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CasaPound mi scrive: la testa e la pancia della politica


casapoundCasaPund Genova mi ha inviato questa mattina un comunicato stampa; succede spesso, quando la propria mail è presente nelle pagine della redazione di un quotidiano web genovese. L’argomento del furente e preoccupato testo dell’associazione di promozione sociale (sic!) è il possibile stanziamento di cinquanta immigrati nel quartiere genovese di Quezzi, “una zona con una già alta percentuale di stranieri”. 

Del comunicato mi hanno stupito due cose: la pacatezza dei toni – la “banalità del male”, se mi si permette il paragone non troppo azzardato – e la totale inconsistenza delle argomentazioni proposte dai simpatizzanti della destra radicale.

Alcuni passaggi logici, più spaventosi che razionali, non riportano alcun dato neutro che possa avvalorarli: “basta vedere come il tasso di criminalità aumenti ovunque aumenti la presenza di immigrati” è una frase di chiaro effetto, facilmente confermabile a pelle e almeno altrettanto difficile da arrestare, perché parla alla pancia e non alla razionalità. Le decisioni, invece, bisognerebbe prenderle con la testa.

I fatti, invece, raccontano spesso realtà diverse rispetto ai cronisti della paura: come non è vero che in Italia si muore spesso di parto – cinquanta casi l’anno sono tragedie enormi su chi le vive, ma sono una casualità per la scienza medica – e come non è vero che esistono evidenze scientifiche sull’autismo legato ai vaccini, così le affermazioni di CasaPound andrebbero avvallate da qualche dato o riferimento neutrale. Anche in un comunicato stampa (qualcuno l’ho scritto anch’io).

La forza dei populismi è proprio questa: parlano per schemi e “chiare evidenze”, cavalcando le opinioni intuitive e le apparenze, puntando sul generale disinteresse umano verso l’approfondimento. La paura del diverso è un meccanismo antropologico noto, ma non ha ragione di governo nella società moderna; possiamo iniziare a usare la ragione prima dell’istinto e agire secondo criteri un po’ diversi, come quello dell’accoglienza.

Però, di fronte a persone che agiscono per “ribadire che la priorità, in Italia, devono essere gli Italiani”, ogni razionalità è disarmata: come si può discutere con persone che categorizzano gli esseri umani in base a foglietti di carta arbitrari quali sono le cittadinanze, dimenticandosi così che tutti siamo esseri umani e tutti abbiamo uguale diritto di esistenza e felicità su questo pianeta e nel mondo?

Sono italiano, ma la priorità sono le persone che soffrono: credo che solo pensando così si possa uscire dai molti problemi che ci affliggono. Non è la nazionalità a smuovermi, ma il dolore umano e quello esiste al di là di ogni differenza che possiamo percepire noi. Nel dolore e nella disperazione siamo tutti uguali, così come dovremmo esserlo davanti alla legge: ben venga punire, secondo giustizia, i cittadini stranieri che delinquono, ma la medesima pena e il medesimo sdegno esistono anche per gli italiani. Essere forestieri non deve più essere cagione di colpa alcuna.

 
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Pubblicato da su 13 gennaio 2016 in Politica

 

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La ragionevolezza del Male (in Grecia, in Europa, ieri, oggi e domani)


Alexis Tripras

Alexis Tripras

Non c’è casualità nel comportamento spietatamente capitalista dell’Unione europea di questi mesi, ma un piano preordinato, che affonda le sue radici nei preamboli e nelle preparazioni alla crisi globale. Ciò a cui stiamo assistendo in Grecia è solo un tassello del racconto, intessuto dalla Troika – Bce, Fmi, Commissione europea – attorno al sistema per preservarlo, una rete di salvataggio per il neoliberismo in cui l’intera Unione è immersa, addirittura sul quale si fonda l’idea che costoro hanno dell’Europa. 

SALVARE LE BANCHE. In questi giorni il sistema si sta difendendo: quello greco è un vero assalto, un tentativo di dare “scacco matto” all’Unione che difende e salva le banche anziché difendere e salvare i cittadini più poveri. In fin dei conti, a volerlo riassumere davvero in poche parole, il dilemma è proprio questo.
Se da una parte una minoranza accumula sempre più ricchezza, dall’altra la maggioranza della popolazione soffre un po’ di più, con settori sociali realmente in ginocchio e disperati. Le soluzioni proposte si appoggiano sul convincimento comune che, dopotutto, potrebbe andare peggio e che queste scelte, fatte sulla loro pelle, siano il male minore.

AUSTERITY. Dietro a un comodo anglicismo è stata nascosta una pratica al limite del disumano, che ha fatto ricadere sui cittadini una crisi causata da una finanza arrivista e deresponsabilizzata; i tagli alla spesa hanno così riguardato perlopiù le persone più deboli, i comuni cittadini dal reddito medio e basso, senza toccare privilegi e ricchi. Il succo del liberismo, lo stesso che caratterizza il “sogno americano”, ha invaso, contagiato e devastato l’Europa, convincendoci che il pareggio di bilancio fosse qualcosa di buono, un parametro reale per prendere le decisioni, dimenticandosi che persone sono anche coloro che non hanno avuto successo e non guadagnano stipendi a sei zeri.

