forma di governo, addirittura con un emendamento che sarà presentato in aula all´ultimo momento.
I firmatari di questo documento denunciano all´opinione pubblica la gravità di questa iniziativa per i pregiudizi che può arrecare alle istituzioni della Repubblica e si rivolgono a tutti i parlamentari perché rinuncino a portare avanti una modifica tanto pericolosa del sistema costituzionale.

Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Domenico Gallo, Raniero La Valle, Alessandro Pace, Alessandro Pizzorusso, Eligio Resta, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky

Penso che l’analisi dei giuristi sia sufficientemente approfondita da chiarire ogni dubbi; soprattutto è molto più precisa di quanto potrebbe esserlo una scritta da me.
Appoggio l’idea che ci sia urgenza assoluta nel lottare per preservare la Costituzione e il suo impianto democratico, soprattutto in questo momento di crisi. Ancor più, penso che sia fuori luogo che questo parlamento di nominati e non eletti, palesemente sfiduciato dall’intera opinione pubblica, pensi di avere il diritto di elaborare, proporre e approvare una tale modifica.
Che i partiti la mettano a programma per le prossime elezioni e che sia il popolo a valutare; ancor più, che la riforma, approvata dal Parlamento, sia poi sottoposta al voto popolare attraverso un referendum confermativo.

Spero che questo appello sia fatto circolare anche dai (pochi) lettori del blog; nel piccolo di questo pezzettino di rete, spero di collaborare al mantenimento e alla difesa della democrazia nel nostro paese.

E’ quindi possibile firmare l’appello a questo link: più saremo, più influenza avrà questa posizione di difesa della Costituzione.

 
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Pubblicato da su 6 giugno 2012 in Politica

 

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Arte della distrazione


Mentre noi perdiamo tempo a discutere di calciatori-scommettitori, marce e terremoti, loro – quel parlamentino di eletti/nominati che non vuole mollare la presa – cambiano la nostra Costituzione.
Il testo è stato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato e andrà in aula, per la prima lettura, al più presto; nelle intenzioni di ABC c’è proprio l’approvazione entro l’estate, per passare entro fine legislatura alla seconda lettura, possibilmente con oltre i due terzi della maggioranza necessaria per evitare un referendum popolare che li stenderebbe.
Serve, quindi, una mobilitazione di massa per impedire che un gruppo di criminali e incompetenti distrugga il frutto della Resistenza, della Liberazione e della Costituente.

Il testo prevede, insieme a qualche accettabile novità, un numero di porcate indefinibili: vi posto un brevissimo riassunto rinvenuto qua e là in rete.

– ART.56: i deputati sono ridotti da 630 a 508 dei quali otto sono eletti all’estero. Ora gli eletti all’ estero sono 12. L’età per essere eletti alla Camera scende da 25 a 21 anni.

– ART.57: i senatori elettivi sono ridotti da 315 a 254, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

– ART.58: sono eleggibili al Senato gli elettori che abbiano 35 anni. Ora bisogna aver compiuto 40 anni.

– ART. 64: arriva lo “Statuto dell’opposizione”. I regolamenti parlamentari “garantiscono i poteri di Governo e maggioranza nonchè i diritti di opposizioni e minoranze”.

– ART. 69: deputati e senatori “hanno il dovere di partecipare ai lavori dell’Assemblea e delle Commissioni”.

– ART.70: si elimina l’avverbio “collettivamente” quando si afferma che “la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere”. Da notare che seppure una formalità, questo potrebbe essere il primo passo necessario per superare il bicameralismo perfetto.

– ART.72: cambia il bicameralismo: 1) i ddl riguardanti la legislazione concorrente tra Stato e Regioni e le materie di cui all’art. 119 della Carta sono assegnati al Senato, gli altri alla Camera. 2) Per il varo di una legge basta il via libera della sola Camera cui è assegnata, ma l’altro ramo del Parlamento entro 15 giorni può “richiamare” un testo per modificarlo (ha 30 giorni di tempo per farlo). Il testo modificato diventa legge se la Camera che l’ha deliberato per prima, con un “silenzio assenso”, non decide a sua volta di “richiamarlo”. 3) rimane il bicameralismo perfetto in materie come quella costituzionale ed elettorale, di bilanci e consuntivi e quando sia prevista una maggioranza speciale di approvazione. 4) Presso il Senato è istituita la commissione paritetica per le questioni regionali. 5) Il governo può chiedere una corsia preferenziale per un provvedimento che deve esser votato entro un termine determinato e se si sfora, il testo va approvato senza emendamenti.

