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Archivio mensile:ottobre 2012

Smontiamo Monti


Mi prendo l’onere e l’onore di replicare a questo articolo dell’onorevole Mario Adinolfi su Europa. Credo che il suo pezzo contenga più o meno riassunti tutti i temi centrali sui quali la linea politica della sinistra deve chiarirsi le idee nel prossimo futuro.
Da parte mia, come elettore di centro-sinistra, ho una posizione abbastanza precisa e non mi tiro indietro dal discuterla.Il confronto, soprattutto quando pacato ed educato, credo non possa che portare giovamento a tutti. 

A differenza di quanto scrive Adinolfi, credo che, se il riformismo italiano è quello al quale abbiamo assistito con il governo Monti, sia necessario un sano e forte controriformismo. Le decisioni prese dall’attuale governo sono diametralmente opposte alle esigenze del corpo elettorale della sinistra e, a ben vedere, al Dna stesso di ogni sinistra riformista che, conoscendo l’attuale mondo, voglia allontanarlo a piccoli passi dallo spietato sistema liberista che sembra essersene impadronito.
Credo che la sinistra, se non vuole limitarsi a ottenere una vittoriuccia parziale alle elezione ma se intende governare davvero il paese e dargli una spinta propulsiva, debba invertire drammaticamente la rotta su molti temi rispetto a quanto fatto dal “governo tecnico” che ci sta tutt’ora guidando.

Io penso si possano ridurre i grandi temi di discussione a una manciata, che esporrò puntualmente.
Serve eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione: questo è stato uno stupro alla Carta che sancisce ciò in cui l’Italia crede e ciò a cui le nostre istituzioni tendono. Mi rifiuto di pensare che la spesa – il bilancio – quindi il denaro siano così importanti in quanto tali da governare al posto dell’esecutivo. Perché, con questa modifica, è ciò che può accadere. In nome di un obbligo costituzionale – il pareggio di bilancio – il governo è tenuto a effettuare tagli alla spesa, ivi compresa la spesa su materie sociali che, a mio modo di vedere, deve invece crescere di pari passo al crescere della popolazione. Non possiamo lasciare la gestione della sanità pubblica in mano a esigenze di cassa (o la salute delle persone in mano alla sanità privata). Il centro della nazione non può essere il denaro o i conti pubblici: il centro sono le persone e le loro esigenze. Se serve spendere, si spende.
Serve rivedere la Riforma Fornero in materia pensionistica e, più in generale, di previdenza sociale. Qui ci sono due ordini di problemi. Non possiamo consegnare alla futura povertà chi oggi stenta a trovare lavoro – e ci metto me stesso in mezzo – o chi cercherà lavoro a partire da domani. E neppure è giusto che, terminata la fase produttiva della propria esistenza, ci si debba affidare ai risparmi o alla famiglia: chi lavora merita un’anzianità decorosa perché ha dato molto allo Stato e dallo Stato molto deve ricevere. Ovviamente questo coinvolge anche la modifica delle nuove età pensionabili, inadeguatamente alte, che avranno effetti drammatici: a 64 anni come potremo pretendere che una maestra sia ancora efficace con i suoi bambini, magari dopo quarant’anni dietro la cattedra?
Serve tornare al precedente testo dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, perché, come dice la Costituzione, il lavoro è un diritto e i diritti non si scambiano con il denaro. Il passaggio filosofico pericolosissimo è proprio questo: ceduto su un diritto che è ora divenuto merce, cosa ci impedirà di cedere anche sugli altri?
Credo anche che l’estensione dell’Articolo 18 a praticamente tutti i contratti attualmente esistenti, compresi quelli precari, assieme ad altre misure, possa rendere il lavoro precario meno vantaggioso di quanto oggi è, costringendo di fatto i datori di lavoro a praticare assunzioni a tempo indeterminato. Ma questo è un altro tema ancora.

Non è mia intenzione condannare Monti né il suo governo: semplicemente non ne condivido la linea politica. Apprezzerei moltissimo, invece, che tolga gli abiti del sedicente tecnico (perché tecnico non è stato!) ed entri nell’area politica nel settore di sua appartenenza: il centro-destra liberale del quale incarna i più alti valori e la compostezza morale. Nel dopo-Berlusconi ne abbiamo quanto mai bisogno.