RAGIONEVOLEZZA. Nasce così la ragionevolezza di Mario Monti e del “Salvaitalia”, i cui effetti – potenziati – vediamo oggi all’opera in Grecia. A differenza nostra, però, la Grecia ha dato una risposta: Alexis Tsipras e Syriza. Mentre l’Italia ha dato continuità all’opera bancaria e finanziaria di Monti, spolverandola con la giovanile esuberanza di Matteo Renzi, i cittadini ellenici hanno dato fiducia a un progetto alternativo al capitalismo sfrenato, capace di tutelare i deboli senza per forza passare da una rivoluzione sovietica (lo spettro ancora oggi agitato con una certa ignoranza) e, soprattutto, perfettamente in grado di rispondere ai problemi sociali ed economici, tanto più quanto più venisse adottato da un buon numero di paesi dell’Unione.

CONTRO IL MALE. Per tutti questi motivi, non possiamo tacere di fronte allo scempio della nostra terra europea: c’è modo di cambiare il modo in cui facciamo le code, ma dobbiamo comprendere i danni della cura proposta. Ben più che “effetti collaterali”, l’indebolimento delle persone, la loro dipendenza dal “padrone borghese”, la distruzione delle contrattazioni collettive e del sistema scolastico, l’abbattimento del welfare, sono l’obiettivo che la Troika, controllata da interessi bancari e finanziari, si è prefissata. Scegliamo insieme ai greci, scegliamo di dare la priorità alle persone e non al denaro.

 
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Pubblicato da su 3 luglio 2015 in Politica

 

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La fine!


https://i0.wp.com/www.malitalia.it/wp-content/uploads/2011/11/theend_berlusconi_pp-300x210.jpgMentre si concludono i conteggi di queste elezioni quantomai complesse da leggere, trovo giusto evidenziare un dato, frutto dell’analisi numerica, che può darci un indizio della direzione da prendere.
L’era del centrodestra berlusconiano è finita: finita con un collasso complessivo del numero di voti ricevuti, passati dai 17 milioni del 2008 agli attuali 10 (poco meno, in verità). Si tratta di una discesa netta del 42%, ampiamente superiore a quella del Pd (comunque grave e attorno al 30%). Paga moltissimo la Lega, che lascia per strada oltre 1,7 milioni di voti, più del 55% dei consensi.

Solo il sistema elettorale abbastanza buffo mantiene in piedi il potere – ma non il consenso – di Berlusconi. Troveranno tempo le interpretazioni sulla creduloneria e sul buonsenso elettorale degli italiani, oggi concentriamoci su una questione più “apocalittica”, anche più centrale del boom del M5S.

Berlusconi è, numericamente, alla frutta: una frutta che puzza anche un po’ di stantio. Non è un augurio, è l’interpretazione dei numeri: come previsione potrà essere smentita da ulteriori e differenti evoluzioni dello scenario, ma in un comportamento lineare delle altre forze – chiederlo al Pd, però, potrebbe essere illudersi – il risultato di oggi è un KO definitivo.
Il consenso che si era costruito negli anni è rimasto in piedi, parzialmente, per una combinazione di fattori:
l’incapacità del Pd (e della sinistra tutta) di farsi alternativa credibile
l’irrompere del M5S, visto che i flussi elettorali dei grillini pescano più a sinistra che a destra (pur svuotando di fatto la Lega)
il sistema elettorale folle, che al Senato premia eccessivamente le regioni popolose

https://i0.wp.com/www.giornalettismo.com/wp-content/uploads/2012/12/scandali-di-berlusconi26.jpgI primi due punti sono la chiave del sistema: la sinistra, ancora una volta, è stata inadeguata. Proposte scialbe, nessun mordente in campagna elettorale, efficacia comunicativa ridotta e i cavalli da corsa, quelli che, pur non essendo i leader, dovevano essere sparati in tv tutti i giorni, tenuti in cantina. Quando hai due ammaliatori di folla come Vendola e Renzi, non puoi permetterti di mandare Bersani: capisco le ritrosie del Pd a dar spazio al leader del partito alleato – limitatamente, perché anche se avesse strappato qualche seggio in più grazie alla visibilità accresciuta, di certo avrebbe ripagato con molti più voti conquistati – e allo sconfitto delle primarie, ma credo che il sacrificio sarebbe stato ampiamente ricompensato. Si poteva e si doveva vincere.
Questo ha comportato non solo lo spazio per il recupero del Cainano ma anche la cessione di ingenti quote di voto dalla sinistra a Grillo. Non si può infatti ignorare il calo di voti del Pd e la crescita dei grillini, sicuramente elementi collegati, spesso sul territorio, dove le amministrazioni di sinistra non si sono dimostrate sufficientemente sensibili ai veri temi cui l’elettorato e la cittadinanza erano interessanti. La sinistra ha perso il confronto, pur con questa risicata maggioranza numerica: possiamo fare tutte le analisi che volete ma, in definitiva, la motivazione è una sola. Monti.

Torniamo a B.: credo che neppure il Pd possa risuscitarlo da una botta di questo tipo. Berlusconi è stato mollato da tutto l’elettorato realmente reattivo alla realtà, questo è ciò che emerge seriamente dalle elezioni. Possiamo riflettere su un consolidamento di una decina di milioni di persone che lo votano comunque – una certa, piccola, percentuale ha votato le liste correlate per osteggiare la sinistra e nella speranza di una crescita per il futuro: questa la scelta di Meloni e Crosetto, per esempio – ma è un flusso in buona parte costruito sulle promesse vacue della campagna elettorale, un exploit che può essere fermato da un competitor dotato di anche solo un minimo di capacità comunicativa (e di uno staff all’altezza). E da una proposta all’altezza nel reale centrodestra, che chiami a sé gli stakeholder dei voti liberisti e della destra moderata.
Berlusconi può festeggiare per i seggi conquistati ma deve piangere per il consenso definitivamente eroso: e quello conta in politica, perché dovrà trovarsi a confrontarvisi, in un modo o nell’altro.