– ART.73: si modifica la promulgazione d’urgenza con il nuovo bicameralismo. Una legge può esser promulgata nei tempi stabiliti dal Parlamento.

– ART.74: (modifica formale) ridefinisce i poteri di promulgazione del capo dello Stato con il nuovo bicameralismo.

– ART.92: il presidente del Consiglio ha il potere di proporre la revoca dei ministri. Ora può proporne solo la nomina al Capo dello Stato.

– ART. 94: è il presidente del Consiglio, e non il governo, che deve avere la fiducia delle due Camere. Prevista la mozione di sfiducia costruttiva: deve contenere la indicazione del nuovo Presidente del Consiglio e va approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due Camere. Se la fiducia viene negata, il presidente del Consiglio incaricato può chiedere lo scioglimento delle Camere o di una sola di esse a meno che il Parlamento in seduta comune, entro venti giorni dalla richiesta di scioglimento, indichi a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri.

– ART. 126: si tratta di una modifica formale sui poteri di scioglimento del capo dello Stato degli enti locali che prevede la consultazione della commissione sulle Regioni.

La rottura dell’equilibrio istituzionale penso sia ovvio; anziché andare verso l’unica direzione saggia – un indebolimento delle deleghe legislative a carico del governo, semplificando l’iter legislativo delle Camere e dando loro effettivo potere – il provvedimento distruggerebbe gli assetti attuali mettendo nelle mani del Presidente del Consiglio non solo la possibilità di revocare i ministri (rimuovendo, nel contempo, il legame di fiducia tra il governo e il parlamento, mantenendolo solo per la presidenza stessa) ma anche quella di richiedere lo scioglimento delle camere in caso non trovino un suo sostituto. Una buffonata degna del peggior Berlusconi, insomma, che raccoglie il peggio di ciascun sistema istituzionale presente sul globo.
Degno del nostro parlamento.

L’idea veramente geniale è l’approvazione da parte di un parlamento delegittimato – chi ancora vuole questa gente al potere? – con una maggioranza costruita ad arte e in grado solo di preservare i suoi stessi interessi.
Se ci si lamenta – a ragione – dell’antipolitica di Grillo, questo è ancora peggio. Urge, allora, che gli italiani si facciano sentire: se sappiamo scendere in piazza per uno scudetto o per festeggiare una vittoria della nazionale, dobbiamo saperlo fare anche in queste occasioni.
Non lasciamo passare sotto silenzio, come loro vorrebbero, questo stupro della Costituzione: non facciamoci distrarre e depistare da piccole boutade, dalla “sospensione del calcio” al “battere euro” che ci stanno proponendo in questi giorni.
La sovranità, dopotutto, appartiene al popolo, non certo a questi truffatori: mai come oggi serve che il peso popolare si faccia sentire, non solo in vista di una seconda lettura ma ben prima, in modo che ci sia tutto il tempo per attivare quelle azioni fondamentali per arginare una crisi democratica senza precedenti nella storia repubblicana.

L’ultima imponente modifica alla struttura dei poteri ha portato al fascismo: povertà, dittatura, assenza di diritti, guerra, leggi razziali. Questi i frutti che dovremmo ricordare.
Allora, per una buona volta, impugniamo i nostri diritti e la nostra volontà e facciamoci sentire. E diamine!

 
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Pubblicato da su 3 giugno 2012 in Politica

 

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Lo spiraglio della partecipazione


Non credo che il successo del Movimento Cinque Stelle a Parma sia una vittoria dell’antipolitica, come non lo credo della sfiducia nei confronti degli attuali partiti. Penso, invece, che si tratti di uno spiraglio di vera politica, incarnata nell’impegno sano e genuino di alcuni cittadini e nella noia verso le arcaiche forme partitiche di altri.
Nascondersi dietro l’astensione, che invece dovrebbe essere un ulteriore sintomo su cui riflettere, non può che depistare la riflessione all’indomani del voto amministrativo italiano.

L’antipolitica, semmai, risiede proprio nell’astensione di chi crede, rassegnato, che la politica non abbia più niente da dire: significa, essenzialmente, che non si riesce a immaginare un modo diverso di fare politica. Io, che ho memoria di uno stile esteticamente diverso – la “Prima Repubblica” – e che vorrei vederne un altro ancora all’opera nell’Italia di domani, mi sento in dovere di spiegare a molti che la politica che abbiamo vissuto negli ultimi vent’anni, politica spesso non lo è stata.