Ciò di cui non abbiamo bisogno, a mio avviso, è una sinistra come quella che dipinge Adinolfi. Non credo proprio ci serva una sinistra che si affanca alle politiche liberali del centro-destra e che rinuncia a difendere i deboli per appoggiare le decisioni forti. Credo, invece, serva una sinistra forte delle sue posizioni che ancora sogni di cambiare un po’ questo sistema e di rendere la società e l’economia al servizio dell’uomo, quando invece oggi accade il contrario. L’esempio più lampante credo sia proprio Matteo Renzi, la cui programmazione è forte di tutte queste linee filo-liberiste che, sinceramente, trovo inappropriate per una vera politica di sinistra (o di centro-sinistra o, al limite, anche solo cristiana).

 
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Pubblicato da su 25 ottobre 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Produzione propria


Oggi sarò breve e conciso.
Mentre Elsina ci suggerisce di non fare troppo gli schizzinosi, trovo giusto dare un po’ di spazio a una produzione video-giornalistica made in Savona. Parliamo allora di Play&Comics Magazine.

Opera di quattro liguri (Edoardo Bellanti, Elisa Bruno, Alice Corsi, Saverio Iacono) che hanno progettato e realizzato questo video, il video è un pilot, un lancio, per un magazine online che tratterà di giochi e fumetti. E poi ci sono i due geniali conduttori, per quanto la mangosaggine non rientri nei miei gusti.
Non sono un esperto di comunicazione, quindi mi astengo da ogni parere di merito. Quel che segnalo è sicuramente l’iniziativa di un prodotto diverso dal solito, rivolto a un pubblico sicuramente interessato all’approccio tecnologico e, magari, spesso di fretta per sfogliare pagine (anche web) e leggere recensioni, novità e quant’altro.
L’iniziativa merita ulteriore spazio anche per l’intuizione del 3D: anche se questo pilot è un “comune” video, le prossime puntate saranno fruibili anche con la tecnologia che ha reso di successo film come Avatar. E questo è senza dubbio un passo importante: che avvenga a Savona, poi, sembra quasi incredibile, almeno per chi conosce un po’ la nostra città.

Potrei polemizzare con chi sta gestendo questa crisi economica e impedisce l’emergere di talenti, giovani o medi che siano; mi limiterò a lasciarvi in compagnia del video, invece, in modo che possiate gustarvelo e informarvi sulle prossime uscite senza dover ricorrere a peregrinazioni in edicola o attraverso la Rete.

 
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Pubblicato da su 23 ottobre 2012 in Curiosità

 

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Correggendosi…


Mi sono accorto che il pezzo scritto sul Concilio era inefficace. Essenzialmente mancava di anima, di sentimento, di sensazione vera.
Era forzato.
Penso che quello che troverete fra qualche riga sia più vero, più naturale. Forse meno informativo, probabilmente più incompleto. Indubbiamente più mio. L’avevo scritto per un forum ma credo possa andar bene anche sul blog. 
Con le scuse per l’inefficacia iniziale…

Giovedì 11 ottobre 2012. Cinquant’anni fa, un altro giovedì, la storia vedeva scriversi una nuova pagina. 
Era il giorno d’apertura del Concilio Vaticano II.

L’intuizione di Giovanni XXIII – quel papa Roncalli così amato dalla gente, così poco gradito da certi prelati di curia – era quella di convocare un’assise che leggesse i segni dei tempi e rendesse la Chiesa capace di interagire appieno con la contemporaneità. Da tempo, infatti, il linguaggio e lo stile dell’istituzione ecclesiastica rendevano inintelligibile il messaggio di Salvezza affidato da Cristo alla sua Chiesa. Chiusa in un conservatorismo asfissiante, incapace di rapportarsi con le emergenze e le urgenze di un mondo ormai troppo diverso, la Chiesa rischiava di perdere l’aderenza all’umanità che è uno degli elementi fondamentali perché l’annuncio possa riuscire. 
Roncalli giocò la carta del Concilio per smuovere l’intera struttura.

La Curia lavorò alacremente perché il Concilio fosse svuotato dai suoi contenuti: gli schemi predisposti, i testi già discussioni, le costituzioni imbastite. Tutto pensato perché, con un papa già malato, il Concilio fosse celere e si limitasse ad approvare posizioni standardizzate e neutralizzate. 
Ma i Padri Conciliari, guidati dallo Spirito, scompaginarono questa malevola influenza e vollero rivedere tutto da capo, riportare allo commissioni e alle sedute plenarie tematiche che la Curia avrebbe preferito non veder discusse nel Concilio. 
Lo Spirito agisce spesso per vie imperscrutabili ma nel Concilio s’è fatto chiaro attore e partecipe del rinnovamento, donando nuova linfa alla Chiesa. 