Riguardo Sel, un solo piccolo appunto: da sola ha fatto meglio dell’intera Sinistra arcobaleno. Per quanto la situazione sia difficilissima, la sinistra italiana ha registrato una crescita percentuale interessante, passando dal 3,02% a quasi il 5,5%. Bruscolini, vero, ma sicura testimonianza di una richiesta di attivismo che, se combinata con la forte denuncia delle politiche liberiste che ha vinto queste elezioni, può consentire di crescere. Assieme, però: perché dobbiamo imparare a essere uniti e a essere squadra per il governo, non testimonianza fine a se stessa.

 
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Pubblicato da su 26 febbraio 2013 in Politica, Teoria

 

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Il voto sereno


Per la prima volta da quando voto – referendum esclusi – ho votato con serenità, senza rimorsi e senza dubbi: era la scelta migliore che potessi fare e non ho neppure dovuto tapparmi il naso (o contenere conati di vomito).

Il panorama del voto e del post voto è effettivamente tra i più lugubri della storia ma ammetto che mi sono approcciato alla questione con la massima serenità. Ho idee abbastanza precise riguardo all’Italia che vorrei: c’è in me un disegno ideale e vedo nel voto, nei partiti, nell’impegno in politica un modo per contribuire a plasmare il mondo. Sicuramente un contributo marginare, come quello di ciascuno di noi, ma comunque tangibile.

Avendo compiuto una scelta di campo coerente con i miei valori e i miei ideali, non credo di dovermi vergognare verso alcuno di professarla, di renderla manifesta e di parlarne in pubblico. Penso, in verità, che poco sia meglio dell’impegnarsi e nel dirlo apertamente: odio sotterfugi, segreti e silenzi, penso che alla luce del sole si cresca meglio.
Credo non ci sia nulla di cui vergognarsi nell’occuparsi di politica: è una forma di servizio al prossimo che dà la possibilità di migliorare il proprio paese. Ciò che conta è farlo con correttezza, coerenza, senza travalicare l’educazione e violare il buonsenso, senza dedicarsi alla “conversione” o sfruttare i propri ascendenti in maniera scorretta: parlare, raccontare, spiegare, semmai suggerire e proporre.

Dopo le elezioni racconterò la mia scelta. Fuori dai silenzi di legge, fuori dalla bagarre elettorale fuori dalle contestazioni che potrebbero nascere (ma chi mi conosce già sa cosa ho votato e con chi mi sono apertamente schierato). Oggi vi dico che di questa scelta sono contento come mai prima: c’è un progetto e un sogno per il futuro, una narrazione che permette di immaginare un domani migliore e gettare le basi per costruirlo. E c’è una dimensione nuova di partecipazione alla vita politica che non mi sarei atteso solo pochi mesi fa.

E ora si riposa, domani c’è lo scrutinio: è da tempo che il paese non è a un bivio di questa portata, spero che sapremo scegliere per il meglio e allontanarci da uno strapiombo a cui siamo passati pericolosamente vicini. Possibilmente evitandoci un altro ventennio, altri populismi , altre guerre civili e altre politiche liberiste.

 
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Pubblicato da su 24 febbraio 2013 in Diari, Politica, Sproloqui

 

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Persone, mercato, prodotto: il valore della persona


Negli ultimi giorni a colpirmi sono state in particolare due notizie: il crollo degli iscritti all’Università e il relativo commento di Prefumo e la decisione della Fiat di lasciare a casa, con stipendio, i 19 lavoratori di Pomigliano reintegrati dopo sentenza del Tar. Sono notizie apparentemente distanti e sconnesse ma credo forniscano stimoli per una chiave di lettura univoca della realtà in cui ci troviamo a vivere.

La connessione tra i due accadimenti è presto spiegata: entrambi denotano lo scarso valore assegnato alla persona, alla sua dignità e alle sue ambizioni.
Sminuire il calo di iscritti universitari parlando di ottimizzazione del rendimento significa anche negare che l’istruzione è un diritto: significa, a ben vedere, pensare che l’istruzione – a qualsiasi livello – sia solo uno strumento di formazione per produttori/consumatori. La scuola serve solo a insegnare. Eppure a me hanno insegnato che imparando la chimica apprendi anche a relazionarti con altre persone e che lo scopo dell’istruzione non è tanto la competenza acquisita – importante, certo, ma non marcatamente prioritaria – ma conferire alle persone gli strumenti con cui realizzare il loro desiderio di felicità. Le parole di Profumo – e il generico atteggiamento verso l’argomento – denotano questa attenzione alla persona in formazione – bambino, ragazzina, giovane che sia – rivolta solo all’acquisizione delle competenze. Nulla riguardo la realizzazione dei propri sogni, fosse anche una laurea inutile. Ridurre l’istruzione a solo trapasso nozioni comporta anche ridurre la persona a “cosa”: eh si, perché se i miei sogni non contano, se le mie relazioni sociali sono solo un contorno alla mia produttività, se le mie aspirazioni devono essere sedate di fronte alla necessità della produsione, persona non sono più.
E non sono più una persona neppure se il mio lavoro è scambiabile con il denaro: ne avevo già parlato in occasione dell’insensata modifica all’articolo 18 del c.d. “Statuto dei lavoratori” ma temo che il messaggio non sia stato abbastanza chiaro. La posizione della società guidata da Marchionne continua a cercare di far passare il seguente messaggio: lavorate solo per la retribuzione. Ora, nessuno ritiene che lavorare gratis vada bene o che qualcuno schifi il denaro. Tuttavia ridurre il lavoro a un mero scambio di merce significa svilire il fondamento stesso della democrazia italiana. La Costituzione – povera donna, con gli stupri montiani – si fonda proprio sul lavoro: non sul denaro, non sulla retribuzione, non sulla produzione. Sul lavoro.