Sicuramente il cancro berlusconiano è stato un elemento importante nella costituzione dell’attuale sistema e della sua crisi. Non mi riferisco, ovviamente, soltanto alla coalizione politica radunata attorno al “papi” e tenuta assieme, in assenza di idee e ideologie, dalla brama di potere: penso soprattutto alla mentalità commerciale, di basso livello, “caciarona” costruitasi a partire dalle sue reti televisive e oramai imperante il tutto il paese. Non è una questione di moralità, si faccia attenzione: ben prima di preoccuparsi delle ragazze seminude in Tv, bisogna interrogarsi sul motivo per cui sono lì. Le menti si sono decisamente addormentate e sono state così addomesticate a un livello di discussione e pensiero preoccupantemente basso: una sorta di terapia dei “piccoli passi”, vincente nell’assicurare al Nano il potere per un ventennio, distruttivo per il futuro del paese, considerando anche che dalla sinistra e da tutti gli altri è stato seguito sul medesimo campo d’azione. Proprio la sinistra, infatti, che avrebbe dovuto denunciare e contestare con forza quest’azione di svuotamento valoriale del fare politica, s’è ridotta ad agire con strumenti perlopiù analoghi, spettacolaristici, vuoti di contenuti.
Ho creduto nel progetto del Pd ma ne esco oggi fortemente deluso: già l’inserimento di Radicali – partito secondo in follia solo alla Lega Nord – nelle liste delle ultime politiche mi ha tenuto lontano dal crocettarli, l’attuale situazione mi tiene lontano dal considerare qualsiasi collaborazione, o quasi.

E così si è giunti a una crisi radicale senza che la grande maggioranza del paese se ne accorgesse, mentre una manciata di persone più lungimiranti attendevano speranzose questo momento; ovviamente non si tratta di un passaggio indolore, giacché coincide con un’epocale crisi economica. La scossa serviva e doveva essere catalizzata da grossi problemi, purtroppo, non ce ne saremmo mai accorti in altre condizioni.

Servono, allora, ricette per il domani: dovranno essere sperimentali, per forza. Chi si presenterà sostenendo di avere tutte le risposte e tutte le soluzioni sarà un mentitore. D’altra parte, dovremo fidarci di chi vorrà indicare una strada e invitarci a intraprenderla, per costruire le soluzioni assieme.
I referendum del 2011 ci hanno dimostrato, dopotutto, che la democrazia partecipata ha possibilità di rivelarsi vincente: coltiviamola. Come è indispensabile coltivare una nuova moralità politica, che dia speranze e garanzie a chi vota. Non possiamo permettere che la democrazia collassi sotto i colpi del facile populismo degli estremi, dopotutto, come rischia di accadere in Grecia.

Che partecipazione sia, allora: senza andare a rifiutare le ideologie, però, perché un disegno generale entro il quale orientarsi serve. Credo, anzi, che sia fondamentale. Lasciamo che prenda forma, quindi, e che possa aiutare gli italiani.
Dal canto mio qualche idea – rifiuto del liberismo, uguaglianza sociale reale, attenzione ai deboli, spinta sul welfare – ce l’ho e intendo gettarla nel grande calderone, aiutandola a emergere. Questa è l’ora di infilare i guanti e mettersi al lavoro.

 
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Pubblicato da su 21 Maggio 2012 in Politica, Teoria

 

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Idee democratiche del Senato


Da una discussione su Facebook è emerso un interessante decalogo di linee guida dei senatori forgiato allo scopo di tenere la rotta nel presentare emendamenti all’imminente manovra finanziaria bis (sperando non ci sia una ter). Dico interessante perché nel marasma generato dalle proposte e controproposte del Governo questo documento è quasi un’isola di pacata serenità e, strano a dirsi, competenza.
Non è immune da errori, sia mai, ma presenta quantomeno l’intenzione attiva di non ledere gli interessi della grande maggioranza degli italiani, bensì di tutelarli, possibilmente colpendo chi da anni si arricchisce sulle spalle dei lavoratori.Vorrei farne un’analisi attenta e dettagliata, ma non credo sia questo il luogo per sviluppare certi temi. Semmai, se davvero volete discuterne, ditemelo e provvediamo…
Mi limito, quindi, a un gioco semplice e diretto: parliamo di SI e NO rilevanti, ovviamente premettendo un enorme secondo me!