Il ritorno di Giovanni XXIII alla Casa del Padre non disarmò il Concilio; certamente la conduzione di Paolo VI fu maggiormente conservativa, eppure i blocchi erano stati tolti. I Padri affrontarono con coraggio le sfide della contemporaneità e le Costituzioni delinearono un’adesione ai principi fondanti della Chiesa insolita da molti secoli: il ritorno ai fondamenti della Tradizioni, alla missione apostolica del popolo di Dio e della Sua Chiesa ha caratterizzato tutti i testi conciliari, lasciando che lo Spirito illumini il cammino della Chiesa per mezzo di essi.

Ma, come sempre, lo Spirito non conclude l’opera: la lascia nelle mani dell’umanità perché cammini. E così molto del Concilio è stato poi disatteso o sviato. 
Una piccola ma tenace e rumorosissima – soprattutto perché sovrarappresentata tra le alte prelature – fazione conservatrice ha cercato per anni di snaturare e svuotare la forza di restaurazione dell’azione divina nella Chiesa operata con il Concilio. 
Eppure i cambiamenti fatti non sono cancellabili: il cammino prosegue

Oggi, cinquant’anni dopo, cosa ci rimane del Concilio? Quali i cambiamenti realmente portanti derivati dal Concilio? Quali le sfide alle quali la Chiesa è chiamata? Come rendere veramente efficaci, fino in fondo, le Costituzioni e i testi conciliari?

 
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Pubblicato da su 11 ottobre 2012 in Il Concilio, Religione, Sproloqui

 

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Cinquantesimo anno


Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II

Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II

Era un giovedì 11 ottobre 1962, un giovedì d’autunno come oggi. Quel giorno si aprivano le speranze situate nei cuori di un miliardo di cristiani. Un gesto coraggioso quello compiuto dal pastore bergamasco, quasi un pretone di campagna asceso al soglio pontificio; incaricato tra le righe dal Conclave di reggere la Chiesa per qualche anno in un pontificato di transizione, Angelo Roncalli seppe leggere quei segni dei tempi che richiedevano una profonda rivisitazione della missione pastorale della Chiesa e dar loro forma con la convocazione del Concilio.
Il pastore cambiò per sempre il corso della nostra storia e dette alla Chiesa gli strumenti per presentarsi con maggior efficacia di fronte alle sfide del XX° secolo.

Cinquant’anni dopo la Chiesa delineata da quel Concilio è ancora lontana dal compiersi. Troppe le paure, troppo rumorose le numericamente piccole resistenze conservatrici, troppo il timore di perdersi nel cambiare pagina.
Siamo ancora troppo spesso una Chiesa immobile, incapace di far vedere all’umanità come la risposta principale sia Cristo. Chi si volta indietro, osservando con bramosia i tempi in cui la Chiesa era padrona delle menti e dei regnanti, perde di vista l’orizzonte storico entro il quale il cristianesimo deve rimanere, soprattutto la Chiesa. Essa è, insieme, la comunità dei credenti e il Corpo di Cristo incarnato nella storia: dimenticando una di queste dimensioni si va incontro allo smarrimento.

Ritornando sull’immobilità e sulla paura, ascoltando i discorsi di chi si dice “tradizionalista”, sembra quasi che nel passato la Chiesa abbia vissuto senza alcuna difficoltà. Eppure, come diceva Giovanni XXIII aprendo il Concilio, “non possiamo tuttavia negare che nella lunga serie di diciannove secoli molti dolori e amarezze hanno oscurato questa storia“. Conosciamo oggi molti dolori, molti errori, molte pecche di questa Chiesa, emerse da quel 1962 a oggi; non dimentichiamo mai gli scandali della pedofilia, coperti da ogni livello ecclesiastico, curia romana compresa. Chi mira alla sola tradizione, facendosi fanatico, dimentica le difficoltà e gli errori, dimentica l’umanità insita nella Chiesa. E dimentica che con il Concilio i passi verso la tradizione apostolica, quella antica di duemila anni, sono stati molto più notevoli che nell’immediato post-concilio tridentino.