Entrambe le notizie sembra individuare un nuovo passo nello svilimento umano. Soggetto del marketing a scopo di acquisto compulsivo, oggetto della produzione di ciò che viene venduto, l’essere umano sembra possedere un valore in quanto tale. Nulla valgono le sue aspettative, i suoi sogni, i desideri, i sentimenti e la dignitià. Ciò che ci rende umani è, per Marchionne, la Fornero, Profumo e molti altri, solo un orpello. Magari da eliminare, in modo che si lavori meglio, si vada in pensione dopo e, possibilmente, lo si faccia senza protestare troppo.

Mi domando se affrontiamo una problematica italiana, isolata al nostro “stivale”, o se si tratta di una deformazione globale. Il valore di un essere umano è diventato infinitesimo: abbiao a che fare con il prodotto ultimo del berlusconismo o stiamo fronteggiando una più generica crisi valoriale del mondo occidentale? Ciò che ha valore è ciò che questo essere umano produce e consuma. Sarà anche così da un pezzo ma forse ora abbiamo le energie per cambiare: se non le abbiamo, dobbiamo trovarle.

 
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Pubblicato da su 5 febbraio 2013 in Politica, Sproloqui, Teoria

 

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Estremista di cuore


Credo che serva una società basata sull’equità, sull’uguaglianza sostanziale di tutte le donne e tutti gli uomini, a prescindere dal genere, dal reddito, dal mestiere, dalla cultura, dalla provenienza geografica, dalla nazionalità, dalla fede religiosa, dall’orientamento sessuale e da tutto quanto distingue ogni individuo, lo imprezziosisce e lo rende unico.
Credo che serva una società dove la ricchezza sia distribuita con maggior uniformità e dove questa ricchezza non determini totalmente il destino delle persone.
Credo serva una società dove il lavoro sia quel diritto che, assieme agli strumenti di sopravvivenza, fornisca dignità alle persone e dove nessuno sia costretto a rinunciare a questa dignitià umana per poter ottenere un lavoro.
Credo serva una società dove l’istruzione e la sanità siano servizi pubblici eccellenti, perché chi non sa costruire il futuro nei giovani e accudire i propri malati è destinato a intristirsi, impoverirsi nell’animo e, infine, estinguersi.
Credo serva una società dove i valori della Costituzione non siano carta ma realtà, e dove la Costituzione non metta il denaro davanti alla vita delle persone. Una società, in breve, dove siano le persone il centro dell’azione e non il denaro, la finanza, la moneta.
Credo serva una società dove la pensione non sia un privilegio per pochi ma un riconoscimento al contributo fornito al bene comune dai lavoratori.
Credo serva una società accogliente e inclusiva, che non espella ai margini i più sfortunati e non scacci coloro che viaggiano fino a noi per chiedere un posto migliore dove proseguire la loro vita.
Credo serva una società in cui ciascuno collabori al bene comune, a modo proprio e con le proprie capacità, e dove questo non generi una “classifica” ma dove ogni singolo contributo sia accolto con uguale apprezzamento, perché quello è il meglio che ciascuno di noi può dare agli altri.

Se questo vuol dire essere estremisti, senatore Monti, allora si: sono estremista. E farò un vanto dell’appartenenza a quelle “ali estreme” che lei vorrebbe tagliare, perché per me significa stare dalla parte dei più deboli, degli indifesi e di chi veramente lotta quotidianamente per conquistarsi ancora un giorno tra noi.

 
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Pubblicato da su 8 gennaio 2013 in Diari, Politica

 

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MoVimento 5 Fasci


Più trascorre il tempo, più mi trovo preoccupato per la presenza fascistizzante del MoVimento Cinque Stelle in Italia. Certamente i “grillini” non sono pericolosi – immediatamente e direttamente pericolosi, specifico – quanto Alba Dorata in Grecia, ma le cose stanno già cambiando, con una certa fretta.
Lo storico che risiede nel mio intelletto, però, ha preoccupazioni frequenti sul dire e sul fare di Grillo e dei suoi compagni di partito.

Un Grillo portatore di

Un Grillo portatore di “fascismo”?

Chiariamo subito che il M5S è un partito. Possono negarlo, possono usare nomi diversi ma i grillini sono un partito. Non è certo la struttura dell’organigramma o statutaria a creare un partito ma la sua natura ideale e idealistica. Sotto al M5S risiede un piano ideale – lo scontento popolare nei confronti di una certa politica – che unifica e tiene assieme il gruppo ed è condiviso dai suoi membri (chi non lo fa è lì far carriera: alcuni soggetti del genere li conosco e, ovviamente, sono in ogni partito, associazione, movimento).
Ecco perché sbagliamo a chiamare “antipolitica” la loro azione: è politica vera e propria.
Dal programma all’azione amministrativa, la loro iniziativa pubblica è politica piena, intesa come partecipazione alla gestione della “cosa pubblica.