Trovo buona parte delle proposte ampiamente condivisibili, più della manovra originale, quantomeno. In materia di evasione fiscale mi trovo ogni giorno più draconiano – fosse per me, l’avvocato che evade andrebbe espulso dall’ordine, permanentemente – e vedere che anche il PD sarebbe intenzionato a misure serve su questa materia rincuora; certo, il problema non è solo l’evasione ma anche l’eccessiva tassazione, ma credo che un adeguato regime di controllo (e di punizione) possa aiutare a recuperare imponenti cifre tali da ridurre la tassazione complessiva, soprattutto su chi meno ha. Sicuramente su questa via deve essere perseguito il sentiero dell’abolizione dei privilegi per i datori di lavoro che assumono a tempo determinato: uscire dal lavoro precario è fondamentale, quasi quanto l’eliminazione dell’evasione fiscale. Mi si dice che tassare il lavoro è insensato e che si dovrebbe tassare il patrimonio: posso concordare, in parte, ma si tratta solo di spostare il problema, come ben sappiamo. A mancare, in materia di evasione/elusione è più l’idea che quelle tasse ci tornino come servizi che altro. Non aiuta, ovviamente, la scadente qualità dei servizi stessi. Purtroppo le norme di questo genere e quelle sul falso in bilancio – o sulla giustizia – sono destinate ad arenarsi contro la strenua resistenza del PdL. Dal partito che detiene il record di leggi incostituzionali, tutte emesse per difendere gli interessi di una singola persona, un passo indietro è impensabile. Sarebbe come obbligarli a non essere più liberisti: già, vero, non lo sono… ma ogni tanto provano a fingere.
Mi piace moltissimo, al riguardo, la protezione dell’indipendenza delle parti sociali. Certo, alcune parti sociali di questi tempi hanno dimostrato che questa protezione – questa indipendenza – proprio non se la meritano; assistere a sindacati che si svendono a una maggioranza per fini che sono completamente opposti alle esigenze dei lavoratori è stato avvilente per chi è stato cresciuto da un sindacalista da lotta operaia, ancor più avvilente quando il peggior sindacato si dimostra essere proprio quello sostenuto /(in passato) da tutta la famiglia. Tuttavia trovo giusta l’idea e trovo essenziale metterla in pratica: la capacità di arginare il “ceto patrodale” (mi si perdoni l’improprio marxismo) è quantomai urgente e pressante, se vogliamo evitare la deriva liberista assoluta. Francamente faccio a meno di Reagan.

Non sono convinto dai passaggi sui taglia alla politica; non che li trovi sbagliati nella loro essenza o nei loro principi, ma la realizzazione mi lascia… interdetto.
Sinceramente credo che, più che ridurre la rappresentanza, sia opportuno ridurre i benefici di questa rappresentanza. Dimezzare i parlamentari è un’azione che trovo francamente stupida, perché gli italiani son sempre di più e devono essere debitamente rappresentati. Forse 630 + 315 sono troppi, ma 500+250 mi sembra un buon compromesso. Riducendo stipendi, diarie, benefit di varia origine e sconti al ristorante, magari. Riguardo gli enti locali, ho idee un po’ confuse sull’utilità delle provincie: non riesco a decidermi. Forse manterrei la mia idea originale: abolirle per quel che riguarda lo stato, lasciando alle regioni la libertà di organizzarsi al loro interno in provincie, se lo ritengono opportuno. Ovviamente a loro spese.
Le liberalizzazioni, poi, mi trovano francamente contrario. Quasi completamente. Non è privatizzando e liberalizzando i servizi che si fa il bene del cittadino. Semmai è garantendo una severa partecipazione e supervisione statale – con garanzie di rientro delle spese – nei servizi essenziali che si ottiene uno stato sociale completo e non limitato a certi settori d’intervento. Abbiamo visto le liberalizzazioni fin qui compiute in Italia dove ci hanno condotto: a costo di passare per stalinista, mi trovo contrario e, anzi, proporrei un maggior intervento statale. Non di soli tagli deve essere fatat una manovra ma anche di interventi mirati per ivnestire debitamente il denaro.