Francobollo celebrativo del Concilio Vaticano II

Francobollo celebrativo del Concilio Vaticano II

Il Concilio ha aperto nuove frontiere e qualche spaccatura: d’altronde Cristo “è qui per la rovina e la risurrezione di molti…, segno di contraddizione“. Una contraddizione che impone al cristiano stesso, se egli guarda appieno al mondo che lo circonda, perché il messaggio di salvezza e amore è quanto di più contraddittorio possiamo trovare con l’attuale società.
Eppure il cristiano è chiamato a non fuggirne, anzi: deve operare al suo interno senza mai venir meno al dovere di mostrare Cristo agli altri. Sempre, anche quando la speranza sembra svanire, anche quando non sembra esserci alcuna presenza paterna e fraterna, anche quando nulla ricorda alle nostre menti il Padre.
Contraddittorio anche interno alla Chiesa. Una maggioranza, silente e operosa, dedita a proseguire l’opera del Concilio; una minoranza, rumorosa e molesta, impegnata a smontare lo sguardo ai tempi, a distruggere l’efficacia dell’evangelizzazione, a minare l’annuncio. La Chiesa non è fatta di teologi e cardinali, di prelati timorosi, ma di credenti che si sporcano le mano ogni giorno tra i poveri, gli affamati, i malati, i dimenticati. Come faceva Cristo.
Memori delle Scritture, però, ci ricordiamo che Dio è nella brezza, non nel fuoco, nel terremoto o nel vento.
Quella brezza, ancora, lavora per portare il messaggio cristiano nel XXI° secolo, nonostante le difficoltà.

Delineo, allora, la necessità di lavorare fino in fondo sul mandato conciliare.
Serve un maggior impegno del laicato nella gestione ecclesiastica, a ogni livello. Urge un coinvolgimento di base, come urge un coinvolgimento graduale anche ai più alti livelli. Non c’è alcun bisogno che tutte le cariche della Chiesa siano ricoperte da ecclesiastici – maschi – quando il ruolo presbiterale è ben più importante. Certamente la guida episcopale – il pastore – è fondamentale e insostituibile ma molte svolte possono essere compiute.
Serve un reale confronto con le questioni che riguardano la contemporaneità, a partire dal confronto con i laici, i fratelli cristiani, gli atei, i credenti di altre fedi: fine vita, sessualità, giustizia. Leggere i segni dei tempi, come disse papa Roncalli.
Serve un chiaro impegno sociale della Chiesa, senza mezze vie, senza titubanze, senza intrighi di palazzo. Il cristianesimo deve schierarsi compatto al fianco degli ultimi: bambini, persone senza diritti, disoccupati, malati, donne, perseguitati, carcerati.
Infine, serve un profondo processo di purificazione della Chiesa. Interiore, soprattutto: questioni da affrontare non mancano, modi di fare datati da sostituire neppure.
C’è ancora molta, moltissima strada da fare.

Posso solo dire e sperare, citando Giovanni XXIII: “È appena l’aurora

 
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Pubblicato da su 11 ottobre 2012 in Il Concilio, Religione

 

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Regole certe, non berlusconate


A poche ore di distanza mi trovo a scrivere di nuovo di Matteo Renzi e contorni, pur adottando toni completamente diversi.

Le strutture interne del PD si stanno per esprimere sulle regole che vorrebbero proporre per queste primarie – trattandosi di una questione di coalizione dovranno anche trattare con gli alleati, dopo aver preso posizione – e alcune norme emerse in questi giorni di bozze e idee hanno irritato non poco il giovane sindaco fiorentino.Renzi primarie pd regole

Si tratta di critiche nel merito delle norme proposte e nel merito della genesi di queste norme. Non volendo affrontare propriamente l’argomento delle norme, che non è di mia competenza, mi limito alla loro genesi.
Una genesi che potremmo definire del tutto particolare: se lo statuto prevede che il solo segretario del partito sia candidato a eventuali primarie di coalizione, l’idea di prevedere una deroga, una concessione o un sistema che consenta la partecipazione anche ad altri è emersa da subito, soprattutto in virtù dell’ingombrante presenza di Renzi.
Ci furono voci contrastanti, è ovvio: alcuni erano contrari alla possibilità che qualcuno che non fosse Bersani concorresse per la leadership del centro-sinistra a nome del Pd. Un’idea rispettabile ma sbagliata, intendiamoci: il sistema democratico deve prevedere la massima permeabilità e non si può pensare che un singolo nome, espresso anni addietro dall’assemblea, sia univocamente apprezzabile dall’intero corpus elettorale democratico.Peraltro ammettere da subito che una deroga sia possibile e giusta – cosa accaduta davvero – non consente, in un secondo tempo, di rendere questa deroga inefficace. La lealtà deve essere preposta a tutto, in questi casi, o si perde politicamente la faccia.