Fatta luce su questo, possiamo analizzare più a fondo quali sono gli elementi allarmanti.
C’è l’odio manifesto verso le altre forze politiche. Il fascismo era fondato su un sentimento analogo, in reazione alla presenza comunista del biennio rosso. Oggi l’opzione 5 stelle si fonda sull’assalto alla “casta” politica, ai suoi privilegi, al sistema repubblicano, etc. Il contrapporre “noi” a “loro”, facendo di “loro” un unico cumulo di politicanti inetti e (rari) onesti parlamentari, è esattamente quanto fecero all’alba del Ventennio i gerarchi e Mussolini in particolare. Alla mollezza dei liberisti, all’inutilità dei socialisti, il PNF reagiva con la virilità e la forza del vero uomo italico, incarnato dal fascio di combattimento.

Da qui troviamo l’aggancio con un altro elemento di profonda vicinanza: il M5S si fa portatore di una “politica nuova” che “cambierà il paese” (in meglio). Ritroviamo aspressioni analoghe anche nei discorsi parlamentari del Duce, spesso al passato: erano modi di dire tipici del Ventennio acquisito, strumento di propaganda. Oggi li ritroviamo in quel che i grillini prospettano oggi per domani.
E anche la propaganda è un elemento dell’agenda M5S che fa abbastanza paura. Mi ha spaventato, in particolare, il comunicato della cellula milanese, rivolto ai giornalisti, che spiegava come questi avrebbero dovuto rivolgersi al M5S, con quale appellativo chiamare i suoi rappresentanti e via dicendo. Un esempio di comunicazione d’imposizione, di maiuscole, di ordini. Anche lì è presente la volontà di distinguere tra “loro” e “gli altri”, se non ve ne foste accorti. Come i toni minacciosi, pur elegantemente travestiti, negli interventi pubblici di molti esponenti del partito. Tutti sono molto abili nel criticare i dettagli, nessuno sembra in grado di avanzare soluzioni propositive con altrettanto dettaglio, si limitano a “indicazioni generali”, salvo poi sviare su altri difetti dell’amministrazione. Politica di bassa lega, secondo me, che ha sostituito il manganello reale con quello telematico.

Tocchiamo anche il tasto “Grillo & la democrazia”.
Il leader, che chiede più democrazia nelle istituzioni, agisce come un capo solitario, signore assoluto del partito. Che lo sia davvero o che sia presente una struttura oligarchica di cui Grillo è la facciata cambia poco. Grillo, come Berlusconi, fa e disfa, ordina e pretende, annette ed espelle senza rendere conto a nessuno. Ed è idolatrato dai suoi, peraltro, che raramente ne denunciano le scorrettezze e, quando ciò accade, si vedono tagliare fuori dal movimento. Atteggiamenti da papa-imperatore, con potere medievale di scomunica. http://infosannio.files.wordpress.com/2012/07/beppe-grillo-120715182702_big-pagespeed-ic-epghzpjk5v.jpg?w=300&h=197
Le attuali “parlamentarie” sono un esempio lampante di quanto fin qui detto. Mentre il centro sinistra ha fatto scegliere il proprio leader a tutti gli italiani, senza chiedere tessere di partito o altro, Grillo farà decidere i candidati dai tesserati, rigorosamente prima di una certa data, con regole interne e utilizzando il web, quindi parzializzando l’elettorato in base alla capacità di fruire del mezzo.
Per quanto non apprezzi granché Bersani, per quanto ritenga Renzi all’altezza di Berlusconi, per quanto non voti Pd, credo che la lezione di democrazia e partecipazione popolare questa volta Grillo debba prenderla anziché darla. E potrebbe prenderla addirittura da gentedi destra come la Meloni, che le primarie le voleva davvero. Un po’ preoccupante.

L’urgenza e il pericolo non vengono tanto dall’effetto “dilettante allo sbaraglio” quanto dal populismo dilagante nel M5S. In fin dei conti il populismo è solo una risposta alle pulsioni più dirette e viscerali, non particolaremente rianalizzate e immediatamente risolte, spesso con brutalità. Il passo da questo a una più profonda crisi del sistema democratico, in una situazione in cui gli assetti istituzionali sono già a rischio, è veramente breve. Le espressioni di molti elettori – “li voto per cambiare le cose”, “non potranno essere peggio”, “sono solo uno strumento per liberarsi del male che c’è ora” sono tristemente note a chi ha studiato la storia contemporanea. Rimandano a ciò che dicevano i liberali e gli elettori “preoccupati” dal biennio rosso, che hanno spinto Mussolini al governo e l’Italia nel baratro del Ventennio. Sottovalutare gli elementi narrati sopra potrebbe portare a soluzioni assolutistiche vissute come “male minore” ma difficili poi da rimuovere.

Posso aggiungere in coda che provo comunque una certa stima per quelle cittadine e quei cittadini che, con le migliori intenzioni, sono parte del MoVimento 5 Stelle e che intendono cambiare in meglio il paese. Credo, però, che sia giusto iniziare ad avvisare sulle derive che il grillismo, Grillo e i Grillini stanno prendendo in questi mesi. Non tanto per sentenziare poi “io ve l’avevo detto” quanto per impedire che a una crisi democratica gravissima – quella che stiamo vivendo oggi e che dura dal 1994 – ne segua una ancora peggiore.
Vigiliamo, stiamo attenti e non allontaniamoci dalla politica e dalla volontà di pensare e costruire un domani migliore.

