L’argomento ha fatto la sua comparsa a una cena di redazione, chiacchierando della validità giornalistica di testate come Il Giornale, Il Foglio o Libero, ampiamente schierate dalla parte dello Psiconano. A tavola, è nato il paragone con testate analoghe ma speculari – Repubblica e il Fatto, soprattutto – e su come, stando all’apprezzamento dei lettori, l’informazione di parte piaccia parecchio agli italiani. Siamo un popolo, è stata la conclusione, a cui piace sentirsi dire ciò che si desidera, leggere pareri confortanti e coerenti con le nostre posizioni. Non a caso a me Avvenire piace.
Premettendo che non ritengo opportuno porre sullo stesso livello morale le posizioni schierate di Repubblica e del Fatto – posti a difesa della legalità e della Costituzione – di fronte a quelle moralmente insipide, quando non scorrette, delle testate filoberlusconiane – che appoggiano e difendono comportamenti immorali e illegali – sono dell’idea che, tecnicamente, sempre di informazione “parziale” si parli.
Parziale nella doppia accezione: sia connessa a una “parte” ideologica-politica-filosofica, sia non completa, quasi settoriale. Non necessariamente un male, superato il primo dubbio, perché quantomeno non celata e, anzi, a lungo sbandierata. Dopotutto, scrivere esponendo le proprie idee è virtuosismo e responsabilità, finché si pone attenzione a fornire comunque un servizio d’informazione.
E qui, forse, caschiamo male sotto molti punti di vista…
Certa informazione che andiamo a leggere, infatti, non è informazione propriamente detta, solo trasmissione di dati che confermano una tesi già insita nel lettore. Succede così che l’italiano preferisca leggere qualcosa che vada incontro non solo ai suoi canoni estetico-letterari, ma anche alle sue idee riguardo l’argomento del testo. Se questo dal punto di vista del semplice piacere letterario è lecito, sorge il dubbio che possa anche divenire pericoloso qualora il lettore si affidi esclusivamente a fonti parziali e tra loro unidirezionali: così facendo si troverebbe non solo a confermare le proprie opinioni di base – i propri sacrosanti pregiudizi, direbbe Popper – ma non avrebbe possibilità di analisi critica della realtà, composta a prescindere dall’osservatore da una miriade di sfaccettature caratteristiche e non sintetizzabili divergenze. Continuando a filosofeggiare sul filone austriaco-ebraico, potrei dire che l’informazione univoca impedisce la critica del senso comune; se comunque ci basiamo sui nostri pregiudizi – intesi come “punto di partenza” – è fondamentale che questi affrontino la prova dei fatti. Tradotto nel campo dell’informazione, non potendo andare ciascuno di noi a verificare in loco gli eventi, sarebbe opportuno ricevere multiformi input pluridirezionale, sicché li si possa analizzare e se ne possa trarre un complesso tutto sommato coerente.
Qui si inserisce un ulteriore problema, ma diventa opinione personale: penso che la maggior parte dell’informazione di parte non sia adatta, da sola, a fornire una visione sufficientemente aperta della realtà. Me ne accorgo leggendo articoli sul medesimo argomento – quando si tratta di argomenti scottanti, su cui è necessario schierarsi – tratti da testate divergenti; vuoi per la bravura degli autori, vuoi per la confusione, vuoi per l’abilità nel celare, mancano sempre ingranaggi fondamentali per effettuare la dovuta critica al dato che giunge.
Diventa così importante trovare quantomeno qualche dato “meno spurio”: ovviamente l’imparzialità è impossibile, lo insegnano anche a noi storici. Quando qualcuno si mette dietro una tastiera, in un modo o nell’altro lascia trasparire parte del suo pensiero, anche se sta raccontando la cronaca del derby a poker tra seminari vescovili (garantisco che l’immagine di giovani seminaristi che puntano toghe e stole mi ha per un attimo terrorizzato). Alcuni, però, sanno farlo con contegno, altri scadono nel ridicolo o nell’eccesso.
Difficile è oggi procurarsi queste fonti che, pur non essendo neutrali, forniscono quel tanto che basta di imparzialità da poter usare la testa – la propria – per formarsi un’opinione il più possibile indipendente; una teoria da mettere alla prova dei fatti, direbbe ancora Popper.
Qual’è il problema sociale, allora? Non la mancanza di informazione “neutra”, credo sia chiaro. Il vero allarme è l’assenza di richiesta di questo tipo di informazione.
All’Italiano medio va benissimo leggere le avventure smutandante di Berlusconi attraverso gli occhi di Padellaro o di Feltri, basta che appoggi l’opinione iniziale del lettore. E ammetto di caderci con sommo piacere anch’io, a volte; salvo, spero, riscattarmi quando transito dal “piacere” della lettura alla “richiesta d’informazione”.
Significa, davvero, che è in corso una sorta di anestesia generale delle coscienze, giusto per citare Travaglio (uno neutrale, insomma); anestesia che si trasforma, con il tempo, nell’assenza di reale richiesta di informazione.
Forse è il nostro tempo: manchiamo di certezze e ci rifugiamo nelle conferme delle piccolezze che ci circondano. Probabilmente questo atteggiamento è l’estremo approdo del relativismo, quello stesso relativismo che ci tiene fuori dalle chiese o che ci rende abbastanza inerti di fronte agli orrori sociali, compiuti a turno a Berlusconi/Monti/Bersani o chi per loro.
Sicuramente è una resa del nostro intelletto; nel momento in cui scegliamo di non cercare più la verità, pur sapendo che non è certo scritta su un giornale e, per la cronaca, la politica, lo sport, l’economia, la storia, non esiste, lasciamo che sia solo il nostro pregiudizio a dirci come agire. L’assenza di ragione critica è allora il vero male del nostro tempo, che lascia agire il relativismo del “tanto va tutto bene”.
E no, non è un rinnegare l’anything goes di Feyerabend, anzi: è andarlo a confermare con forza! Perché niente va sempre bene, tutto va bene a seconda del caso. Bisogna saper scegliere quale strumento impiegare, certi che ciascuno strumento troverà, prima o poi, il suo giusto impiego.
Avevo promesso post più corti, oggi ho fallito; però credo che chi ci è arrivato fino in fondo si sia goduto uno dei pezzi più… onirici che abbia mai scritto. Ma, a mio parere, anche uno dei più significativi.
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