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Archivio mensile:novembre 2012

Un po’ di conti… primari!


Credo che, a un paio di giorni dalle primarie, prima che arrivi il ballottaggio, sia necessario mettersi a fare qualche conto per analizzare a fondo il messaggio che l’elettorato ha dato ai partiti coinvolti. I numeri, infatti, hanno la tendenza a parlare molto e bene, se dovutamente interrogati.
Non a caso il team renziano, ben costruito e irrobustito con esperti di marketing, ha in più occasioni manipolato i dati resi noti in pubblico, nel tentativo di far deporre i numeri a proprio favore. L’operazione che andrò a fare nelle prossime righe, invece, vorrà segnalare una possibile chiave di lettura, senza dimostrazioni politiche di alcun tipo, proprio perché sono conscio dell’alta difficoltà interpretativa del dato. Tuttavia, qualcosa può dire.

I voti alle primarie sono stati in totale insieme, 3.107.568. Leggero – quasi impercepibile – miglioramento rispetto alle ultime primarie, quelle del Pd del 2009 che scelsero il segretario Bersani, quando a votare furono in 3.102.709.
Di questi voti, 44.080 (1,42%) sono andati al compagno Tabacci e 485.152 (15,61%) a Nichi Vendola: si tratta di voti che possiamo, approssimativamente, dire che non appartengono al Pd. E questo è già un dato significativo, perché dipinge la consultazione non certo come il successo di partecipazione che ci hanno raccontato. L’elettorato del Pd in queste consultazioni primarie ammonta, infatti, a circa 2.578.380. Quasi mezzo milione in meno rispetto all’elettorato attivo del Pd nel 2009: un buco non trascurabile, se aggiungiamo il fatto che una sezione non insignificante di voti a Renzi arrivano da persone che nel 2009 non sono certo andare a votare per il Pd. Ovviamente il dato ha un valore relativo: oggi non sono un elettore del Pd ma nel 2009 forse lo ero (non mi ero ancora disilluso riguardo l’utilità di quel partito), così penso abbiano fatto in molti. Però il dato rimane indicativo: tra chi si schiera nelle primarie, il Pd ha subito un calo del 15% circa. Una bella batosta.

La seconda analisi riguarda i dati interni al Pd, se accettate questa mia definizione. Rimangono allora sul piatto 2.578.380 voti. Bersani ne ha conquistato il 54,1%, e questo significa che, se fossero primarie interne al partito, avrebbe stravinto al primo turno, staccando Matteo Renzi di oltre 10 punti (è al 42,8%).
Qui la riflessione si fa interessante: il doppio turno, tanto contestato da Renzi, è in realtà l’unica carta che ancora lo tiene in gioco. Se ha possibilità di vincere queste primarie è solo perché domenica si voterà di nuovo e non è affatto detto che i bersaniani riescano, per la seconda domenica consecutiva, a smuovere il loro antidiluviano elettorato. Insomma, Renzi non solo deve “stanare” gli elettori vendoliani ma deve anche ringraziare quel mezzo milione di persone che, partecipando alle primarie, gli hanno evitato una figura barbina.

Ad avere la peggio in tutto questo è il Pd; se Vendola ha preso più o meno la quota pesata di Sel all’interno della coalizione (un 6% su una coalizione da 38 punti percentuali), il Pd ha subito un tracollo (anche la coalizione non sta certo bene, se prendiamo come riferimento le primarie di Prodi, quelle da oltre quattro milioni di votanti).
L’emoragia di voti si spiega facilmente con la disafezione alla politica e lo scoramento degli elettori. Il M5S campa proprio su questi sentimenti imprecisamente definiti come “antipolitica”. A fermarsi qui si sarebbe solo scalfita la superficie del problema, però.
Scendendo più a fondo si potrebbe notare come il problema del Pd sia ben più profondo: Renzi ha preso più di un milione di voti e c’è una buona percentuale di costoro che non intende sostenere con il suo voto il Pd, in caso di vittoria bersaniana. A parte la valutazione personale – trovo triste e meschino partecipare a delle primarie, sottoscrivendo una carta d’intenti e poi non appoggiare la coalizione solo perché non ha vinto il proprio candidato – credo che questo dato debba far riflettere parecchio l’establishment del Pd. La mazzata che potrebbe prendere il partito alle prossime politiche non è affatto avvertita né dall’elettore, né dal politico.
Certo, dipingere le primarie come un successo aiuterà senz’altro a far risalire i numeri: io stesso domenica mi consideravo abbastanza soddisfatto dalla partecipazione. Non avevo ancora letto e analizzato i dati.