 
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Pubblicato da su 3 dicembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Un po’ di conti… primari!


Credo che, a un paio di giorni dalle primarie, prima che arrivi il ballottaggio, sia necessario mettersi a fare qualche conto per analizzare a fondo il messaggio che l’elettorato ha dato ai partiti coinvolti. I numeri, infatti, hanno la tendenza a parlare molto e bene, se dovutamente interrogati.
Non a caso il team renziano, ben costruito e irrobustito con esperti di marketing, ha in più occasioni manipolato i dati resi noti in pubblico, nel tentativo di far deporre i numeri a proprio favore. L’operazione che andrò a fare nelle prossime righe, invece, vorrà segnalare una possibile chiave di lettura, senza dimostrazioni politiche di alcun tipo, proprio perché sono conscio dell’alta difficoltà interpretativa del dato. Tuttavia, qualcosa può dire.

I voti alle primarie sono stati in totale insieme, 3.107.568. Leggero – quasi impercepibile – miglioramento rispetto alle ultime primarie, quelle del Pd del 2009 che scelsero il segretario Bersani, quando a votare furono in 3.102.709.
Di questi voti, 44.080 (1,42%) sono andati al compagno Tabacci e 485.152 (15,61%) a Nichi Vendola: si tratta di voti che possiamo, approssimativamente, dire che non appartengono al Pd. E questo è già un dato significativo, perché dipinge la consultazione non certo come il successo di partecipazione che ci hanno raccontato. L’elettorato del Pd in queste consultazioni primarie ammonta, infatti, a circa 2.578.380. Quasi mezzo milione in meno rispetto all’elettorato attivo del Pd nel 2009: un buco non trascurabile, se aggiungiamo il fatto che una sezione non insignificante di voti a Renzi arrivano da persone che nel 2009 non sono certo andare a votare per il Pd. Ovviamente il dato ha un valore relativo: oggi non sono un elettore del Pd ma nel 2009 forse lo ero (non mi ero ancora disilluso riguardo l’utilità di quel partito), così penso abbiano fatto in molti. Però il dato rimane indicativo: tra chi si schiera nelle primarie, il Pd ha subito un calo del 15% circa. Una bella batosta.

La seconda analisi riguarda i dati interni al Pd, se accettate questa mia definizione. Rimangono allora sul piatto 2.578.380 voti. Bersani ne ha conquistato il 54,1%, e questo significa che, se fossero primarie interne al partito, avrebbe stravinto al primo turno, staccando Matteo Renzi di oltre 10 punti (è al 42,8%).
Qui la riflessione si fa interessante: il doppio turno, tanto contestato da Renzi, è in realtà l’unica carta che ancora lo tiene in gioco. Se ha possibilità di vincere queste primarie è solo perché domenica si voterà di nuovo e non è affatto detto che i bersaniani riescano, per la seconda domenica consecutiva, a smuovere il loro antidiluviano elettorato. Insomma, Renzi non solo deve “stanare” gli elettori vendoliani ma deve anche ringraziare quel mezzo milione di persone che, partecipando alle primarie, gli hanno evitato una figura barbina.

Ad avere la peggio in tutto questo è il Pd; se Vendola ha preso più o meno la quota pesata di Sel all’interno della coalizione (un 6% su una coalizione da 38 punti percentuali), il Pd ha subito un tracollo (anche la coalizione non sta certo bene, se prendiamo come riferimento le primarie di Prodi, quelle da oltre quattro milioni di votanti).
L’emoragia di voti si spiega facilmente con la disafezione alla politica e lo scoramento degli elettori. Il M5S campa proprio su questi sentimenti imprecisamente definiti come “antipolitica”. A fermarsi qui si sarebbe solo scalfita la superficie del problema, però.
Scendendo più a fondo si potrebbe notare come il problema del Pd sia ben più profondo: Renzi ha preso più di un milione di voti e c’è una buona percentuale di costoro che non intende sostenere con il suo voto il Pd, in caso di vittoria bersaniana. A parte la valutazione personale – trovo triste e meschino partecipare a delle primarie, sottoscrivendo una carta d’intenti e poi non appoggiare la coalizione solo perché non ha vinto il proprio candidato – credo che questo dato debba far riflettere parecchio l’establishment del Pd. La mazzata che potrebbe prendere il partito alle prossime politiche non è affatto avvertita né dall’elettore, né dal politico.
Certo, dipingere le primarie come un successo aiuterà senz’altro a far risalire i numeri: io stesso domenica mi consideravo abbastanza soddisfatto dalla partecipazione. Non avevo ancora letto e analizzato i dati.

Finito con i dati, lascio un’interpretazione personale, frutto delle mie riflessioni, quindi altamente opinabile. Ma la lascio comunque.
Penso che non sia sbagliato leggere anche in questi numeri l’ennesimo sintomo di distanza tra il Pd e le esigenze dell’elettorato di sinistra. Molti continuano a votarlo ma cercano con lo sguardo una possibile via di fuga, una proposta di sinistra vera, senza ammiccamenti al centro. Altri votano per fedeltà di partito: quelli non li si smuoverà mai, purtroppo. Anche se Berlusconi comprasse il partito, loro proseguirebbero ad andare al circolo, a beatificare il quadro di Togliatti e a votare quella casella.