Ci sono poi alcune cose che secondo me mancano del tutto. Mancano alcuni tagli ad aree secondo me sopravvalutate – la difesa, per cominciare – e francamente rinunciabili. Una revisioni profonda del sistema di immigrazione, per esempio l’abolizione del disumano reato di immigrazione clandestina, aiuterebbe a tagliare spese di rimpatrio e di gestione dei flussi. Mandare a quel paese la Bossi-Fini ridurrebbe anche il tasso di delinquenza tra gli immigrati, fornendoci ulteriori risparmi. Ovviamente sono misure indirette, difficili da quantificare, ma forse più efficaci di tanti interventi diretti in materia economica. La lotta al lavoro nero – che potrei aver perso tra i passaggi, l’ora è tarda – è un’altra materia fondamentale, che si affianca alla lotta contro l’evasione. Se vogliamo uno stato più giusto, oltre che con i conti in ordine, non possiamo farne a meno. Son tutti capaci a far tornare i conti con una politica liberale…
Analogamente penso sia opportuno porre un tetto alle retribuzioni dei manager nelle società statali e partecipate, come vietare la presenza multipla in più CdA – a meno che uno non rinunci a tutti gli stipendi, tranne uno. La cumulatività di cariche milionarie davvero non ha alcun senso in questa situazione economica. Non è che dobbiamo proteggere gli imprenditori: dobbiamo esortarli a fare il loro dovere come tutti gli altri cittadini. Pagando le tasse. Poi andiamo a togliere fondi a Istruzione, Università e Ricerca (sarà che anche loro odiano la Gelimini o solo che non sa fare il suo lavoro?)… e pretendiamo che il paese funzioni!

Questa credo sia la chiave delle rotte che la sinistra deve proporre, oggi e domani: non una lettura economica della realtà e una meccanica ricerca di fondi/tagli, aderendo appieno al sistema economico internazionale. Dobbiamo lottare per un’economia che sia socialmente sostenibile e che non faccia ricadere i tagli sul wellfare state e le spese sui cittadini comuni. A tratti, sentendo qualche intervento dal PD, mi sembra di trovarmi in un incubo thatcheriano. Eppure l’ultima volta che ho controllato, il PD era a sinistra…
Poi passo per il comunista che non sono, ma dal mio angolino democristiano (cristiano-sociale?), queste mi sembrano le chiavi di volta dell’intervento veramente sociale che dobbiamo guidare. Non sono nemmeno un po’ liberista, mi spiace; credo che i lettori affezionati l’abbiano capito… e no, non sono neppure favorevole a discorsi come “se ho guadagnato tanto, merito di tenermeli”, perché probabilmente quel guadagnare tanto è stato ottenuto calpestando altre persone, meno fortunate o meno abili. E questo, nella misura in cui avviene nell’Occidente contemporaneo, non deve essere tollerato.

Prima di chiudere, vorrei sottolineare un passaggio che mi ha colpito veramente, non mi aspettavo di trovare qualcosa del genere in un vero documento politico. Ve lo cito: Soltanto un governo politico dell’area euro per lo sviluppo sostenibile e la gestione comune dei debiti sovrani, secondo le proposte elaborate dai partiti progressisti europei.
Può voler dire tutto e niente, questo è certo, ma l’idea che qualcuno pensi all’Europa come possibile via di uscita da questa pessima situazione globale è quantomeno rinfrancante. Mi sento meno solo nel cullare progetti – utopici – di reale integrazione dell’Unione. Forse, dopotutto, non sono l’unico a pensare che la nostra sola carta di uscita da un degrado incipiente per tutta l’UE sia una vera integrazione politica.

Penso che questo breve articolo dica molto poco; è soprattutto uno sfogo in questi giorni di difficoltà e tensione, apprensione per il futuro. Eppure… eppure bisognerebbe fare qualcosa! Stiamo assistendo perlopiù impotenti allo sfascio di un paese dovuto all’incapacità oggettiva dell’elité dirigente, il tutto ipnotizzati dallo sciopero dei calciatori o da efferati omicidi sapientemente posti in prima pagina per anni allo scopo di distrarci da ciò che avveniva nella realtà. Forse è l’ora di prendere il paese per le redini, prima che queste redini sfuggano del tutto e ci si ritrovi in mezzo alla steppa, appiedati. Ci mancano solo i khamort…

 
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Pubblicato da su 1 settembre 2011 in Politica, Sproloqui

 

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Bentornata democrazia




Quorum raggiunto.
La vittoria schiacciante del SI non era certamente in bilico, il dubbio era semmai se si sarebbe raggiunto il quorum. Dubbio evaporato probabilmente già domenica sera, quando alle urne era andato oltre il 40% degli aventi diritto, ma rimasto nell’aria fino a ieri alle 15.00, quando si è capito che l’Italia stava cercando di scrivere una nuova pagina della sua storia.