Finito con i dati, lascio un’interpretazione personale, frutto delle mie riflessioni, quindi altamente opinabile. Ma la lascio comunque.
Penso che non sia sbagliato leggere anche in questi numeri l’ennesimo sintomo di distanza tra il Pd e le esigenze dell’elettorato di sinistra. Molti continuano a votarlo ma cercano con lo sguardo una possibile via di fuga, una proposta di sinistra vera, senza ammiccamenti al centro. Altri votano per fedeltà di partito: quelli non li si smuoverà mai, purtroppo. Anche se Berlusconi comprasse il partito, loro proseguirebbero ad andare al circolo, a beatificare il quadro di Togliatti e a votare quella casella.

La riflessione si deve allargare al di fuori del Pd. Vendola ha partecipato alle primarie per dare una voce concreta alle richieste di politiche non-liberistiche e non-capitalistiche che provengono da sinistra. In un paese in ginocchio per l’austerità, parlare di futuro sembra un divieto. Mentre si formano coalizioni con questi obbiettivi all’esterno della coalizione delle primarie, Sel non deve restare a guardare e chinarsi alle esigenze filomontiane del Pd. C’è da alzare il tiro e far capire – prima di tutto al Pd – che le risposte si hanno non con il blairismo di Renzi, non con il montismo di Bersani ma con proposte alternative e nuove. Forse si perderanno alcuni voti di centristi ma si conquisteranno coloro che vogliono davvero cambiare le cose.
A chi vogliamo dare ascolto?

 
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Pubblicato da su 27 novembre 2012 in Politica, Teoria

 

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Dal Concilio alla Chiesa


Una mattina il cardinale Ottaviani si svegliò tardi. Chiamò un taxi: “Portami in fretta al Concilio”. Salito in auto, si riaddormentò.Quando finalmente si destò scoprì con suo grande stupore di trovarsi in aperta campagna. “Ma dove mi porti?”. Il taxista: “Al Concilio di Trento. Dove se no?”

Incontrare monsignor Bettazzi, un frammento della storia conciliare, possiede un fascino difficile da descrivere. E poi le occasioni di sentir parlare padri conciliari si fa sempre più rara, ancor meno se vogliamo voci che di quel Concilio hanno abbracciato appieno la portata innovatrice.
La rivoluzione copernicana della Gaudium et spesnon l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità – e quella della Lumen gentiumnon i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli – stentano ad affermarsi. L’ha detto chiaramente Bettazzi, raccontando ai savonesi il suo pensiero sul Concilio. E possiamo riassumerlo così: alcuni si sono ancorati alla Tradizione, dimenticando però che la Tradizione non è non cambiare nulla del passato

La Gaudium et spes, che evoca le possibilità e le speranze per il futuro, invita tutti i cristiani a essere cittadini migliori. Chi si fa corrompere o chi corrompe è lontano dall’essere cristiano quanto chi abortisce: questo perché l’elemento centrale, l’attuazione del comandamento di amore fraterno, del cristianesimo è la solidarietà. Solidarietà verso il debole, quindi verso la vita che nasce; solidarietà verso il prossimo, quindi verso l’intera società. Verso gli altri.

Dobbiamo recuperare molto dello spirito del Concilio, facendoci guidare dallo Spirito. La “pastoralità” non è autorizzazione a non concordare: scopo del Concilio è spiegare come la dogmatica deve essere applicata nella vita quotidiana della Chiesa e del cristiano. In quest’ottica, il Concilio non può essere un “forse” ma deve avere tutta la forza del vincolo di adesione – pur critica – alla Chiesa.
Male che l’opera del Concilio sia stata rallentata e, in certi casi, fermata. Male che molte intuizioni – come il Patto delle Catacombe – siano rimaste parole o carta. Oggi la Chiesa è chiamata a testimoniare con l’azione, non a predicare con le parole. Necessitiamo più che mai di una Chiesa povera, umile, imitazione di Cristo. Che era Re, certo – non possiamo dimenticarlo oggi – ma era una Re che si è svelato nel momento di salire sulla croce, quando s’è fatto servo dell’umanità intera. Non certo un Re di ori, diamanti e conti svizzeri; non un Re di nobiltà di sangue e di porporati. Un Re nato da falegnami, circondato da pastori, predicatore fra pescatori.
Quella è la dignità della Chiesa che le parole di monsignr Bettazzi hanno richiamato nella mia mente e nel mio cuore.