La riflessione si deve allargare al di fuori del Pd. Vendola ha partecipato alle primarie per dare una voce concreta alle richieste di politiche non-liberistiche e non-capitalistiche che provengono da sinistra. In un paese in ginocchio per l’austerità, parlare di futuro sembra un divieto. Mentre si formano coalizioni con questi obbiettivi all’esterno della coalizione delle primarie, Sel non deve restare a guardare e chinarsi alle esigenze filomontiane del Pd. C’è da alzare il tiro e far capire – prima di tutto al Pd – che le risposte si hanno non con il blairismo di Renzi, non con il montismo di Bersani ma con proposte alternative e nuove. Forse si perderanno alcuni voti di centristi ma si conquisteranno coloro che vogliono davvero cambiare le cose.
A chi vogliamo dare ascolto?

 
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Pubblicato da su 27 novembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Dal Concilio alla Chiesa


Una mattina il cardinale Ottaviani si svegliò tardi. Chiamò un taxi: “Portami in fretta al Concilio”. Salito in auto, si riaddormentò.Quando finalmente si destò scoprì con suo grande stupore di trovarsi in aperta campagna. “Ma dove mi porti?”. Il taxista: “Al Concilio di Trento. Dove se no?”

Incontrare monsignor Bettazzi, un frammento della storia conciliare, possiede un fascino difficile da descrivere. E poi le occasioni di sentir parlare padri conciliari si fa sempre più rara, ancor meno se vogliamo voci che di quel Concilio hanno abbracciato appieno la portata innovatrice.
La rivoluzione copernicana della Gaudium et spesnon l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità – e quella della Lumen gentiumnon i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli – stentano ad affermarsi. L’ha detto chiaramente Bettazzi, raccontando ai savonesi il suo pensiero sul Concilio. E possiamo riassumerlo così: alcuni si sono ancorati alla Tradizione, dimenticando però che la Tradizione non è non cambiare nulla del passato

La Gaudium et spes, che evoca le possibilità e le speranze per il futuro, invita tutti i cristiani a essere cittadini migliori. Chi si fa corrompere o chi corrompe è lontano dall’essere cristiano quanto chi abortisce: questo perché l’elemento centrale, l’attuazione del comandamento di amore fraterno, del cristianesimo è la solidarietà. Solidarietà verso il debole, quindi verso la vita che nasce; solidarietà verso il prossimo, quindi verso l’intera società. Verso gli altri.

Dobbiamo recuperare molto dello spirito del Concilio, facendoci guidare dallo Spirito. La “pastoralità” non è autorizzazione a non concordare: scopo del Concilio è spiegare come la dogmatica deve essere applicata nella vita quotidiana della Chiesa e del cristiano. In quest’ottica, il Concilio non può essere un “forse” ma deve avere tutta la forza del vincolo di adesione – pur critica – alla Chiesa.
Male che l’opera del Concilio sia stata rallentata e, in certi casi, fermata. Male che molte intuizioni – come il Patto delle Catacombe – siano rimaste parole o carta. Oggi la Chiesa è chiamata a testimoniare con l’azione, non a predicare con le parole. Necessitiamo più che mai di una Chiesa povera, umile, imitazione di Cristo. Che era Re, certo – non possiamo dimenticarlo oggi – ma era una Re che si è svelato nel momento di salire sulla croce, quando s’è fatto servo dell’umanità intera. Non certo un Re di ori, diamanti e conti svizzeri; non un Re di nobiltà di sangue e di porporati. Un Re nato da falegnami, circondato da pastori, predicatore fra pescatori.
Quella è la dignità della Chiesa che le parole di monsignr Bettazzi hanno richiamato nella mia mente e nel mio cuore.

La chiamata che da questo Concilio arriva direttamente a noi laici segue questo filone di pensieri. Dobbiamo essere noi a prendere impegno in prima persone all’interno della Chiesa.
Credo che la Sacrosanctum concilium indichi una via da seguire. La costituzione conciliare chiarisce un punto che era un po’ stato trascurato con il passare del tempo – ma che è sempre stato chiaro nella teoria e nella teologia: l’eucarestia la celebra l’assemblea, il presbitero presiede “soltanto”.
Credo che sia lo spirito giusto con cui affrontare il futuro della Chiesa. Non più una Chiesa fatta di gerarchia e di consacrati, usufruibile dal fedele, ma una chiesa di popolo, dove il laico opera attivamente, nell’arricchimento reciproco delle vocazioni di ciascuno. C’è posto per tutti, c’è un ruolo per tutti.
E così anche nei vertici: non un Sinodo modellato dalla Curia ma un Sinodo che, guidato dal papa, sia traino per la Chiesa, con una Curia che si faccia carico dell’attuazione, con spirito di servizio.

In definitiva c’è bisogno che ci rimbocchiamo le maniche. Se ci teniamo alla Chiesa, tocca a noi sporcarci le mani: testimonianza, annuncio, accoglienza non possono gravare solo sulle spalle dei presbiteri e dell’episcopato. Tocca al laicato, ora, agire in prima persona. Ovunque.
Dobbiamo riformarla dal basso questa Chiesa, portare le istanze fino a vertice, far sentire tutta la distanza che c’è tra il popolo di Dio e molti prelati che hanno perso la bussola e si sono allontanati dal loro gregge. “Siamo qui, guidateci verso Cristo”, dobbiamo dire ai nostri pastori.

