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1000 secondi di antimateria!


La notizia è passata un po’ sottotono in questi giorni di intensa bagarre politica, anche se è strano che i TG allineati al nano non l’abbiano proposta in prima pagina – assieme a qualche importantissima manifestazione culturale da spiaggia – per attirare lì l’attenzione, anziché sui referendum.
ma questo è un altro discorso. Oggi parliamo di fantascienza.
Quasi.
Perché da qualche giorno è molto meno fanta- e molto più -scienza

.

Non si parla ancora di questo, ok, ma ci stiamo avvicinando.

Veniamo ai fatti: al CERN sono riusciti a creare trecento atomi di anti-idrogeno e a mantenerli stabili per circa 1000 secondi, poco più di sedici minuti. Un successo veramente notevole per la fisica contemporanea, sia dal punto di vista tecnologico – il contenimento ha funzionato – sia dal punto di vista della fisica teorica.
facciamo un paio di passi indietro.

Antimateria
Si tratta di materia speculare, composta da antiparticelle, il contrario delle nostre particelle.
Un atomo di idrogeno è composto da un protone e un elettrone: un atomo di anti-idrogeno è composto da un antiprotone e da un positrone (antielettrone).
Dobbiamo la sua teorizzazione a Dirac che assegna a queste particelle i valori negativi emersi dalla risoluzione dell’equazione di Schrödinger; dalla teoria discesero poi conferme sperimentali che attualmente ci consentono di accettare la teoria e utilizzarla nel campo dello studio delle particelle.
L’antimateria è speculare rispetto alla materia; il positrone porta una carica positiva, mentre l’elettrone ne porta una negativa. Similmente, l’antiprotone ha carica negativa e il protone positiva.
Ancor più interessante l’interazione tra materia e antimateria: se vengono a contatto si annichiliscono, ovvero si convertono in energia, distruggendosi. Questo comporta notevoli problemi nel suo studio perché non può esistere se non perfettamente isolata dalla materia. Ma ci arriveremo.
L’interessante della teoria è che, a parte le forme convenzionali come la carica, l’antimateria dovrebbe avere un comportamento identico a quello della materia. Si dovrebbe aggregare in atomi e poter esistere, se parata dalla materia. E’ vero? Funziona realmente così nell’universo? Sono queste le caratteristiche dell’antimateria? Lo studio è in corso e l’obbiettivo è proprio questo. L’affascinante è che l’argomento si ricollega a stretto giro con la natura e la nascita del nostro universo. Se materia e antimateria sono identiche, perché l’universo è composto di materia e non di antimateria? Se la teoria del Big Bang è vera, cosa ha creato questo scompenso iniziale? c’è una differenza di fondo che ha permesso questa “scelta” o è stato solo il caso?
Sappiamo che l’antimateria esiste nel nostro universo, anche se in quantità minima. Nelle fasce di Van Allena se ne accumula un poco, alcuni antiprotoni giungono a noi come prodotto delle reazioni solari. Non ci basta, dobbiamo scoprire perché questa enorme divergenza quantitativa. Perché siamo fatti di materia?

Separazione
Come avrete intuito, è essenziale tenere materia e antimateria separate se le si vuol studiare. Trattandosi di particelle cariche, fin qui si sono adottate tecniche magnetiche ed elettriche; generando i dovuti campi nella zona dove si producono queste particelle è possibile tenerle isolate dalla materia, almeno per un po’. Lo scopo è riuscire ad arrivare a un tempo sufficiente a studiare le interazioni tra queste particelle, tra questi atomi, per capire se rispondo correttamente alla teoria o se il modello è da ricostruire o modificare.
Dice l’articolo di Repubblica al riguardo: “La ‘trappola’ per l’antimateria usata dall’esperimento Asacusa si chiama Cusp e funziona grazie a una combinazione di campi magnetici che costringono antiprotoni e positroni a stare insieme per formare atomi di anti-idrogeno. Gli anti-atomi così ottenuti vengono incanalati in un sorta di “corridoio” vuoto dove i piccoli fasci di anti-idrogeno creati in questo modo possono essere studiati “in volo”“.
Affascinante, indubbiamente. Molto interessante…
E indirettamente utilissimo: come sempre la ricerca sviluppa non solo il suo campo di intervento diretto ma fornisce un contributo tecnologico e indiretto a tutte le aree umane. Basti pensare ai protocolli http, sviluppati proprio al CERN per un più rapido trasferimento delle informazioni all’interno della primitiva rete. Questi esperimenti non si distanziano da quel modello di sviluppo: il loro contributo può essere davvero notevole.

Un po’ di fisica per il primo post a carattere scientifico; c’è voluto del tempo ma alla fine siamo arrivati anche a questo.
Credo che divulgare queste ricerche sia essenziale ben al di là di fare notizia; è importante che tutti comprendano l’utilità della ricerca, in ogni campo. Questo non solo per le ricadute dirette, come dicevo prima, ma anche (forse soprattutto) per quelle indirette. Ricercare mette alla prova e sfida le conoscenze umane, le competenze di questi piccoli ominidi. Ci costringe a fare del nostro meglio e a superarci, ponendoci sfide avvincenti.
Dobbiamo raccogliere queste sfide e vincerle e per farlo serve il sostegno di tutti.

 
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Pubblicato da su 6 giugno 2011 in Divulgazione scientifica

 

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