Che fossimo a una svolta storica della democrazia italiana, ce ne siamo accorti tutti noi membri dei seggi elettorali già domenica mattina alle 8.10. Sinceramente non ricordo un’affluenza così immediata e sentita a una tornata elettorale. Certo, le elezioni politiche raggiungono l’80% degli aventi diritto ma sono anche un caso del tutto a parte. Noi abbiamo chiuso al 65% e per alcune regioni questa è un’affluenza da amministrative.
Benissimo così.

Nei prossimi giorni molti incominceranno a discutere su chi abbia vinto questo referendum; al di là dell’ovvia vittoria dei SI abrogativi, questa è stata una vittoria della democrazia e dell’Italia, del suo popolo.
Della democrazia perché finalmente, dopo anni di coma (cit- Travaglio), il referendum popolare ha ripreso vita. L’ha fatto nonostante i beceri tentativi di boicottaggio da parte di molte forze politiche e degli esponenti del governo – un tentativo vergognoso che andrebbe criminalizzato e punito penalmente, a mio avviso – che sono giunti anche alla menzogna sistematica sulle cinque reti televisive di regime. Nel bailamme Rai, quel che è ridicolo è che se voglio trovare dell’informazione oggettiva del rifarmi a un privato, La7, vera piazza multicentrica dell’Italia che pensa. Grazie Silvio!
L’ha fatto nonostante la fortissima politicizzazione dei partiti del centro sinistra che, non sempre loro promotori, questa volta li hanno sfruttati per veicolare la marea antiberlusconiania. Era un rischio grossissimo perché poteva spingere alcuni elettori – sensibili ai temi in discussioni ma favorevoli al governo (poveri illusi) – a non recarsi alle urne. Ora Bersani festeggia… ma dovrebbe abbassare la cresta. Il merito del referendum, se vogliamo darlo a un partito, è soprattutto dell’Italia dei Valori.
L’ha fatto nonostante il paese si fosse disaffezionato al referendum, troppo inflazionato in passato grazie a un’opera barbina dei Radicali che hanno sottoposto a referendum qualsiasi cosa, anche le norme sulla gestione dei gatti del Quirinale.
Dell’Italia perché ha riaffermato la sua volontà sulla politica; è stato un voto del popolo e non dei partiti. I referendari sono riusciti a esprimersi anche all’interno di quelle forze politiche che hanno osteggiato il referendum proprio perché i temi non erano distanti o insensati ma perfettamente integrati nella sensibilità italiana di oggi. Certo, poco ci vuole a trascinare sul carro dei vincitori anche la solita partitocrazia arrivista, di cui Bersani è un ottimo rappresentante, ma oggi dobbiamo gioire per ben altro. Tuttavia il ritorno a un referendum valido, nonostante le menzogne mediatiche e governative, è un successo da ascrivere interamente a un risveglio italico.
Indubbiamente c’è ancora molto lavoro a compiere; il pericolo di un ritorno di Berlusconi per le prossime elezioni è più vivo che mai, non ce ne siamo ancora liberati. L’Italia è ancora piena di ciechi e sordi disposti a votarlo o a votare un partito membro della sua coalizione, probabilmente parliamo di più di quindici milioni di persone coinvolte. Purtroppo non hanno ancora sviluppato senso critico – e dubito possano farlo, visto che non parliamo di quindici milioni di bambini – e anche l’Italia ha la sua fascia di voti buttati in forze politiche senza senso. Il PdL ne è sicuramente il principe. Ma l’espressione democratica resta.

Bentornata, dunque, democrazia: bentornata tra noi, in Italia. Adesso, però, viene il difficile: farla restare. Per ottenerlo bisognerà respingere i canti delle sirene del Nano, mantenere alto il livello politico della sinistra, proseguire sulla via della democrazia interna (cfr Primarie…).
Berlusconi ha rovinato per troppo tempo l’Italia, ora che anche alcuni dei suoi elettori – quelli meno ciechi – si stanno svegliando, dobbiamo fare l’ultimo sforzo per completare l’opera, a partire da una nuova legge elettorale che veramente consenta all’Italia di essere rappresentata (e che formi una maggioranza reale manifestazione della maggioranza degli italiani… senza premi e furti che mandino al governo forze votate dal 30% degli elettori (cfr. politiche 2008)!).
Questo passo è stato compiuto, mettiamoci al lavoro per compiere i prossimi; la corsa è ancora lunga e gli animali feriti sono i più pericolosi, non tutti restano adagiati sul fondo valle a farsi calpestare dalle mandrie. All’opera, democratici di destra, sinistra e centro: riprendiamoci il nostro paese!

 
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Pubblicato da su 14 giugno 2011 in Politica

 

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