 
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Pubblicato da su 25 novembre 2012 in Il Concilio, Religione

 

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La Chiesa, i tempi e la bussola smarrita


Nichi Vendola sulla tomba di MartiniDovendomi occupare di politica in sostegno ai comitati per le primarie della sinistra per Nichi Vendola, è inevitabile che mi ponga domande riguardanti la natura e le specifiche di questo mio impegno, il partito che guida Vendola e l’insegnamento della Chiesa.
Sicuramente Vendola, che pur è cattolico, ha posizioni spesso in contrasto con quelle ufficiali della Chiesa, soprattutto quando si tratta di temi “etici” (come se non sfruttare i propri dipendenti non fosse una questione etica…). Vero è che questi stessi temi sono trattati a tutti i livelli della Chiesa e che, come ben sappiamo, il credente di base non sempre condivide le conclusioni a cui giungono i vescovi, oggi spesso distanti dal “sentire” del popolo. Vero è che anche la Chiesa su certi temi – omosessualità, eutanasia, aborto – si è espressa con fermezza e chiarezza da tempo.
Proprio nell’analizzare la coerenza delle mie scelte – vendoliano e cattolico, quadro Agesci e portavoce del comitato savonese per Nichi – sono sorte delle domande proprio su questo, che mi hanno spinto a riflettere sulla Chiesa, sulla sua missione e sull’attuale “stato dell’annuncio”, a cinquant’anni dal Concilio. Racconto allora le mie riflessioni: non sono conclusioni e non sono definizioni. Sono dubbi e domande, in divenire, perché la situazione mi interroga dal profondo e non credo basti un post e un pomeriggio di ponderazione per dipanare la nebbia.

Mi sono chiesto oggi se la Chiesa non stia concentrando il suo impegno su un solo fronte, scordando altri fronti o, comunque, tralasciandoli. E mi sono anche chiesto se questi “fronti secondari” sono davvero così marginali nel messaggio cristiano.
Essere favorevole ai matrimoni gay rischia di porre in contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con il Magistero; tuttavia non lo fa lavorare per una multinazionale che sottopaga i propri dipendenti nelle filippine o che produce armi. Le conferenze episcopali – quando non il Vaticano – si scagliano contro le leggi che consentono unioni civili a prescindere dal genere ma non accusano gli stati di praticare politiche che creano maggior disuguaglianza sociale.
Su alcuni temi la predicazione si ferma a posizioni importanti, su altre pretende il vincolo del credente. Ma davvero è così prioritario impedire l’eutanasia e così di scarso valore lavorare per una miglior distribuzione delle ricchezze sul pianeta? Davvero un tema che riguarda la libertà di coscienza del singolo – libertà di coscienza che la Chiesa, con il Concilio, rispetta – deve occupare più spazio nella definizione del cristiano rispetto all’impegno per migliorare le condizioni di vita di miliardi di persone?

Non potrebbe allora prevalere la sensazione che la Chiesa stia perdendo la bussola, non sappia reagire ai temi che corrono e non riesca a far capire come Gesù Cristo e il Vangelo sono la risposta alle domande della donna e dell’uomo dei nostri tempi? Non lo fa, forse, perché sceglie male le battaglie in cui impegnarsi a fondo.
Credo che il cuore del messaggio cristiano sia l’amore fraterno. Spero, almeno in questo, di essere nel giusto. Parto da questa base, o almeno ci provo, nella mia vita, nella mia azione, anche nel mio schierarmi politicamente. E vedo, per esempio, che le politiche capitalistiche/neo-liberiste sono del tutto antitetiche con un concetto di giustizia sociale che si riferisca all’amore fraterno. Perché la Chiesa non interviene con la stessa forza e le stesse pressioni che impiega su temi scottanti quali l’eutanasia e l’omosessualità, contro il maltrattamento e lo sfruttamento dei lavoratori, contro il lavoro precario, contro lo stupro del Creato e contro l’uso della guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali?Il Concilio, bussola per la Chiesa
Lo storico che è in me vede collusione con il potere; il credente cerca una ragione, cerca una bussola, cerca un aiuto e una spiegazione. Perché non riesce del tutto a vedere la Chiesa del Dio dell’Amore in queste scelte. E sa che la Chiesa in cui crede – quella della sua Confessione di Fede – non è la Chiesa “istituzionale” ma quella invisibile, nota solo al Padre. Questa è la risposta che si dà in quest’ora buia.

Prego molto su questi stimoli e queste riflessioni. Prego per capire e prego per avere la forza di cambiare le cose dove non mi sembrano rispondere al Disegno del Padre. Prego per il discernimento e prego per la Chiesa: noi cristiani, illuminati ora dal Concilio, dobbiamo tenere accesa quella candela, prima che si spenga e ci restituisca alle tenebre. Dobbiamo cogliere i segni dei tempi, respirarli e dal loro la Parola e il Padre come orizzonte di realizzazione. O ci estingueremo.

Un inciso polemico, solo uno, concedetemelo: in Italia il principale partito di riferimento dell’area cattolica è guidato da un divorziato risposato. Con figli. Penso possa spiegare molte cose riguardo alla coerenza… ma non mi solleva dalle domande sulla mia coerenza.

 
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Pubblicato da su 16 novembre 2012 in Diari, Il Concilio, Politica, Religione, Sproloqui

 

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