La chiamata che da questo Concilio arriva direttamente a noi laici segue questo filone di pensieri. Dobbiamo essere noi a prendere impegno in prima persone all’interno della Chiesa.
Credo che la Sacrosanctum concilium indichi una via da seguire. La costituzione conciliare chiarisce un punto che era un po’ stato trascurato con il passare del tempo – ma che è sempre stato chiaro nella teoria e nella teologia: l’eucarestia la celebra l’assemblea, il presbitero presiede “soltanto”.
Credo che sia lo spirito giusto con cui affrontare il futuro della Chiesa. Non più una Chiesa fatta di gerarchia e di consacrati, usufruibile dal fedele, ma una chiesa di popolo, dove il laico opera attivamente, nell’arricchimento reciproco delle vocazioni di ciascuno. C’è posto per tutti, c’è un ruolo per tutti.
E così anche nei vertici: non un Sinodo modellato dalla Curia ma un Sinodo che, guidato dal papa, sia traino per la Chiesa, con una Curia che si faccia carico dell’attuazione, con spirito di servizio.

In definitiva c’è bisogno che ci rimbocchiamo le maniche. Se ci teniamo alla Chiesa, tocca a noi sporcarci le mani: testimonianza, annuncio, accoglienza non possono gravare solo sulle spalle dei presbiteri e dell’episcopato. Tocca al laicato, ora, agire in prima persona. Ovunque.
Dobbiamo riformarla dal basso questa Chiesa, portare le istanze fino a vertice, far sentire tutta la distanza che c’è tra il popolo di Dio e molti prelati che hanno perso la bussola e si sono allontanati dal loro gregge. “Siamo qui, guidateci verso Cristo”, dobbiamo dire ai nostri pastori.

 
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Pubblicato da su 25 novembre 2012 in Il Concilio, Religione

 

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Un (altro) cartonato in politica


Renzi: pupazzo forzitaliota?Dal 1994 a oggi abbiamo vissuto una stagione politica in cui la democrazia propriamente detta è stata sospesa: una certa fetta del popolo italiano (circa 1/3 degli elettori) è stata irretita da un’operazione di marketing televisivo e mediatico, operazione che ha costruito un politico a partire da un imprenditore.
Sopra all’immagine dell’ìimprenditore di successo Berlusconi – tutti sono capaci ad avere successo con le sue amicizie, diciamolo però – è stato incollato il cartonato del leader politico. Tuttavia l’occhio attento poteva fin dal 1994 riconoscere che, dietro agli slogan, dietro alle parole di facciata, si nascondeva il nulla. Il Governo Berlusconi dell’ultima legislatura ha dimostrato con buona precisione questa teoria: il nulla siderale, l’assoluto cosmico del vuoto. Nessun programma, nessuna realizzazione: solo la sopravvivenza del governo stesso, dello stipendio dei parlamentari, l’impunibilità del Berlusconi indagato & inquisito.

La generazione che va dai 30 ai 50 ha l’occasione oggi di rivivere l’esperienza del 1994. Su una sponda (apparentemente!) differente l’operazione si sta ripetendo. Nome diverso, look diverso ma temi simili: l’analisi è inquietante.
Matteo Renzi è il prodotto di questo svuotamento contenutistico berlusconiano: in risposta al vuoto mentale insufflato dal sistema berlusconiano in questi anni – con l’eliminazione della scuola pubblica, con l’eliminazione della cultura in Tv, con l’arrivo di “reality” & simili al posto di questi fattori di crescita mentale – stanno cercando di impiantare un vuoto ancora più spinto, prodotto stesso del vuoto precedente.
Osserviamo bene Renzi. Programma patinato, look all’americana, campagna elettorale in grande stile, imponente presenza mediatica, grande capacità nel confronto con i mezzi di comunicazione, giovane età, slogan accattivanti… un programma fatto di slogan, dietro ai quali c’è il nulla o il “talmente vago che può starci di tutto”… la promessa di un cambiamento e della sparizione di chi ha causato i problemi all’Italia: e l’accusare la “passata generazione” di essere l’unica causa di questi problemi. Rimossa questa, rimossa i problemi.
Ancora una volta ricette e formule magiche che, miracolosamente, cambieranno il paese.
Anziché un uomo di cultura, uno statista, eccoci un altro prefebbricato.