Il vero problema emerso in questi mesi è che, per molti, la partecipazione di Renzi alle primarie doveva essere solo una comparsata, necessaria per una verniciata di democrazia a una struttura che, in questi anni, si dimostra più che altro oligarchica.
Se Bersani incarna un establishment ormai datato, di cui si è fatto portavoce e “portaborse attuativo”, Renzi è l’immagine di un cambiamento – finto, come ho scritto ieri, perché anche il fiorentino è viziato della stessa malattia della menzogna dei colleghi d’un tempo – che non può essere soppressa senza ledere fortemente il cammino elettorale della sinistra. E l’Italia – l’Europa – ha ampiamente bisogno della sinistra al governo.

Si è dunque assistito a un balletto di regole che cambiano, di regole in cerca della formula giusta per mantenere l’aspetto della democrazia ma nel frattempo danneggiare Renzi – o chiunque altro si fosse candidato. Regole scelte veramente ad hoc – ad personam, diremmo in altri casi –  con complicazioni spesso manzoniane, il tutto gestito da un apparato di partito particolarmente solidale con l’attuale leader eletto. Insomma, è come se le regole di un gioco fossero cambiate da arbitri indicati da un giocatore, dopo che gli altri giocatori sono scesi in campo.
Abbiamo così assistito alla nascita del registro degli elettori – cosa buona, in verità, per limitare l’influenza dei voti esterni alla coalizione, magari pilotati per danneggiare il rivale – o alla quota di firme per presentarsi, al tetto di voti per provincia, fino al doppio turno.

Mi sembrano segni di terrore da parte del team pro-Bersani: suona davvero come se avessero una paura maledetta di perdere la battaglia. Allora ricorrono allo strumento preferito dal loro Grande Nemico che Fu: barare, truccare la corsa.
Intendiamoci: ciascuna delle modifiche al sistema delle primarie è ampiamente condivisibile: trovo saggio il doppio turno, trovo saggia la registrazione come “supporter” della coalizione, trovo abbastanza saggia la quota di firme per la candidatura.
Trovo inadeguata la tempistica: non si scelgono le regole a campagna avviata e a coalizione incerta. Prima si saldano le alleanze di coalizione, certificandole su un programma-base di linee guida da rispettare a prescindere dal vincitore, quindi si procede con l’elezione del leader (nella speranza che questa stortura istituzionale sia abolita dalla legge elettorale e che si torni a votare per il Parlamento e basta, lasciando a questo e al Quirinale l’espressione dell’esecutivo).
Che questi interventi siano stati realizzati appositamente per danneggiare Renzi o meno, quel che conta è l’impressione che forniscono del Pd: pessima, lasciatemelo dire. Sembra davvero che ci sia un gruppo di potere che non vuole mollare la poltrona e che questo gruppo di potere stia facendo di tutto, slealmente, per restare incollato alla guida del partito.

L’effetto elettorale può essere devastante: il Pd deve (ri)trovare una conduzione pienamente democratica, generata dal basso, condivisa dalla base. L’alternativa è diventare come il PdL: un Vendola primarie sinistra bersani renzi regole selcontenitore di idee senza senso destinato a distruggersi entro breve. 

Per chiudere: spero con tutte le mie forze che Renzi prenda una colossale batosta elettorale e sparisca dal panorama politico italiano al più presto, quindi voterò e sosterrò Vendola. L’Italia ha bisogno di sinistra, sinistra vera, non paraliberismo marchiato con una finta etichetta di sinistra. Servono politiche di sostegno agli strati deboli della popolazione, rinforzi al welfare, tagli a sprechi inutili, un reddito minimo garantito, la distruzione del precariato, la dissoluzione delle riforme di Monti. Renzi a queste cose non pensa, Vendola si. Avrà tutto il mio democratico appoggio.
Pur anti-renziano, però, non potevo tacere sull’errore madornale che sta commettendo il nucleo di potere al centro del Pd. Un conto è la rivalità, un altro è la lealtà.