Come diciotto anni fa molti italiani corrono a Renzi come le falene corrono alla luce: ciechi, incapaci di vedere e distinguere. Siamo un popolo che giace sul fondo della scala e sembra goderne. Vuole rimanerci a tutti i costi.
Molti italiani oggi corrono dietro a slogan e motti, non a programmi e ideali politici: una certa sinistra questo l’ha capito – è il merito di Vendola che, dietro alla campagna “Oppure Vendola” ha saputo inserire contenuti e programmi da vero “acchiappanuvole” – un’altra no e infatti rischia l’estinzione. Estinzione, però, che ancora uan volta non graverà sui politici inetti – Bersani la sua pensione ce l’ha assicurata – ma sugli italiani, che rischiano di essere governati ancora una volta da politici cartonati o, peggio, inetti teleguidati.Un programma cartonato: fcciate senza sostanza

Il programma di Renzi mi ha sempre evocato un’immagine precisa: quella delle facciate di palazzi dei set cinematografici. Possibilmente un western, in modo che la casa sia isolata nel deserto, o quasi. Un’immagine di tristezza e desolazione: un po’ il futuro che ci attende se avremo a che fare ancora una volta con un politico finto, attore vero.

Immagino che certi aspetti di questo post suonino come allarmismi vanitosi e saccenti: sono sicuro di non portare una soluzione definitiva e priva di difetti (Vendola) ma sono anche sicuro che Renzi non è una strada politica percorribile con onestà e senso civico. Renzi è il vuoto, è Berlusconi-dopo-Berlusconi, l’ennesima incarnazione di una politica fatta di finzione, menzogna, bei racconti e nessun contenuto reale. La sua vittoria sarebbe l’ennesima prova del controllo del denaro sulla nostra vita politica: cittadini illusi di poter vedere un paese migliore, irretiti dai colori e dalle luci, incapaci di vedere la realtà che si trova dietro la scenografia. Altre politiche liberiste, altro spazio per la finanza e altre riduzioni di diritti per i cittadini. Altri danni allo stato sociale, altre privatizzazioni, altra svendita di conquiste sindacali, altri appoggi a Marchionne, altri vincoli alla spesa che sopravanzano la necessità di spendere bene quel denaro. Altre parole-chiave, altri slogan, altre lucine che illudono. Altri voti buttati, trasformati in azioni dannose per la comunità. Se passano trovate del genere, davvero il danno più grosso del ventennio berlusconiano sarà quello alla cultura e il suo piano di attacco avrà conquistato una vittoria, incancrenendo l’Italia in un costante berlusconismo.
Un copione già letto, mi direte, l’abbiamo visto da vicino negli ultimi diciotto anni: eppure sta per andare di nuovo in scena.
Eppure c’è un’Italia migliore!

 
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Pubblicato da su 20 novembre 2012 in Politica

 

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La Chiesa, i tempi e la bussola smarrita


Nichi Vendola sulla tomba di MartiniDovendomi occupare di politica in sostegno ai comitati per le primarie della sinistra per Nichi Vendola, è inevitabile che mi ponga domande riguardanti la natura e le specifiche di questo mio impegno, il partito che guida Vendola e l’insegnamento della Chiesa.
Sicuramente Vendola, che pur è cattolico, ha posizioni spesso in contrasto con quelle ufficiali della Chiesa, soprattutto quando si tratta di temi “etici” (come se non sfruttare i propri dipendenti non fosse una questione etica…). Vero è che questi stessi temi sono trattati a tutti i livelli della Chiesa e che, come ben sappiamo, il credente di base non sempre condivide le conclusioni a cui giungono i vescovi, oggi spesso distanti dal “sentire” del popolo. Vero è che anche la Chiesa su certi temi – omosessualità, eutanasia, aborto – si è espressa con fermezza e chiarezza da tempo.
Proprio nell’analizzare la coerenza delle mie scelte – vendoliano e cattolico, quadro Agesci e portavoce del comitato savonese per Nichi – sono sorte delle domande proprio su questo, che mi hanno spinto a riflettere sulla Chiesa, sulla sua missione e sull’attuale “stato dell’annuncio”, a cinquant’anni dal Concilio. Racconto allora le mie riflessioni: non sono conclusioni e non sono definizioni. Sono dubbi e domande, in divenire, perché la situazione mi interroga dal profondo e non credo basti un post e un pomeriggio di ponderazione per dipanare la nebbia.

Mi sono chiesto oggi se la Chiesa non stia concentrando il suo impegno su un solo fronte, scordando altri fronti o, comunque, tralasciandoli. E mi sono anche chiesto se questi “fronti secondari” sono davvero così marginali nel messaggio cristiano.
Essere favorevole ai matrimoni gay rischia di porre in contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con il Magistero; tuttavia non lo fa lavorare per una multinazionale che sottopaga i propri dipendenti nelle filippine o che produce armi. Le conferenze episcopali – quando non il Vaticano – si scagliano contro le leggi che consentono unioni civili a prescindere dal genere ma non accusano gli stati di praticare politiche che creano maggior disuguaglianza sociale.
Su alcuni temi la predicazione si ferma a posizioni importanti, su altre pretende il vincolo del credente. Ma davvero è così prioritario impedire l’eutanasia e così di scarso valore lavorare per una miglior distribuzione delle ricchezze sul pianeta? Davvero un tema che riguarda la libertà di coscienza del singolo – libertà di coscienza che la Chiesa, con il Concilio, rispetta – deve occupare più spazio nella definizione del cristiano rispetto all’impegno per migliorare le condizioni di vita di miliardi di persone?

Non potrebbe allora prevalere la sensazione che la Chiesa stia perdendo la bussola, non sappia reagire ai temi che corrono e non riesca a far capire come Gesù Cristo e il Vangelo sono la risposta alle domande della donna e dell’uomo dei nostri tempi? Non lo fa, forse, perché sceglie male le battaglie in cui impegnarsi a fondo.
Credo che il cuore del messaggio cristiano sia l’amore fraterno. Spero, almeno in questo, di essere nel giusto. Parto da questa base, o almeno ci provo, nella mia vita, nella mia azione, anche nel mio schierarmi politicamente. E vedo, per esempio, che le politiche capitalistiche/neo-liberiste sono del tutto antitetiche con un concetto di giustizia sociale che si riferisca all’amore fraterno. Perché la Chiesa non interviene con la stessa forza e le stesse pressioni che impiega su temi scottanti quali l’eutanasia e l’omosessualità, contro il maltrattamento e lo sfruttamento dei lavoratori, contro il lavoro precario, contro lo stupro del Creato e contro l’uso della guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali?Il Concilio, bussola per la Chiesa
Lo storico che è in me vede collusione con il potere; il credente cerca una ragione, cerca una bussola, cerca un aiuto e una spiegazione. Perché non riesce del tutto a vedere la Chiesa del Dio dell’Amore in queste scelte. E sa che la Chiesa in cui crede – quella della sua Confessione di Fede – non è la Chiesa “istituzionale” ma quella invisibile, nota solo al Padre. Questa è la risposta che si dà in quest’ora buia.

Prego molto su questi stimoli e queste riflessioni. Prego per capire e prego per avere la forza di cambiare le cose dove non mi sembrano rispondere al Disegno del Padre. Prego per il discernimento e prego per la Chiesa: noi cristiani, illuminati ora dal Concilio, dobbiamo tenere accesa quella candela, prima che si spenga e ci restituisca alle tenebre. Dobbiamo cogliere i segni dei tempi, respirarli e dal loro la Parola e il Padre come orizzonte di realizzazione. O ci estingueremo.

Un inciso polemico, solo uno, concedetemelo: in Italia il principale partito di riferimento dell’area cattolica è guidato da un divorziato risposato. Con figli. Penso possa spiegare molte cose riguardo alla coerenza… ma non mi solleva dalle domande sulla mia coerenza.

 
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Pubblicato da su 16 novembre 2012 in Diari, Il Concilio, Politica, Religione, Sproloqui

 

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Un domani uguale. Oppure Vendola


Il tormentone della campagna elettorale di Nichi Vendola in vista delle primarie del centro sinistra ha colpito, coinvolto e travolto anche me.
In questi giorni di silenzio dal blog mi sono dedicato un po’ al Festival della Scienza, un po’ al comitato cittadino che sostiene il presidente della Puglia nella sua corsa contro Bersani, Renzi, Puppato e Tabacci. Si parla davvero di prendere posizione, per una volta, e di farlo in grande stile… per quanto Savona permetta.