 
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Pubblicato da su 4 ottobre 2012 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Renzi, ovvero l’antitesi dello scoutismo


Mi sono soffermato sul programma di Renzi già un paio di volte e intendo mantenere la promessa: scriverò anche quel che del suo programma mi è piaciuto e non si tratta di poca roba.
Oggi però scrivo di un’altra cifra distintiva del sindaco fiorentino: lo scoutismo.

Matteo Renzi è cresciuto nell’Agesci. Non lo nasconde, anzi, ne fa motivo di vanto. In questo lo capisco, sono fiero anch’io del cammino scout che ho compiuto, conscio di quanto si tratti di un elemento determinante per la mia formazione personale.
Vorrei oggi soffermarmi su come il programma di Renzi in realtà non sia per niente scout, anzi: spiegherò come le idee portanti del sistema fiorentino, in realtà, stiano agli antipodi dei principi su cui si basa il movimento scout.

L’illuminazione mi è venuta parlando con un “compagno” della mia Comunità Capi: Renzi si basa sul premiare il migliore. Diamolo per consolidato, direi che non c’è nessuna difficoltà a trovare nel programma questa tendenza.
Lo scoutismo non si basa sul migliore! Lo scoutismo fonda la spinta alla crescita sul dare il massimo rispetto alle proprie possibilità.
Il motto dei lupetti – gli scout tra gli 8 e i 12 anni – è “del nostro meglio”: fin da quell’età sono esortati a impegnarsi ai loro limiti, a spremersi, a non fermarsi di fronte a difficoltà e piccoli limiti. Ma è anche loro mostrato come non conti tanto il valore assoluto del risultato finale quanto l’impegno profuso e il rapporto tra il risultato e le potenzialità del singolo.
Ciascuno è misurato rispetto alle proprie potenzialità, senza alcun criterio di valore assoluto.

Lo stesso criterio è adottato lungo tutto il cammino di progressione personale dei ragazzi, una sorta di succedersi di impegni che ciascuno prende, via via più consapevolmente e autonomamente, per migliorarsi.
Lo scoutismo non da premi ai migliori: da premi a chi si impegna di più. E se quello che si impegna di più ottiene un risultato peggiore di quello che, impegnandosi meno ma più dotato, riesce meglio, sarà comunque chi ha profuso maggior sforzo a essere additato per la sua bravura. Per l’impegno, appunto. 

Il motto e la struttura stessa del cammino di crescita non sono due elementi trascurabili: da uno scout mi aspetto che, nella sua azione nella società, quantomeno si ispiri all’approccio scout. Renzi fa l’esatto opposto: propone di premiare i migliori, tralasciando che i migliori non lo sono per bravura loro ma per dono di natura, per pura sorte.
Se può sembrare politicamente una critica leggera, è scoutisticamente un elemento fondamentale: il programma di Renzi è costruito su un principio antitetico a quello su cui noi capi educhiamo i ragazzi – e sul quale è stato educato lui, il che apre a un interessante dibattito sulla reale e profonda efficacia del metodo scout, che ha prodotto gente come Penati e Renzi.

Ovviamente si può sempre sostenere che non sia di rilievo quanto il programma di Renzi sia influenzato dallo scoutismo o aderente ai suoi principi.
Verissimo, se Renzi non facesse continuo riferimento a questo mondo nel definirsi.
Un politico che avvia la sua campagna per le primarie annunciando “prometto sul mio onore…“… beh, allo scoutismo non fa riferimenti vaghi bensì precisi e chiari. A chi conosce questo mondo, è chiara la strizzata d’occhio, la chiamata “alle armi” per l’amico in battaglia.
Il voltafaccia di Renzi, allora, diventa tema politico, perché usa per definirsi un sistema di valori che poi, sistematicamente, rinnega nel programma che vorrebbe delineare la sua opera politica. Questo per un politico è particolarmente grave, decisamente ingannatore e, per chiunque, completamente scorretto. Un po’ come se a capo del partito che chiama a raccolta i voti cattolici ci fosse un divorziato/risposato o come se il leader del partito che si appella al cristianesimo per combattere i “comunisti” fosse amante di orge, corruzione, minorenni, etc.