Ho poche righe per spiegarvi e spiegarmi perché questo sostegno al presidente di Sel.
Uno dei motivi centrali è che credo ci abbiano mentito. Ci hanno preso per i fondelli per anni e continuano a farlo, governo Monti in testa a questa colonna.
Per un bel po’ di tempo ci hanno raccontato che il problema del paese è il debito pubblico, che il Pil è un ottimo misuratore del benessere degli italiani, che il debito si poteva ripianare solo con ingenti tagli alla spesa, che uno stato che spende troppo non va bene e che si deve lasciar maggior libertà all’impresa di agire. Da questi “assiomi” sono discese le privatizzazioni, le politiche liberali, la detassazione dei redditi finanziari, la massima libertà per le banche, i tagli al welfare, il diritto al lavoro barattato per denaro e la flessibilità lavorativa che è diventata precarietà costante nella vita.
Penso che tutto questo non risponda alla verità: penso che la spesa possa essere mantenuta e, anzi, potenziata, ovviamente rendenola più consona a uno stato sociale che abbia a cuore la sua popolazione. Penso che il Pil non misuri la felicità e che la ricchezza non abbia bisogno di comandare, ma che vada distribuita con maggior equità. Penso che lo stato non debba né privatizzare né svendere il suo patrimonio immoboliare, bensì far fruttare tutto quanto. Penso che serva un’attenta, profonda e feroce politica di lotta all’evasione e alla corruzione, fenomeni che strappano ogni anno decine di miliardi di euro alle casse dello Stato.
Credo che queste siano le priorità del paese, non l’austerità, l’aumento dell’Iva o la riduzione delle condizioni contrattuali degli operai Fiat.

Mi sono schierato con Vendola anche per una questione di onore. In un paese che vede il termine onore o come una parola di mafia, o come una burla d’altri tempi, sentire un uomo del sud che si appella a quella nel dedicarsi alla politica attiva può scaldare il cuore. E poi Vendola è uno che brandisce la Costituzione, senza paura di scottarsi e senza paura che questa lo morda – abbiamo tutti ancora in mente l’opinione del Nano riguardo la Carta.
Credo che se vogliamo davvero realizzare quei bellissimi articoli che parlano di diritti, lavoro, uguaglianza e solidarietà Vendola sia la scelta migliore. In una sinistra che è divisa tra chi parla e promette come un liberale, e quindi di sinistra non è, e chi ha dimostrato impegno ma ha anche appoggiato Monti, io credo fermamente che l’unica voce di cambiamento realistico e possibile sia Nichi Vendola.

Ci sentiamo spesso dire che “i programmi non contano perché i politici sono tutti uguali e una volta lì rubano tutti“. Se qualcuno la pensa così, eviti di guardare fuori dalla finestra. O di fissare uno specchio.
La politica è la più alta forma di Carità“, diceva Paolo VI, e possiamo anche ricordarci che “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”.
Io aggiungo che la politica è servizio, dono e altruismo. Solo con questo in mente possiamo restare cittadini, essere attivi nella nostra società e sostituire quanto di marcio – ed è stato molto – ha calcato la scena politica in questi anni di repubblica malata.

E anche in questo la mia fiducia va a Nichi Vendola, che in Puglia ha sicuramente dimostrato di sapersi dedicare al territorio. Sbagliando, anche, commettendo errori ma sapendo ammetterli e tornare indietro, o affrontando le difficoltà e le opinioni contrarie, accettando in pieno la sua umanità e la sua fallibilità.
L’epoca degli eroi di cartone e plastica, dei politici costruiti chirurgicamente deve finire qui.

Possiamo allora scegliere di appoggiare la sinistra del “carbone pulito” a Vado, o la sinistra della Gronda a Genova, quella della fedeltà a Marchionne e quella del pareggio di bilancio in Costituzione, della riforma pensionistica e dell’appoggio a Trenitalia che ci lascia ogni giorno a piedi in stazione.
Possiamo fermarci lì e accettare tutto questo. Ma io penso che di fronte a questo panorama drammatico non ci restano che rassegnazione e silenzio.
Oppure Vendola.

 
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Pubblicato da su 8 novembre 2012 in Politica

 

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