In Italia siamo abituati così e sono sicuro che il caso di Renzi – sollevato da me, poi, che son nessuno – non farà alcuno scalpore. Chi ha una coscienza, però, ci rifletta bene: ha senso appoggiare un candidato che predica in direzioni diametralmente opposte e non compatibili? Ha davvero credibilità una persona del genere? Può qualcuno che si pone con tale slealtà rispetto al suo elettorato e rispetto ai suoi “fratelli” scout essere un degno rappresentante delle nostre istituzioni?
So che abbiamo avuto cariche pubbliche assegnate a personaggi ben peggiori ma se Renzi intende incarnare il cambiamento… lo sta facendo nel modo peggiore, mantenendo le usanze di un tempo, le menzogne stile DC e PCI, la prassi del politico “moltefacce” che ha fin qui scritto la triste storia della politica italiana.
Se vogliamo un cambiamento, cerchiamolo onesto e leale. Se non lo troviamo, diventiamolo noi.

So che molti scout voteranno Renzi ma il suo programma, lo sappiano, è contrario al nostro approccio educativo e alla visione della società futura che ha la nostra associazione.
Usare lo scoutismo per raccontarsi e tradirne i principi mi sembra l’esito di qualcuno che ha meritato la nostra fiducia ma, poi, l’ha atrocemente delusa.

 
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Pubblicato da su 3 ottobre 2012 in Politica

 

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Di cani e di persone


L’input è nato da questo articolo. Non solo, ovviamente, era una riflessione sorta già durante altre dibattiti a cui ho assistito, con analoghe divergenze di giudizio rispetto al maltrattamento di persone o di animali.

Viviamo in un mondo a più velocità, ne siamo ormai tutti consci. La divergenza nel rapportarsi con le persone o con gli animali, però, ogni tanto mi lascia particolarmente perplesso.
L’esempio del cane e della velina credo sia emblematico: le associazioni animaliste, che poi spesso si dimostrano una lobby insensata, si sono immediatamente inalberate alla notizia della soppressione del cagnolino e hanno ricevuto buona visibilità mediatica. Dall’altra parte, per fare un esempio, l’attenzione mediatica per i numerosi casi di “favori sessuali” nel mondo dello spettacolo o della moda ormai non solletica più alcuna fantasia.
Uccidere il proprio cane – violento – rende indegni per la Tv, andare a letto con il regista no.

Potrei citare casi più vicini a noi, casi di senzatetto e aree canine.
Credo che questa discrasia di trattamento sia indice di una certa confusione valoriale che attanaglia il nostro mondo. Dopotutto in certi ambiti – spettacolo incluso – ricorrere all’aborto per “liberarsi” di una gravidanza non desiderata è strumentalmente accettato, addirittura comodo, e si può estendere il concetto alle vessazioni subite dalle donne in carriera che vorrebbero procreare (“costringerle” all’aborto o spingerle controvoglia alla pillola non è molto diverso, moralmente, perché sempre vessazioni e pressioni sulla vita della donna sono). D’altra parte se qualcuno s’inalbera perché una velina ha abortito, subito lo si taccia di cristianesimo antiquato e di intromettersi negli affari altrui. Se la protesta è per un cane violento soppresso… “povera bestia”.

Viviamo davvero in un mondo i cui parametri di riferimento stanno un po’ vacillando, le priorità non sono poi così ben percepite. Non solo in campo morale: le code di matti che hanno atteso per ore un iPhone 5 nel bel mezzo della più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni sono un esempio di criteri di giudizio completamente saltati. Come dice spesso un parroco che conosco, la povertà non è solo l’assenza del denaro ma anche l’incapacità – culturale? – di gestirlo.
L’incapacità – culturale! – di gestire i criteri valoriali è sicuramente ancor più grave e precedente a questo concetto di povertà. I parametri con cui molti di noi sono cresciuti oggi non contano poi così tanto…

Non sono contrario al progresso per partito preso, ai cambiamenti, all’evolversi della società. Ci terrei, però, che questi mutamente inevitabili avvenissero preservando l’umanità che c’è in ciascuno e nell’altro.
L’altro che è anche il barbone che dorme nel portone di casa quando piove, perché non ha un posto dove andare e perché il suo disagio è anche colpa mia – e della mia società – che non ho saputo aiutarlo. Dopotutto anche lui è una persona.
L’altro è anche la donna incinta “costretta” ad abortire per non perdere il lavoro e le opportunità di carriera: quale società possiamo aspettarci da un sistema che mina l’esistenza della famiglia?
Abitando in una città che ha un sacco di “aree canine” ma solo mezzo bagno pubblico, ho paura delle risposte alle mie domande.

 
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Pubblicato da su 2 ottobre 2012 in Curiosità, Sproloqui

 

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